«Iron hulls – iron hearts». L’eroismo dei carristi italiani a El Alamein

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dal Tempo del 24 ottobre 2012 

Una voce – quella del generale Francescantonio Arena, che immaginiamo ferma ma venata di commozione – comunica che: «Carri armati nemici fatta irruzione a sud dell’Ariete / con ciò Ariete accerchiata. Trovasi circa 5 km nord-est Bir el-Abd. Carri Ariete combattono». Poi i contatti si interrompono. Il 4 novembre, dopo una strenua resistenza, l’Ariete viene praticamente annientata dall’attacco congiunto di due divisioni corazzate inglesi: la VII e la X. L’unità italiana, anche se circondata da innumerevoli forze nemiche, le fronteggia sino all’ultimo carro e sino all’ultimo colpo, rimanendo ferma sulle posizioni assegnate, evitando l’accerchiamento e la distruzione delle ultime forze mobili dell’Asse.

Il feldmaresciallo Erwin Rommel ricorderà così quei drammatici momenti: «Il XX corpo italiano venne completamente distrutto dopo un’eroica resistenza. Con l’Ariete perdemmo i nostri più anziani camerati italiani, ai quali, bisogna riconoscerlo, avevamo sempre chiesto più di quello che erano in grado di fare con il loro cattivo armamento». Infatti, il fior fior delle truppe corazzate italiane, sin dall’inizio della II battaglia di el Alamein, era stato impegnato a contrastare le più minacciose puntate offensive dell’VIII armata: il 26 ottobre l’Ariete si trovava nella zona di Deyr el-Murra, dove, assunta la formazione da combattimento, puntò verso Tel el-Aqqir per ricongiungersi con la Littorio (guidata dal generale Gervasio Bitossi) e la XV Panzerdivision; a quel punto Rommell decise di usarla per chiudere un ampio il varco che si era aperto a causa di un prematuro ripiegamento della Bologna, tra Alam Burt-Sabrai, el Gherbi-Deir e el Beida. I carristi italiani sostennero di fatto tutto il peso dell’attacco nemico.

Il martirio della Littorio (i cui battaglioni IV, XII e LI erano schierati in seconda linea come riserva tattica) si consumò alcuni giorni dopo – il 21 novembre – quando le fu ordinato di fermare la sua ritirata. I pochi superstiti delle due formazioni confluirono successivamente nel «raggruppamento tattico» Ariete, che si distinse nelle ultime battaglie difensive in Libia e in Tunisia. Dopo un lungo colpevole oblio, un tributo al valore di questi uomini è arrivato dallo storico scozzese Ian W. Walker che, proprio alle divisioni corazzate italiane in Africa ha dedicato un lavoro, coraggioso e pionieristico, dal titolo «Iron hulls / iron hearts». Il volume è stato pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Crowood (www.crowood.com) specializzata in storia militare, guadagnandosi lusinghiere recensioni (su Amazon ha conquistato una media di 4 stelle su 5). Quest’opera assume una particolare rilevanza in quanto gli storici di lingua inglese raramente si sono mostrati generosi nel riconoscere le virtù del soldato italiano e, al contrario, sono sempre stati pronti a sottolinearne le pecche e a ridimensionarne gli exploit, preferendo esaltare, in particolare nel teatro di operazione africano, Rommel: la propaganda di guerra inglese ha lasciato una pesante eredità, dipingendo il soldato italiano come un dilettante, privo di abilità militari e di coraggio.

A questo libro spetta il merito di aver ristabilito, a livello internazionale, almeno una parte della verità. Walker ripercorre i fattori geopolitici che, nel giugno del 1940 spinsero l’Italia, pur senza un’adeguata preparazione, nel secondo conflitto mondiale. Senza fare sconti alla leadership politica e militare italiana, l’autore scandisce le tappe dello sviluppo ante-guerra delle forze corazzate italiane, e descrive le loro imprese durante la guerra d’Africa, in Libia, in Egitto e infine in Tunisia. Come ha affermato lo stesso autore: «La campagna combattuta durante la Seconda guerra mondiale in Africa settentrionale è stata una delle più importanti del conflitto. Gli Alleati hanno combattuto per il controllo del Nord Africa contro l’Afrika Korps di Rommell. Ma il ruolo cruciale giocato delle truppe italiane di Mussolini, e in particolare dalle divisioni corazzare – Ariete, Littorio e Centauro – è stato troppo spesso trascurato».

Alla luce di questa premessa, Walker «rilegge» le battaglie di Tobruk, Gazala ed el Alamein, e altri numerosi scontri poco noti ai più, anche nel nostro Paese, attingendo anche a testimonianze dirette di quei soldati d’eccellenza. In conclusione, alla luce della forza degli alleati e della debolezza militare italiana, l’autore riconosce che «il coraggio del soldato italiano non può assolutamente essere messo in dubbio». Anzi si pone e ci pone questa domanda: «Chi è più coraggioso? Colui che scende in battaglia consapevole del valore dei propri mezzi, oppure chi lo fa sapendo di essere in una condizione di netta inferiorità?». Per Walker i «carristi» delle nostre tre divisioni si misurarono a pieno con il loro «motto», finendo per incarnarlo: «Corazze d’acciaio / cuori d’acciaio».

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3 Commenti

  1. Il titolo inglese non è altro che la traduzione del motto “Ferra mole, ferreo cuore”… Ma perché i giornalisti sono sempre così ignoranti?

  2. Perche’ certi lettori son cosi’ ignoranti da non leggere mai sin alla fine?

    ‘Colui che scende in battaglia consapevole del valore dei propri mezzi, oppure chi lo fa sapendo di essere in una condizione di netta inferiorità?». Per Walker i «carristi» delle nostre tre divisioni si misurarono a pieno con il loro «motto», finendo per incarnarlo: «Corazze d’acciaio / cuori d’acciaio».

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