di Andrea Scarabelli – da “I mattini dei maghi”, Storia In Rete n. 194, ottobre 2022
Colonne d’Ercole, 1942. Ultime ore dell’Europa, come titolava un vecchio libro sulla battaglia di Berlino d’un pugno d’anni dopo. La Xa Flottiglia Mas opera una serie di incursioni a Gibilterra e in Spagna, ad Algeciras, colando a picco quattordici navi inglesi. Sono imprese rischiose e spericolate, raccontate da Arturo Pérez-Reverte ne «L’italiano», uscito prima dell’estate per Rizzoli (pp. 414, € 20,00). Un libro il cui spirito eroico appare smorzato in una copertina dove, al posto del sottotitolo originale, «Una historia de amor, mar y guerra», c’è una frase di Umberto Eco, secondo cui Reverte ricorda Dumas e Salgari. C’è del vero nell’accostamento, in realtà, e ne parla Stenio Solinas nella nuova edizione di «Compagni di solitudine», in preparazione per Bietti, concentrandosi però su un’altra variante: nella copertina originale «c’è l’immagine di uno di quegli uomini-rana della Seconda guerra mondiale, con un sottomarino sullo sfondo, i marò della Xa Mas, protagonisti di missioni militari pericolose e spesso per loro mortali, che gli valsero l’ammirazione degli avversari». Da noi, invece, si vede un giovane abbracciare una ragazza, di spalle; guardandola, «uno pensa ai poveri, ma belli, dei film di Dino Risi in gita a Ostia. Ci siamo capiti». Nulla di ciò rimanda al protagonista del romanzo, Teseo Lombardo. Antico costruttore di gondole (il suo atelier esiste ancora, a Venezia; lo trovate tra il rio di San Trovaso e il Canale della Giudecca), «è uno dei tanti che sono nati eroi e non lo sanno». Il nome è un evidente omaggio all’elbano Teseo Tesei, anche lui Decima Mas, ideatore nel 1935 del «siluro a lenta corsa» (il cosiddetto «maiale») su cui operano i protagonisti de «L’italiano». Fautori di un’epica dell’avventura, si battono per spegnere i sorrisi ironici sul volto degli inglesi – è gente, per capirci, che prima di immergersi si rasa, per presentarsi sbarbata all’appuntamento con la morte. Contemptor Divum, «spregiatore degli Dèi», è detto Teseo, non per ostentazione, ma «perché la vita, la Storia, la sua patria, lo avevano messo nella necessità di farlo». Nel libro Pérez-Reverte intervista un sodale del protagonista, che gli dice: «Quanto è italiano tutto questo, non le pare?… Fare cose che altri non farebbero mai perché incapaci di immaginarle». E alla domanda se ne sia valsa la pena, lottare nel buio degli abissi contro l’acqua che intasa la maschera e il sale che ottunde la mente, senza la minima certezza di sopravvivere, la risposta è: «Ognuno combatte a seconda di chi è e di quello in cui crede. Conosce il vecchio slogan fascista “Credere, obbedire, combattere”? Non so se i nostri comandanti e ammiragli credevano. Noi sì». A innervare quella segreta guerra subacquea, sempre sotto falso nome, sempre all’erta, è una tragica sapienza, e pagana: «I fili del destino, gli strani meccanismi della vita e della morte, li reggono dèi crudeli». Gli stessi che, nel fatidico 1943, porteranno la Squadriglia Orsa Maggiore di Teseo a dividersi. Gli amici diventano nemici, mentre la Storia fa i conti. Ma il romanzo fotografa il gruppo poco prima, ancora coeso, quando far saltare una nave inglese era un’impresa non solo giusta – ma bella. «Mi batto perché mi batto» risponde Porthos, citato da Reverte, quando ne “I tre moschettieri” gli chiedono perché duelli con D’Artagnan. Un’ottima frase per la copertina, ben più evocativa di quella del fu semiologo Eco.
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