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Italia 1945 , that’s amore. Le spose di guerra oltreoceano

Operazione spose di guerra: un libro racconta le love story tra ragazze italiane e soldati Usa nella fase finale del conflitto, all’origine di una sorprendente “emigrazione sentimentale”

di Giorgio Boatti da La Stampa del 21 febbraio 2014 

Ben distinti dagli incontri sessuali comprati dai soldati alleati per un dollaro – «Uon dollar, for un foc», così si offrivano, nel loro inglese orecchiato, le «segnorine» spinte a migliaia dalla miseria nei bordelli che accompagnano l’armata americana lungo l’Italia – ci sono gli amori. Perché gli eserciti combattono e le armi distruggono, ma la vita, indomabile, vince su tutto. Anche sulla guerra.

Non c’è grado, divisa, o regolamento militare che sappia mettere in riga Cupido: quando è il momento giusto tira la sua freccia. Delle ragazze italiane, incontrate in una sala da ballo, all’ufficio postale o in spiaggia, si innamorano marinai appena sbarcati e soldati temprati dai combattimenti. Ma ci lasciano il cuore anche attempati veterani come l’ammiraglio Elley Wheeler Stone, capo della commissione alleata di controllo sull’Italia. Stone a Roma, nel 1944, ha incontrato un’ausiliaria italiana che ha fatto breccia nel suo cuore. La love story tra l’ammiraglio e Renata Arborio Mella di Sant’Elia, una ragazza che ha trent’anni di meno, approda su tutti i giornali e ha il suo happy end quando, nel marzo del 1947, i due si sposano.

Le donne italiane non sono insensibili al fascino dei gagliardi guerrieri venuti da oltre Atlantico: arrivano sulle loro jeep rombanti, sono ben nutriti e sorridenti, si presentano con belle divise pulite, di buona stoffa. Il paragone con i loro coetanei italiani, triturati dalle rovinose vicende belliche e alle prese con la quotidiana sopravvivenza, è impari. Infatti la competizione si risolve spesso in maniera poco signorile: a botte. O peggio insultando e dileggiando pubblicamente le ragazze troppo amiche degli stranieri.

Non pochi «fidanzamenti» derivano anche dall’imprevisto ritorno alla terra dei padri e dei nonni di tanti giovani americani di origine italiana, incorporati nella Us Army e spediti a combattere nella penisola. Tutti questi elementi, fondendosi nel ribollente crogiolo dell’Italia tra il 1943 e il 1945, danno vita a quella sorprendente «emigrazione sentimentale» raccontata con molta efficacia da Silvia Cassamagnaghi in Operazione spose di guerra. Storie d’amore e di emigrazione(pp. 328, € 24), in uscita da Feltrinelli.

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Sono oltre diecimila i matrimoni scaturiti dall’incontro, nelle condizioni più incredibili e fra difficoltà di ogni genere, tra ragazze italiane e militari statunitensi impegnati nella campagna del ’43-45. I figli che le «spose di guerra» potranno portare con sé, partendo dall’Italia, sono poco più di 600. In realtà i bambini nati da queste unioni sono ben più numerosi ma, poiché negli Usa di allora sono vietati matrimoni interrazziali, non verranno accolti né i figli dei militari di colore né le loro madri. Così si apre il capitolo terribile dei cosiddetti «mulattini», spesso abbandonati a sé stessi. Don Gnocchi nel suo istituto di Inverigo ne ospita alcuni. Davanti a un episodio emblematico – gli riferiscono che uno di questi bimbi sembra impazzito perché, trovato del talco, continua a cospargersene il viso nel tentativo di diventare anche lui di pelle chiara – don Gnocchi decide di censire tutti i «mulattini» sparsi per l’Italia così da assisterli adeguatamente. Alla fine se ne contano alcune centinaia, un numero assai inferiore alle previsioni: «Si calcolava – scrive Silvia Cassamagnaghi – che almeno una metà, forse di più, fossero morti di fame, privazioni, malattie, per essere stati abbandonati o vittime di infanticidio».

Il tema dei matrimoni di guerra viene affrontato da Washington, a conflitto ultimato, con una legge speciale, il «War Brides Act», che riconosce alle oltre centomila «spose di guerra» il diritto a raggiungere l’America. A sbarcare per prime sono le australiane e le inglesi che rappresentano quasi la metà di questa emigrazione; poi giungono le altre. Oltre alle italiane vi sono 14.000 tedesche, 8.000 francesi e migliaia di ragazze di altre nazioni. Tutte «spose di guerra» che dovranno affrontare una sfida dura, spesso improba.

Quasi sempre queste vicende si svolgono in due atti: il primo, in Italia, è l’incontro di due vite che si scelgono tra macerie e distruzioni, timori e speranze. Favorito da un succedersi incredibile di coincidenze fortunate è ad esempio l’incontro a Livorno tra Gino Piccirilli – di origine abruzzese, catapultato come militare in Italia dal Michigan – e la giovanissima Marisa Petrucci, che da sempre vuole imparare e insegnare l’inglese. Il loro matrimonio dura tuttora, coronato da figli e nipoti: Gino, operaio a Detroit, studiando la sera, nel ’62 diventa ingegnere. Marisa è stata insegnante (di italiano, non di inglese). Assieme sono tornati in Italia ben 39 volte.

In altri casi, invece, il secondo atto, quello che si svolge in America, non vede happy end: succede a Marcella Olschki, nipote del celebre editore fiorentino, lasciata dal marito solo 25 giorni dopo il suo arrivo a New York. Mezzo secolo dopo troverà la forza di raccontare in Oh, America, pubblicato nel ’96 da Sellerio, la sua sofferenza ma, anche, la forza di reagire, da sola, nella metropoli pervasa dall’ottimismo post-bellico.

Sfilano lungo le pagine di Operazione spose di guerra tante storie: riguardano ragazze quasi sempre molto giovani, provenienti da ambienti sociali diversissimi. Alcune sono in grado di orientarsi nel mondo. Altre, la maggioranza, si trovano catapultate nella nuova realtà americana da situazioni sociali e culturali arretrate, a volte arcaiche. Durante il viaggio in nave che le porta negli Stati Uniti sperimentano, per la prima volta, il volto della modernità, che si presenta loro con l’uso delle posate, della doccia, della biancheria intima, dei rudimenti di una prima alfabetizzazione. Davanti a questo scioccante divario, tra un’Italia che oggi stentiamo a immaginare e il nuovo mondo che queste ragazze si apprestano a raggiungere, spicca come la loro scelta non sia solo un affare di cuore. Gioca la sua parte anche il coraggio di donne che osano aprire la propria vita a un orizzonte più ampio, meno asfittico, del ristretto mondo di casa.

gboatti@venus.it
GIORGIO BOATTI

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