Massimo Rocca (1884-1973) è stato un anarchico e socialista rivoluzionario all’inizio del Novecento, e poi a fianco del Mussolini nell’interventismo del 1914 e poi, fu, dal 1919 al 1924, tra i massimi dirigenti del Fascismo. Con Giuseppe Bottai, ha guidato dal 1923 l’ala “revisionista” del Fascismo, in aperto contrasto con le posizioni oltranziste di Roberto Farinacci e dello squadrismo. Inizialmente appoggiato e incoraggiato da Mussolini, nel maggio 1924, poche settimane prima del delitto Matteotti, viene espulso dal Partito. L’anno dopo è costretto ad andare esule in Francia. Con questo suo “Il primo Fascismo” (Oaks editrice, pp. LXXXIV + 258, € 20,00) Rocca – attraverso una scelta di suoi articoli e saggi dell’epoca e un ampia introduzione di Fabio Andriola – ci restituisce un aspetto del “primo Fascismo” sorprendente se messo in relazione con i soliti cliché che riducono il movimento delle camicie nere ad una semplice accozzaglia di violenti e antidemocratici, rozzi, ignoranti e finanziati dal “Grande Capitale” e dagli agrari. Invece, dalle pagine di Rocca emerge un movimento composito, litigioso, con un forte dibattito interno, in buona parte orientato “a sinistra” e che, nella sua non trascurabile componente “revisionista” (che aveva una punta di diamante in Giuseppe Bottai), ipotizzava una normalizzazione in senso conservatore del Fascismo, normalizzazione che poteva arrivare anche a sciogliere il Partito fascista e allargare la gestione dello Stato anche ad ambienti e uomini estranei al Fascismo stesso. Una realtà completamente cancellata dalla storiografia ma che percorse tutta la storia del Regime con uomini e idee che Rocca aveva propugnato fin dal 1919. Una lettura fondamentale per inquadrare davvero cosa è stato il Fascismo.
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