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Il Fascismo contro la Camorra: la storia di Vincenzo Anceschi

di Edoardo Fiore da Il Barbadillo del 9 Dicembre 2017

“Quando finirà la lotta alla mafia? Finirà non solo quando non ci saranno più mafiosi, ma quando il ricordo della mafia sarà scomparso definitivamente dal ricordo dei siciliani”.  Così Mussolini  alla Camera dei deputati nel celebre Discorso dell’Ascensione del 26 maggio 1927  (http://cronologia.leonardo.it/storia/a1927v.htm).  In tale occasione descrisse i successi nella lotta alla mafia e, naturalmente  del  prefetto Cesare Mori. Immediatamente prima, nello stesso discorso, aveva però parlato della delinquenza di quella che era stata la smembrata provincia di Terra di lavoro (per intenderci ove ora allignano decine di clan camorristici ed è la terra dei casalesi). Riferendosi a una zona in particolare, quella dei Mazzoni, famosa oggi, oltre che per la camorra, per le deliziose mozzarelle di bufale, Mussolini ricordò trattarsi di  “…una plaga che sta tra la provincia di Roma e quella di Napoli, ex Caserta: terreno paludoso, stepposo, malarico, abitato da una popolazione che fin dai tempi romani aveva una pessima reputazione, ed era chiamata popolazione di latrones”.  Aveva elencato i delitti commessi in quella zona e nell’agro aversano negli ultimi anni: centinaia di omicidi, migliaia di rapine, estorsioni, furti, incendi, stupri ed altro. E, senza farne il nome,  aveva detto che lì aveva invitato un maggiore dei carabinieri con una ben precisa consegna: “Liberatemi da questa delinquenza con ferro e fuoco”. E aggiunse che “questo maggiore ci si è messo sul serio”, precisando che in pochi mesi erano stati arrestati, per delitti consumati o per misure di prevenzione,  nella zona dei Mazzoni 1.699 affiliati alla malavita e nell’aversano 1.278.

libro

Quel carabiniere era il maggiore Vincenzo Anceschi, il quale, pur avendo messo a ferro e fuoco quelle zone, come voleva il Duce, estirpando buona parte della camorra locale, a differenza di Cesare Mori, che nello stesso periodo operava in Sicilia,  è sconosciuto ai più. Una ricerca sul web dà scarsi risultati; si trova poco e niente: non una fotografia, nemmeno un rigo su wikipedia. Se si vuole sapere qualcosa su questo importante personaggio si deve far riferimento a quanto riportato di seconda mano dal libro, introvabile, pubblicato dal figliolo Enzo, pure ufficiale dei carabinieri, “I Carabinieri Reali contro la camorra” (2003, Laurus Robuffo; prefazione del Comandante generale dell’Arma dei carabinieri Guido Bellini). Ovviamente di taglio scientifico la tesi di dottorato in Storia presso il Dipartimento di Studi umanistici della Federico II di Napoli di Gianni Criscione “La camorra in Terra di Lavoro: dalla repressione post-unitaria a quella degli anni venti del novecento”. In tale lavoro si parla, nel capitolo dedicato a “Il fascismo e la camorra. Dagli anni venti agli inizi degli anni trenta”, anche della repressione della criminalità organizzata da parte del maggiore Anceschi nel periodo tra il novembre 1926 e l’aprile dell’anno successivo.  Eppure Anceschi, al pari del prefetto Mori per la mafia, è stata una figura di primo piano alla lotta alla camorra, se è vero, com’è vero, che nei cinque anni precedenti l’attività dell’ufficiale, dal 1911 al 1922, erano state scoperte e represse 36 associazioni a delinquere e dal 1922 al novembre 1926 solo  30,  il maggiore Anceschi invece  ne individuò e colpì in meno di sei mesi, tra il novembre del ’26 e l’aprile del 1927, ben 151.

Una figura quindi da riscoprire e da collocare, assieme a Falcone, Borsellino e tanti altri, nel pantheon della nostra memoria collettiva, ove  coloro che, distinguendosi nella lotta alla criminalità organizzata,  possano fungere da  esempio alle giovani generazioni.

@barbadilloit

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