È in libreria il saggio «Le spie naziste degli Stati Uniti» (Edizioni Idrovolante, pp. 238, € 17,00) scritto da Simone Barcelli, collaboratore di «Storia In Rete». Si tratta di una attenta inchiesta su come Washington già nell’immediato dopoguerra arruolò agenti segreti nazisti (inclusi alcuni criminali di guerra) nell’ambito della nuova guerra in atto: la “Guerra fredda” dell’Occidente contro il blocco comunista-sovietico. Tra i tanti temi possibili, Barcelli affronta qui un aspetto curioso della vicenda da lui ricostruita e cioè come “l’organizzazione Gehlen” (dal generale tedesco a capo dello spionaggio di Hitler e passato agli Usa) si dedicò alla caccia di una inesistente rete di spionaggio comunista
di Simone Barcelli per «Storiainrete.com»
Reinhard Gehlen, il generale della Wehrmacht responsabile durante la Seconda Guerra Mondiale del Fremde Heere Ost (FHO), una branca specializzata di intelligence dello Stato Maggiore dell’esercito tedesco operante sul fronte orientale, nel dopoguerra fu scelto e finanziato dagli Stati Uniti, che ne fecero un baluardo per contenere e contrastare la minaccia comunista proveniente dall’Unione Sovietica e dai suoi stati satellite.
La rete spionistica clandestina dell’Organizzazione Gehlen, che agiva in nome e per conto del Counter Intelligence Corps (CIC) e poi della Central Intelligence Agency (CIA), divenne nel 1956 il Bundesnachrichtendienst (BND), il servizio informazioni della Repubblica Federale Tedesca.
L’organizzazione Gehlen, insieme al personale della Gestapo e di altre autorità naziste, come sostiene lo storico Gerhard Sälter dell’Università Philipps di Marburg, ebbe un ruolo fondamentale nel far rinascere l’immagine nemica riconducibile in qualche modo a una nuova Rote Kapelle (Orchestra Rossa), una rete di spionaggio comunista all’epoca inesistente, tenendola in vita fino agli anni Sessanta del secolo scorso.
La caccia ai vecchi avversari ancora in vita, i membri e simpatizzanti sopravvissuti dell’Orchestra Rossa, usciti dalle prigioni o tornati dai campi di concentramento se non dall’esilio, servì insomma per legittimare ancora una volta il ruolo dei gerarchi nazisti, garantendo la loro sopravvivenza istituzionale, e nello stesso tempo escludere dalla vita pubblica tedesca gli oppositori, alimentando la paura di possibili infiltrazioni comuniste nell’apparato democratico.
Gehlen assunse allo scopo l’ufficiale delle SS Heinrich Josef Reiser, proprio colui che tra il 1942 e il 1943 aveva diretto le indagini sull’Orchestra Rossa a Parigi. A sua volta, Reiser, considerato un esperto in materia, dopo aver ristabilito i tanti contatti che aveva con i membri della Gestapo, dell’SD e della Polizia segreta da campo, ne fece assumere tanti nell’organizzazione: tra questi l’ex capitano del controspionaggio Harry Piepe, l’impiegato della Gestapo Rolf Richter e l’informatore della Gestapo Walter Klein. Ma evidentemente Gehlen non era ancora soddisfatto, e nell’autunno del 1951 accolse nel suo gruppo di lavoro anche Manfred Roeder, già consigliere della Corte suprema marziale del Reich, che da pubblico ministero aveva sostenuto le accuse nel processo contro il gruppo di resistenza berlinese del tenente colonnello della Luftwaffe Heinz Harro Schulze-Boysen, anche se questo non c’entrava nulla con l’Orchestra Rossa.
I gruppi arbitrariamente inseriti dai tedeschi nella cosiddetta Rote Kapelle (Orchestra Rossa), pur essendo tutti al servizio dei sovietici del GRU e dell’NKVD, erano ben distinti tra loro e solo la negligenza nei metodi spionistici ed emergenze operative fecero sì che si intrecciassero. Nonostante la loro progressiva disarticolazione, gli informatori rimasero per lo più sconosciuti. La rete spionistica del giornalista Leopold Trepper, un’agente dell’intelligence militare sovietica (GRU) che reclutava agenti e realizzava cellule clandestine di spionaggio in Europa, trasmetteva informazioni ai sovietici mediante operatori dislocati in Belgio e in Francia.
Il gruppo svizzero del cartografo Sándor Radó (nome in codice “Dora”, l’anagramma del suo cognome), neutralizzato nell’autunno del 1943 dalla Polizia Federale svizzera, trasmetteva a Mosca informazioni militari dettagliate delle operazioni pianificate sul fronte orientale, tramite l’anello di congiunzione berlinese denominato “Lucy”, gestito dall’editore Rudolf Roessler, una spia che da Lucerna operava in questa specifica rete. Nonostante le tante supposizioni avanzate, non si è mai saputo per certo da dove provenissero queste informazioni.
Rudolf Roeder, una spia che da Lucerna operava nella rete capitanata da Radó, alla fine della guerra aveva già collaborato anche con il Counter Intelligence Corps, e per questo il procedimento per crimini contro l’umanità nei suoi confronti, fu infine archiviato nel novembre 1951. L’operazione Crosshairs, il nome in codice scelto dell’Organizzazione Gehlen per la ricerca di migliaia di comunisti che all’epoca avrebbero continuato a cospirare nell’ombra in Germania Ovest (come sosteneva anche Roeder), assunse caratteristiche grottesche, come risulta dai dettagli spesso del tutto superficiali annotati nei dossier dei sospettati, tra cui comparvero anche nomi illustri: il membro della CSU Josef Müller, il segretario di Stato presso la Cancelleria federale Otto Lenz e il ministro federale Jakob Kaiser.
In fondo, tutta questa montatura orchestrata da Gehlen, era proprio ciò di cui necessitavano e volevano credere le agenzie di intelligence (americana, britannica e francese), cioè una rete di spionaggio sovietica nascosta che continuava a lavorare contro di loro, capace di infiltrarsi nelle istituzioni come quinta colonna, allo scopo di preparare imminenti rovesciamenti antidemocratici anche nella Repubblica Federale Tedesca.