Ogni regista ha il suo film-feticcio, quello che ha inseguito per tutta la vita e non è mai riuscito a fare. Per Fellini era un film su Napoli, per Visconti e Losey la riduzione della Recherche di Proust, per Kubrick era il film su Napoleone. Anche Chaplin aveva pensato a un film dove vestire i panni dell’Imperatore, ma quello che fino a ieri era considerato solo un progetto, sta assumendo i contorni di una vera e propria passione totale che ha accompagnato la vita e la carriera di Charlot. La scoperta arriva dagli archivi del grande regista, depositati dalla famiglia (insieme a tutti i suoi film) presso la Cineteca di Bologna.
Paolo Mereghetti su www.corriere.it
Da qui stanno emergendo le prove che il sogno di interpretare Bonaparte non era uno dei tanti progetti mai andati in porto, ma «il» film inseguito per anni: ci sono «centinaia di pagine di appunti, dieci diverse stesure della sceneggiatura, contratti, lettere e cablogrammi» dice Cecilia Cenciarelli, che mercoledì 1˚luglio presenterà il risultato delle sue ricerche all’interno del festival bolognese Il cinema ritrovato. Compresa l’unica foto che si conosca di Chaplin in un ipotetico costume di scena, regalata dal suo assistente Robert Florey al «chapliniano di ferro» Maurice Bessy e poi tornata in possesso della famiglia grazie a un’asta. La fascinazione per Napoleone nasce in Chaplin nella prima infanzia: «Sapevo a malapena di avere un padre e non ricordo che abbia mai vissuto con noi. Aveva gli occhi scuri. Mia madre diceva che somigliava a Napoleone», avrebbe scritto nella sua autobiografia.
Ma è all’inizio degli anni Venti che l’idea di un film su Bonaparte prende corpo: pensando a un modo di lanciare la sua compagna di allora, l’attrice Edna Purviance, si imbatte nella storia di Napoleone e dei suoi amori con Giuseppina Beauharnais e comincia a immaginare una sceneggiatura centrata sulla campagna d’Italia. Mentre il fascino del personaggio (su cui legge i libri di memorie di Bourienne e di Constant) fa nascere nell’attore l’intenzione di interpretare lui stesso l’Imperatore. In una pagina inedita, trovata tra le sue carte, scriveva: «All’epoca conoscevo piuttosto vagamente Napoleone. Era stato un grande soldato e aveva conosciuto molte avversità. Avevo trovato un almanacco che lo ritraeva mentre si accomiatava dalle sue truppe a Fontainebleau e mi aveva colpito, così come altre stampe in cui guardava il mare, con lo sguardo meditabondo. La sua posa, la mano nella giacca, quegli occhi tristi e penetranti, mi affascinavano persino di più della figura di Cristo. Forse perché l’espressione di Napoleone incarnava il dolore umano e vivente di un’anima torturata che sentivo più vicina alla mia comprensione, mentre davanti al patimento divino e innocente dipinto sul volto di Cristo, con gli occhi devotamente rivolti verso l’alto, ho sempre avuto uno sguardo oggettivo, non ho mai sentito un coinvolgimento umano».
La svolta avviene all’inizio degli anni Trenta, dopo il viaggio di 16 mesi che porta Chaplin in giro per il mondo, offrendogli l’occasione di incontrare Gandhi, Churchill e Einstein, di capire le tensioni che si respirano in Europa e soprattutto in Germania (scriverà anche un pamphlet intitolato Ideas for War Reparations in cui teorizza una possibile soluzione per il debito di guerra tedesco e postula la creazione di una moneta unica europea che chiama «the League») e soprattutto maturare una forte coscienza politica pacifista. E così l’idea di un film su Napoleone cambia totalmente forma. Nel 1933 ingaggia il giornalista Alistair Cooke perché schedi per lui tutti i testi più autorevoli scritti da e su Napoleone (nell’archivio Chaplin esistono più di 300 pagine che dimostrano il lavoro svolto). Poi chiede al suo ex assistente Jean de Limour di adattare il romanzo di Pierre Weber La vita segreta di Napoleone, di cui ha acquistato i diritti. Ma non ne è contento e decide di mettersi personalmente al lavoro con l’intellettuale inglese (dichiaratamente di sinistra) John Strachey, con cui preparerà due successive sceneggiature. Basta campagna d’Italia, si parte da Sant’Elena dove un sosia di Napoleone si offre di prendere il suo posto per permettere all’Imperatore di tornare in Francia. Qui, però, scoprirà con raccapriccio la miseria in cui le «sue» guerre hanno ridotto il Paese. Diventando così un convinto pacifista che per vivere insegna Storia a scuola e parla male delle imprese napoleoniche.
Almeno fino a quando il «professor Napoleone» non si fa contagiare dai cimeli del suo glorioso passato e comincia ad accarezzare l’idea di un nuovo colpo di Stato, insieme a un gruppo di fedelissimi generali dai quali si è fatto riconoscere. Il progetto non è molto coerente con le sue nuove idee pacifiste, ma grazie a una serie di capriole retoriche si autoconvince che le armi sono comunque necessarie per conquistare il potere, anche se il destino gli giocherà uno scherzo capace di mandare tutto a gambe all’aria. Il precipitare degli eventi spingerà poi Chaplin a considerare più urgenti altri soggetti, ma il tema dello scambio d’identità e dell’esilio, oltre che quello del discorso pacifista, si ritroveranno praticamente identici nella struttura del Grande dittatore, a testimonianza di una passione che ormai si era impossessata di Chaplin e che l’avrebbe accompagnato fino alla morte.
Paolo Mereghetti
26 giugno 2009