Appena otto anni orsono la figura di Lincoln era ancora al centro dell’immaginario statunitense. Obama giurava per i suoi mandati sulla stessa bibbia su cui aveva giurato Lincoln. Al cinema il Lincoln di Spielberg convinceva pubblico e critica, con il protagonista Daniel Day Lewis che vinceva la sua terza statuetta proprio grazie alla magistrale interpretazione dello statista. Nel giro di nemmeno un decennio quella figura prima osannata, ora rischia di essere trascinata nella stessa polvere in cui sono caduti sia i confederati che i primi presidenti, i Padri Fondatori Washington e Jefferson colpevoli di possedere gli schiavi. In questa prima parte riassumeremo centocinquant’anni di dibattito intorno a Lincoln da parte afroamericana, mentre nella seconda ci concentreremo sui fenomeni di cancel culture in essere contro il grande statista.
Qui la seconda parte dell’articolo.
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Febbraio 2013, notte degli Oscar. A vincere l’ambita statuetta come migliore attore protagonista è il britannico Daniel Day Lewis. Lewis è alla sua quinta nomination e ha già vinto due Oscar come migliore attore protagonista con Il mio piede sinistro,1990, e Il Petroliere, 2008. La concorrenza è agguerita: gli altri candidati sono Joaquin Phoenix, Denzel Washington, Bradley Cooper e Hugh Jackman. Ma il favorito rimane Lewis. Molteplici i motivi che lo rendono il favorito di quella edizione. Non solo per la consueta intensità e capacità mimetica dell’attore di fondersi con i personaggi. Non solo per essere il protagonista del film che in quell’edizione ha ricevuto più nomination, 12 candidature. Non solo perché il film è diretto da uno dei mostri sacri del cinema statunitense, Steven Spielberg. A favorire Lewis l’aver portato sul grande schermo uno dei personaggi simbolo del pantheon della Storia americana: Abramo Lincoln. Il film di Spielberg, intitolato semplicemente Lincoln, è incentrato sugli ultimi quattro mesi di vita del presidente e la battaglia politica per il XIII emendamento che avrebbe definitivamente abolito la schiavitù. Alla fine Spielberg si deve accontentare: solo due Oscar al migliore attore protagonista e miglior scenografia. Per Day Lewis è comunque la definitiva consacrazione. Nessun interprete maschile ha mai vinto tre statuette.
Lincoln e Obama
Il film di Spielberg con protagonista Day Lewis arriva in un periodo in cui la figura di Abramo Lincoln, 16° presidente degli USA, era tornata ad assumere un ruolo simbolico di primo piano nell’immaginario statunitense. La notte dell’85a edizione si svolge a un mese dalla seconda cerimonia di insediamento di Obama. Siamo proprio nel mezzo dell’era Obama, due mandati in cui la valenza simbolica di Lincoln era stata evocata fin dal giuramento. Per entrambe le cerimonie di insediamento Obama, il 44° presidente degli Stati Uniti d’America scelse di giurare sulla cosiddetta “Bibbia di Lincoln“: la bibbia usata dal 16° Presidente degli Stati Uniti per il suo giuramento. Una bibbia in prestito: la bibbia personale di Lincoln era ancora in viaggio con il resto dei suoi effetti personali e quindi ricevette in prestito una bibbia da William T. Carroll, cancelliere dell’allora Corte Suprema. Questa bibbia fu poi donata poi dagli eredi di Carroll alla libreria del Congresso dove rimase fino al 2009 e alla prima presidenza Obama.
A differenza della bibbia appartenuta a George Washington e usata, tra gli altri, per i giuramenti di inizio mandato di Eisenhower, Carter e Bush padre, quella di Lincoln era rimasta in archivio fino a un presidente “degno” di incarnarne lo spirito. Obama usò la bibbia di Lincoln anche per il suo secondo mandato nel 2013. Usanza che sarebbe stata mantenuta anche da Donald Trump che per la cerimonia di insediamento giurò sulla bibbia di Lincoln assieme a una bibbia che sua madre gli aveva regalato da ragazzo.
Otto anni dal “Lincoln” di Spielberg: un’eternità
Sono passati poco più di otto anni da quella notte degli Oscar del 2013. Oggi difficilmente Lewis riuscirebbe a vincere il suo terzo Oscar con un film come Lincoln. Non solo per l’attenzione posta su “inclusività” e “quote” alla notte degli Oscar. Nel 2013 nelle due categorie principali, miglior attore e miglior attrice, solo due nomination erano afroamericane: il solito Denzel Washington tra gli attori, e la debuttante Quvenzhané Wallis tra le attrici. Addirittura solo bianchi nelle nomination per attori e attrici non protagonisti. Eppure, come detto, si era all’inizio del secondo mandato dell’era Obama!
Ma più che i bilancini e le quote oggi Lewis non vincerebbe quell’Oscar perché nel volgere di nemmeno due lustri quel Lincoln è diventato un personaggio estremamente divisivo. Un personaggio storico che da mito è diventato scomodo e che rischia ogni giorno di più di essere cancellato come i leader degli Stati Confederati sconfitti grazie alla sua guida. Lo stesso Biden per il giuramento nel 2021 ha preferito usare una monumentale bibbia di proprietà della sua famiglia dal 1893.
Cancellare Lincoln: da proposta irricevibile a oggetto di discussione
Come scrive su Forbes l’accademico e costituzionalista Evan Gerstmann nel giro di cinque anni l’idea di togliere una statua di Lincoln da un campus universitario è diventata da una posizione estremista non meritevole di essere presa in considerazione a oggetto di discussione. Il caso a cui fa riferimento Gerstmann è quello della statua di Lincoln al centro del campus dell’Università del Wisconsin–Madison (sì, proprio l’università dove è stato già rimosso per razzismo un masso erratico da 42 tonnellate nell’agosto 2021…). Ma come abbiamo visto nei mesi scorsi molte altre statue assieme a una scuola intitolata a Lincoln sono diventate oggetto di dibattito.
Un cambio di paradigma in così breve tempo che diventa l’ennesimo esempio di una meccanica alla “finestra di Overton”. Andiamo quindi a fare il punto su come Lincoln sia diventato una figura divisa e quali rappresentazioni del sedicesimo presidente siano sotto attacco dagli estremisti dell’ideologia woke.
Nel 2013, ai tempi ai tempi del film di Spielberg e del secondo giuramento di Obama sulla bibbia di Lincoln, non erano mancati approfondimenti sulla figura di Lincoln che cercavano di analizzare in maniera obbiettiva la figura storica oltre il mito. Ma si trattava di un approccio neutrale, lontano da quelle forme esasperate del moderno wokeism. Storici e divulgatori facevano notare come il film amplificasse sia il XIII emendamento sia il ruolo di Lincoln nella sua definizione. In particolare il film arriva a ventilare la possibilità che il mancato completamento dell’iter del XIII emendamento possa portare a una vittoria del Nord sul Sud in cui non venga contemplata l’abolizione della schiavitù in tutti gli Stati. Un’ipotesi estremamente remota a diciotto mesi dalla battaglia di Gettysburg che di fatto terminò le chance confederate di poter ambire a una pace di trattativa che consentisse al Sud di mantenere le sue “prerogative”.
Inoltre l’eventuale amplificazione dell’importanza del XIII emendamento, seppur non del tutto corretta dal punto di vista storiografico, è del tutto coerente con la narrazione della Guerra di Secessione. Una narrazione dove l’abolizione della schiavitù diventa l’unica causa scatenante. Dimenticando le concause relative agli aspetti economici e politici di una nazione divisa tra la borghesia industriale del nord e la borghesia agricola del sud. Borghesia agraria preponderante in molte delle istituzioni politiche della giovane democrazia e che de-facto andava trasformandosi in un’aristocrazia ereditaria. Due fazioni fautrici di visioni politiche ed economiche inconciliabili non solo per la schiavitù. Certo la “peculiare instituzione”, per dirla alla confederata, era la causa-bandiera. Quella per cui entrambe le fazioni potevano permettersi di ispirare ai propri soldati di andare a morire (dazi doganali e ordinamenti giuridici da questo punto di vista sono abbastanza fiacchi per animare una carica alla baionetta). Rimandiamo alla pagina di Wikipedia su Lincoln per la rassegna stampa in ambito storiografico1.
Il dibattito su Lincoln nel 2013
Al di là delle questioni squisitamente storiografiche sul ruolo del XIII Emendamento, le altre critiche sulla figura di Abramo Lincoln ai tempi del film di Spielberg, si limitavano a sottolineare l’ovvietà: che il 16° presidente degli Stati Uniti fosse un uomo del suo tempo. Anche nel linguaggio. Osservazioni lapalissiane per chi si occupa di Storia, ma che già nel 2013 iniziavano a farsi “notare” su Internet. Per dirla come la CNN di allora, i limiti figura di Lincoln al tempo del dibattito sul film sono i seguenti:
- Ha usato la “parola N” (Ovvero n****r) e ha raccontato barzellette razziste.
- Una volta ha detto che gli afroamericani erano inferiori ai bianchi.
- Ha proposto di porre fine alla schiavitù rispedendo gli schiavi volenterosi in Africa.
Insomma Lincoln parlava come un uomo del suo tempo. Usava la “parola con la N” avendo essa all’epoca una connotazione non ancora peggiorativa e offensiva (certo ai tempi di Lincoln c’era già chi la usava in senso deteriore, ma gli abolizionisti afroamericani pur affiancando e preferendo a essa il termine colored assolutamente neutrale, continuavano a usare la n-word vedasi il caso della questione afroamericana intorno alla White City dell’Esposizione Universale di Chicago in cui il pamphlet degli autori afroamericani usa i due termini in maniera quasi indifferente).
Inoltre Lincoln era favorevole alla American Colonization Society, ovvero la remigrazione degli afroamericani liberi in Africa: la “colonizzazione al contrario” in Africa Occidentale che aveva portato nel 1847 alla dichiarazione d’indipendenza della Liberia, il primo Stato africano indipendente ad avere la forma di repubblica. Insomma persino Lincoln non disdegnava la versione ante-litteram dello slogan “aiutiamoli a casa loro”.
Lincoln, un simbolo antifascista nella guerra di Spagna
Ma queste riflessioni che la CNN portava nel 2013 intorno alla mitologia di Lincoln pure non scalfivano il suo ruolo di figura ideale, spendibile su tutti i fronti che Lincoln aveva rappresentato per quasi un secolo mezzo. Durante la guerra civile spagnola i combattenti antifascisti statunitensi delle brigate internazionali erano inquadrati nel Lincoln Battalion, o Brigada Abraham Lincoln. Certo c’era di mezzo il Comintern, la Terza Internazionale Comunista a orchestrare il tutto, e quindi l’etichetta di Brigata Lincoln era plausibilmente l’unica spendibile in’ottica americana. Pure a combattere c’erano tremila statunitensi senza sulla carta distinzioni tra bianchi e afroamericani. I “veri comunisti” a stelle e strisce tra l’altro non dimenticheranno mai il ruolo nel loro immaginario di Abramo Lincoln.
Come abbiamo visto tra i più accaniti critici del 1619 Project (Su Storia in Rete N° 184 nell’approfondimento dal titolo Riscrivere la Storia: “il progetto 1619”) non ci sono solo l’ex presidente Trump e tutta la destra conservatrice americana. Ci sono anche i comunisti di ispirazione trozkista del Socialist Equality Party che attraverso il loro sito, oltre a proclamare la Quarta Internazionale, sono tra i più impegnati nel difendere Lincoln dal New York Times. Troppo semplice ridurre le convergenze tra Trump e i Trozkisti statunitensi al rossobrunismo.
Ritratti di Lincoln nelle case dei neri
E ancora negli anni della presidenza Obama la generazione di afroamericani cresciuta nel mito delle lotte per i diritti civili di Marthin Luther King continuava a vedere in Lincoln un simbolo del proprio percorso di emancipazione. Henry Louis Gates Jr., intelettuale afroamericano negli stessi giorni del primo giuramento di Barack Obama sulla bibbia di Lincoln mandava in stampa il saggio Lincoln on Race & Slavery, una raccolta di tutte le testimonianze scritte di Lincoln su razza e schiavitù. Corposa raccolta che ripercorreva il percorso e le contraddizioni del 16° presidente nei confronti dell’idea dell’emancipazione e della questione razziale e di cui Louis Gates Jr. curava l’introduzione. Negli stessi giorni in cui il volume andava in stampa Gates Jr. in un fondo sul The Root (webmagazine di prospettive afroamericane da lui fondato e diretto) ripercorreva i punti salienti dell’introduzione e del contesto in cui si è sviluppata la memoria di Lincoln. Ricorda Gates Jr. nell’articolo: «Da bambino la sua foto era in quasi tutte le case nere che io ricordi, l’unico uomo bianco, oltre a Gesù stesso, ad abbellire le pareti delle famiglie nere. Lincoln era un eroe per noi»2.
Posizioni critiche da De Bois a Malcolm X
Certo, come ricorda Gates Jr. c’erano già state voci critiche alla mitologia che necessariamente si era impossessata di Lincoln per farne un simbolo di una doppia riconciliazione nazionale. Riconciliazione nei confronti dei discendenti degli ex-schiavi. E in qualche modo nel confronto degli ex-nemici sudisti.
Gates Junior ricorda come negli anni Venti ci fosse stato W. E. B. Du Bois, tra i primi panafricanisti e uno degli uomini determinanti nel percorso che avrebbe fatto transitare il voto degli afroamericani dal Partito Repubblicano, il partito di Lincoln, al Partito Democratico, il partito degli Ex-Schiavisti. E che dalle pagine del The Crisis, la rivista ufficiale della National Association for the Advancement of Colored People, aveva dedicato nel maggio 1922 un ritratto in cui esaltava i limiti e le contraddizioni del 16° presidente. Lo descrisse con un paragrafo che si chiudeva così: «nelle crisi (Lincoln) era abbastanza grande da essere incoerente – crudele, misericordioso; amante della pace, combattente; disprezzare i negri e lasciarli combattere e votare; proteggere la schiavitù e liberare gli schiavi. Era un uomo, un uomo grande, incoerente e coraggioso».
Il breve ritratto firmato da Du Bois fu oggetto di feroci critiche tanto che l’intelettuale dovette tornare su Lincoln con un’editoriale a settembre dello stesso anno. Editoriale che si chiudeva così: «Le cicatrici, le manie e le contraddizioni dei Grandi non diminuiscono ma accrescono il valore e il significato della loro lotta per l’elevazione: è stato il sudore sanguinoso a provare il Cristo umano divino; sono state la sua vera storia e i suoi precedenti a provare che Abraham Lincoln è un principe degli uomini».
Questo era il livello della critica nera nei confronti di Lincoln negli anni Venti. Negli anni Sessanta il testimone di principale critico del mito di Lincoln passò a Malcolm X.
Lincoln tra Luther King e Malcolm X
Mentre i movimenti per i diritti civili che avevano come simbolo la figura di Martin Luther King continuavano a tenere in grande considerazione la figura di Lincoln. Tanto che il più famoso discorso di Martin Luther King, I Have a Dream, chiusura ideale della Marcia su Washington per il lavoro e la libertà del 28 agosto 1963, giocava di rimandi con l’immaginario lincolniano. Si considerava la Marcia su Washington come centenario del Proclama di Emancipazione (firmato da Lincoln il 22 settembre 1862), e il discorso di Luther King si tenne proprio dalla scalinata del Lincoln Memorial di Washington con più di un rimando al testo del discorso di Gettysburg di Lincoln.
Viceversa Malcolm X e la Nation of Islam, di cui fu portavoce per diversi anni prima di abbandonare l’organizzazione l’8 marzo 1964, vedevano un percorso di emancipazione nera fuori dall’ideale di integrazione. I veri diritti civili dovevano passare per l’empowerment degli afroamericani. Un percorso fatto di nazionalismo nero, separatismo, fino ad arrivare al cosiddetto suprematismo nero.
Inevitabile che tale percorso di emancipazione si ponesse in rotta di collisione con una figura simbolo del percorso di integrazione come Lincoln. In un contesto storico-politico in cui si stagliava la figura di Kennedy, e dove il giovane presidente cattolico veniva idealizzato come l’uomo che avrebbe potuto risolvere le contraddizioni d’America. Il dualismo tra i due presidenti, l’uno repubblicano e l’altro democratico, si sarebbe definitivamente compiuto con l’omicidio di Dallas. Kennedy assassinato come Lincoln. Nel giugno 1964, a pochi mesi dall’assassinio di Kennedy lo scrittore e critico letterario Robert Penn Warren intervista Malcolm X. In quest’occasione l’uomo simbolo dei musulmani afroamericani pronuncia a proposito di Lincoln una frase spesso citata: «Penso che probabilmente ha fatto più lui per ingannare i negri di qualsiasi altro uomo nella storia.»
Affermando poi che Lincoln non avesse alcun interesse nel liberare gli schiavi, ma solo nel salvare l’Unione a qualunque costo. Ma nel discorso è evidente il parallelismo che sia intervistato che intervistatore pongono tra Kennedy e Lincoln. Tanto che Warren, immediatamente dopo, chiede di mettere in relazione Lincoln con Kennedy, prima solo evocato. E Malcom X risponde: «E l’unica volta che Kennedy ha fatto qualsiasi, ha fatto qualsiasi azione anche solo per sembrare che si identificasse con i negri è stato quando è stato costretto. Kennedy non ha nemmeno fatto il suo discorso basato sul fatto che questo problema fosse una questione morale fino a quando i negri sono esplosi a Birmingham». Riferendosi al Report to the American People on Civil Rights, che Kennedy fece in diretta radiotelevisiva l’11 giugno 1963, a più di un mese dai fatti di Birmingham, che aveva visto tra l’altro l’arresto di Martin Luther King.
Per Malcolm X Lincoln e Kennedy si limitavano a sfruttare i neri americani solo per proprio tornaconto politico, senza aspirare a una vera emancipazione. Una riflessione più politica che storica.
Bennet Jr. e il Lincoln suprematista
A traslare sul piano storiografico la critica di Malcolm X nei confronti di Lincoln è, a quatto anni da quell’intervista, lo storico Lerone Bennett Jr. Questi era stato compagno di corso di Martin Luther King al Morehouse College di Atlanta, nel 1954 aveva già pubblicato sulla rivista EBONY l’articolo “Thomas Jefferson’s Negro Grandchildren“, articolo in cui dava evidenza al grande pubblico della memoria orale dei discendenti di Sally Hemings, schiava mulatta appartenuta a Thomas Jefferson, la cui tradizione familiare voleva che discendessero da una relazione tra la Hemings e il presidente. Memoria orale poi provata da analisi del DNA alla fine degli anni ’90. Altro lavoro determinante di Lerone Bennet il volume Before the Mayflower: A History of Black America, 1619–1962, storia dei neri in America dal 1619 al 1962. Volume determinante quarant’anni dopo, in quanto diretto ispiratore del famigerato Project 1619. La giornalista ideatrice Nikole Hannah-Jones ha dichiarato che quella data del 1619 le era rimasta impressa da quando l’aveva scoperta dal libro di Lerone Bennett ai tempi della scuola.
Nel febbraio 1968 Bennett, sempre sulle pagine di EBONY, dedicò un articolo a Lincoln dal titolo inequivocabile “Was Abe Lincoln a White Supremacist?”. Articolo che diventerà la base, trent’anni dopo, per il volume Forced into Glory. In questa contro-biografia di Lincoln pubblicata nel 2000 lo storico afroamericano criticava la mitizzazione di Lincoln, e il suo ruolo nel portare a compimento il XIII emendamento. Ponendo sotto lente di ingrandimento i trascorsi politici di Lincoln che non era certo stato né un abolizionista radicale, né un egalitario assoluto. E di come in prospettiva il XIII emendamento fosse stato svuotato nella versione che venne approvata grazie a Lincoln. Un saggio che andò incontro a critiche in quanto alla fine si basava su semplificazioni duali a quelle che mitizzavano Lincoln come elemento chiave dell’emancipazione. Il risultato, sia dell’articolo del 1968, che del volume del 2000 fu comunque relativo. Riprendendo gli articoli di giornale sul volume Forced to Glory coevi alla pubblicazione si ritrovano sostanzialmente lo stesso tipo di analisi critica sulla figura di Lincoln propria del pezzo della CNN sul film del 2013 citato all’inizio.
The 1619 Project
L’approccio di Lerone Bennet Jr. si ritrova sottotraccia anche nel 1619 Project del New York Times in cui si criticano più volte le posizioni di Lincoln, dimenticando il ruolo fondamentale di trascinatore di folle, in una guerra in cui, nonostante le premesse si trascinò per più tempo di quello previsto dalla borghesia industriale del nord. Due sono i passaggi nel saggio di apertura di Hannah-Jones, America Wasn’t a Democracy Until Black Americans Made It One, che chiamano maggiormente in causa Lincoln come un falso salvatore: «Come molti americani bianchi, Lincoln si oppose alla schiavitù come un sistema crudele in contrasto con gli ideali americani, ma egli si oppose anche si oppose all’uguaglianza dei neri. Egli credeva che i neri liberi fossero una ”presenza problematica” incompatibile con una democrazia intesa solo per i bianchi. “Liberateli, e renderli politicamente e socialmente nostri pari?”, aveva detto quattro anni prima. “I miei sentimenti non lo non lo ammettono; e se i miei lo ammettono, sappiamo bene sappiamo bene che quelli della grande massa dei bianchi“».
E «Il razzismo anti-nero scorre nel nel DNA stesso di questo paese, così come la convinzione, così ben articolata da Lincoln, che le persone di colore sono l’ostacolo
all’unità nazionale»3.
United States against Lincoln
Ma a far finire nel mirino della cancel culture e dell’ideologia woke Lincoln non è tanto il lavoro di figure come Bennet Jr. e Malcolm X sulle cui basi si poggia il The 1619 Project di Hannah-Jones. La mitopoiesi di Lincoln si fonda sulla figura di un presidente assassinato, di un martire. E 150 anni di costruzione del mito in questi casi non si scalfiscono con un’operazione come l’articolessa di Nicole Hannah-Jones. Basti vedere come resiste bene il mito dell’altro grande martire della Casa Bianca, J.F.K., nonostante il suo approccio al femminile non proprio adatto ai tempi del #metoo.
Sebbene le unioni di studenti afroamericani, come la Wisconsin Black Student Union tramite il suo portavoce Nalah McWhorter, facciano presente i limiti del Lincoln emancipatore secondo la strada tracciata da Bennet Jr. «Solo perché era antischiavista non significa che fosse a favore dei neri. Ha detto molte cose nelle sue campagne presidenziali. Il suo quarto discorso della campagna presidenziale, ha detto che crede che ci dovrebbe essere un inferiore e un superiore, e crede che i bianchi dovrebbero essere la razza superiore». (Intervista del 25 giugno 2020)
Il motivo diretto che permette di agire contro Abramo Lincoln è un altro: l’aver firmato l’Homestead Act del 1862 che costrinse ulteriormente gli indiani nelle riserve e, soprattutto, l’aver dato l’ordine per l’impiccagione di 38 indiani Dakota in Minnesota nel 1862.
Siamo dalle parti della “mossa Kansas City” applicata alla finestra di Overton… Sai che l’inganno volto a truffarti sta per arrivare. Ma il truffatore sa che tu sai. E sfrutta questo a suo favore, prendendoti alla sprovvista.
«Eh sì, Lincoln parlava come un uomo del suo tempo…»
«Ma no, il problema è che ha fatto impiccare gli indiani…»
Lincoln non come il generale Lee, ma come il generale Custer. Affermazione che lascia l’interlocutore completamente alla sprovvista.
Lincoln contro gli indiani
L’attenzione intorno questo “dettaglio” dell’attività di presidente di Lincoln inizia a diffondersi all’inizio del 2018, secondo anno di presidenza di Trump. Testimonianza indiretta di come il fatto storico arrivi al grande pubblico è un articolo del sito “anti-bufala” Snopes che il 14 marzo 2018 pubblica l’approfondimento Did Abraham Lincoln Order the Execution of 38 Dakota Fighters? Approfondimento che fin dal sottotitolo ribadisce “Dopo una violenta rivolta di nativi americani nel 1862, il presidente Lincoln firmò 39 esecuzioni ma evitò anche la morte di altri 264 combattenti Dakota.“
Sottolineando quindi come il presidente si fosse operato nella sua magnanimità e giustizia nel commutare le pene di quasi il 90 % dei condannati al termine della cosiddetta guerra di Piccolo Corvo, sollevazione degli indiani nell’area del Dakota e il Minnesota. Una visione storica obbiettiva che consente di salvare sia la prospettiva storica che il mito stesso di Lincoln. Nella disparità intorno alla questione delle terre di nativi, Lincoln non colma la disparità. Resta un uomo del suo tempo ma contestualmente consente il riesame dei processi. Un elemento che si perde man mano che la notizia delle 38 impiccagioni si diffonde. Si perde il contesto e Lincoln è l’impiccatore di indiani.
E dal dibattito sui media si passa al mondo reale, con le statue di Lincoln che iniziano a cadere e ad essere vandalizzate come vedremo nel prossimo approfondimento. La cancel culture non cerca più solo la «la rimozione delle statue che incarnano valori non democratici» come scrive Cinzia Sciuto su MicroMega4 ma ormai è all’attacco dei simboli stessi dei valori di Democrazia e Repubblica.
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Qui la seconda parte dell’articolo
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1 – Chi scrive è coautore dell’unico saggio in lingua italiana (ma anche in inglese non è che ci sia tutto questo materiale…) sull’impatto di Wikipedia nell’informazione, e sul ruolo che l’Enciclopedia Libera ha raggiunto nella divulgazione contemporanea. Ancorché di qualche anno orsono, poiché il saggio in questione è l’unico che trovate nelle biblioteche universitarie e, conseguentemente, messo a bibliografia nelle tesi di dottorato, il qui presente si sente autorizzato a citare e a fare riferimento alla famigerata Wikipedia, se e quando, lo ritiene opportuno. Wikipedianamente parlando, si accetteranno eventuali contestazioni solo qualora siano in biblioteca a Ca’ Foscari e in bibliografia nelle tesi di dottorato di cui sopra. Invettive e filippiche (rant per dirla all’americana) saranno cestinate in assenza di bibliografie della stessa caratura (Sempre wikipedianamente parlando).
2 – La stessa testimonianza sull’immagine di Lincoln e sulla devozione ricevuta dalla comunità nera citata nell’articolo di Gates del 2009 si ritrova undici anni dopo in, Black Perspectives, blog dell’AAIHS, African American Intellectual History Society
E. James West, The 1619 Project and the ‘Anti-Lincoln Tradition’, Black Perspectives, 11 agosto 2020
Ovviamente l’articolo del 2020 James West, accademico britannico (bianco), si concentra sul ruolo di Lerone Bennet Jr. e del 1919 Project citati più avanti nel nostro articolo. James West ha dedicato un volume proprio a Bennet e al suo ruolo nella rivista Ebony
3 – The New York Times Magazine – 1619 Project,
Nikole Hannah-Jones, “America Wasn’t a Democracy Until Black Americans Made It One“, pagine 20 e 21
4 – Dal convegno “Cancellare la Cancel Culture?” organizzato dall’Università di Verona online il 13 maggio 2021, intervento poi ripreso su MicroMega: Cinzia Sciuto, Contro il dogmatismo della Cancel Culture, in MicroMega, 04 – 2021, p. 28