Da «Storia In Rete» n. 153-154, luglio-agosto2018
Un saggio vorrebbe ricostruire i retroscena della riunione del Gran Consiglio che pose fine al Regime fascista ma dimentica la cosa più importante: tra le tante trame in atto c’era anche la strategia che il Duce stava seguendo per uscire dalla guerra a modo suo. Un ardito piano diplomatico che avrebbe portato alla pace tra Germania e Russia o all’uscita dell’Italia dal conflitto. Per costringere Hitler a seguirlo, Mussolini aveva bisogno di tutto. Anche di essere messo in minoranza dai suoi gerarchi…
di Fabio Andriola
Se avete voglia di testare la vostra capacità di stupirvi il suggerimento del mese è questo: prendete l’ultimo libro del professor Emilio Gentile, “25 luglio 1943” (Laterza, pp. 288, € 18,00), leggetelo e poi domandatevi: ma è possibile? Possibile “cosa”? Beh, ad esempio, se è possibile che un rinomato studioso riesca a compiere un clamoroso errore di prospettiva storiografica ricostruendo uno dei momenti più importanti della storia italiana del XX secolo: il 25 luglio 1943 appunto, quando cioè il Gran Consiglio del Fascismo, votando a stragrande maggioranza l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, al termine di una seduta fiume sfiduciò Benito Mussolini dopo quasi 21 anni di potere indiscusso. Come è noto, poche ore dopo, Mussolini venne arrestato per ordine del Re Vittorio Emanuele III dopo un’udienza, breve e drammatica, a Villa Savoia. Si apriva così la strada che avrebbe portato, in poco più di 40 giorni, al dramma senza fine dell’8 settembre, dell’invasione tedesca e della Guerra Civile.
Giusto quindi che alla data del 25 luglio sia stata dedicata una delle prime uscite della nuova collana che l’editore Laterza ha voluto per ricordare i “10 giorni che hanno fatto l’Italia”. Detto questo, visto l’autore e viste le più o meno recenti acquisizioni storiografiche e documentarie, ci si poteva attendere di più. Molto di più. Oddio… c’è anche chi si accontenta: ad esempio il solito Mieli sul “Corriere della Sera” che ha dedicato al libro la solita doppia lenzuolata. Oppure Raffaele Liucci che, su “Il Sole 24 Ore”, si è addirittura sbilanciato a definire il volume di Gentile “… senz’altro il più approfondito mai dedicato al tema”. Decisamente più con i piedi per terra il professor Eugenio Di Rienzo che, sul blog di Dino Messina su Corriere.it, ha pubblicato una puntuale – e critica – analisi del lavoro di Gentile, osservando ad esempio che: “Quest’opera testimonia, però, che negli intricati labirinti del 25 luglio è facile smarrirsi, perché il filo d’Arianna che potrebbe consentirci di trovare il cammino è stato, spesso, reso invisibile dalla cortina fumogena stesa dai tanti protagonisti e comprimari di quella giornata”. E infatti, Gentile nei meandri del 25 luglio si è coraggiosamente avventurato ma poi ha rapidamente perso la strada perché si è attardato ad inseguire “le cortine fumogene” stese da vari personaggi (Grandi e Federzoni su tutti e poi Bottai e l’ultimo segretario del PNF, Carlo Scorza) trascurando di approfondire a dovere cosa ci fosse dietro la “cortina fumogena” del principale protagonista di quelle ore: ovviamente Mussolini. Un protagonista sostanzialmente passivo per Gentile mentre, al contrario, ci sono molti elementi che fanno ritenere che il Duce in quei frangenti tutto sia stato tranne che passivo.
Tra le cose sorprendenti del libro di Gentile c’è sicuramente il modo con cui l’autore arriva a formulare la sua tesi su Mussolini: semplicemente parlando d’altro… Su poco più di 300 pagine si dedicano alla non-strategia mussoliniana poche righe, in testa e in coda. Lo stretto necessario per porsi domande che tutti si fanno da 75 anni e darsi una risposta che tutto è tranne che una risposta credibile e fondata (Di Rienzo l’ha definita “davvero priva di fondamento” tout court). Ecco come Gentile imposta il problema dell’atteggiamento di Mussolini: «Se Mussolini aveva compreso subito che l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi metteva in gioco l’esistenza del regime, perché – come è testimoniato da tutti i partecipanti alla seduta – non fece nulla per prevenire o impedire di metterlo in votazione, visto che mai una seduta del Gran Consiglio si era conclusa con una votazione, che non era neppure prevista né imposta dalla legge del 1928 con la quale il Gran Consiglio, da organo supremo del partito fascista, era stato trasformato in organo supremo del regime?». La risposta che Gentile si dà arriva qualche pagina dopo: «… perché durante tutta la seduta, fino alla votazione, non propose un proprio ordine del giorno o non rinviò la seduta, come era suo potere di fare e come altre volte era accaduto? Forse era rassegnato a perdere? O addirittura, come è stato sostenuto da alcuni partecipanti all’ultima seduta del Gran Consiglio, fu Mussolini stesso a desiderare, se non proprio addirittura a volere, l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi, perché, sentendosi ormai sopraffatto dalla disfatta militare e dal groviglio di una situazione tragica che non sapeva come risolvere, voleva uscire di scena?». La conclusione è senza appello: «… fu, come cercheremo di dimostrare alla fine della nostra indagine, l’eutanasia di un duce, che aveva perso il suo carisma».
Giornalisticamente questa storia dell’ “eutanasia di un duce” è risultata una trovata felice, spesso è stata ripresa e c’è da temere che in futuro avremo a che fare ancora con questa bella formuletta di successo, efficace ma priva di senso. Infatti nel suo libro Gentile trascura completamente il lungo e intenso lavorio diplomatico che aveva occupato Mussolini negli ultimi mesi, un lavorio diplomatico che mirava a favorire una pace tra Urss e Germania nazista ad est per consentire, una volta arrivati ad un armistizio, alle armate tedesche di rovesciarsi in Occidente e nel bacino del Mediterraneo e sbaragliare definitivamente gli anglo-americani. Per raggiungere questo obbiettivo Mussolini poteva contare su vari alleati: praticamente tutte le potenze minori dell’Asse (Romania, Bulgaria, Ungheria, Finlandia…) e soprattutto sul Giappone (che, pochi ricordano, non era in guerra con la Russia e non lo sarà fino all’estate 1945 quando sarà Mosca ad aggredire l’ex alleato ormai alle corde). Quindi, un primo risultato del 25 luglio che Gentile trascura, è che la causa della pace ad est perse di colpo il suo principale fautore. E chi si poteva avvantaggiare dalla caduta di Mussolini? Soprattutto l’Inghilterra di Churchill che da una pace Hitler-Stalin avrebbe avuto tutto da perdere. E perché non ricordare (anche solo di sfuggita) i cordiali rapporti tra Grandi e Churchill, prima e dopo la Guerra mondiale?
Congetture? Forse. Ma prima di classificarle nella categoria “complottismi” (come se i complotti e trame segrete, specie in diplomazia, non esistessero da sempre) aspettate di arrivare fino in fondo. E di sapere alcune cose sul 25 luglio che nel libro di Gentile, chissà come mai, non ci sono. Eppure nel volume si mettono bene in chiaro alcuni aspetti che, pur non essendo delle novità assolute, hanno comunque un loro interesse perché spiegano come in certi momenti della Storia convergano quasi d’improvviso cospirazioni e progetti diversi tra loro eppure convergenti per direzione ed effetti. Una cosa che Gentile mostra di aver ben presente, ad esempio, è che il 25 luglio ci furono due “complotti” contro Mussolini: uno, quello dei gerarchi fascisti, che tendeva più che altro a depotenziare il dittatore senza rimuoverlo dal potere ma privandolo, a vantaggio del re, della condotta militare della guerra; il secondo, quello dei militari e alla fine anche di Vittorio Emanuele III, che invece mirava a scalzare Mussolini e sostituirlo con un militare (Badoglio alla fine ma a lungo si pensò al non meno anziano Maresciallo Caviglia). I due piani arrivarono a convergere nei tempi pur rimanendo distinti e sostanzialmente indipendenti perché così volle Casa Reale (specie con la sua eminenza grigia, il Duca Acquarone, ministro della Real Casa) e senza che i congiurati fascisti sapessero davvero come sarebbe stato sfruttato il loro voto. Insomma, come è facile immaginare in un periodo di grandi tensioni e incertezze, molte trame si stavano sviluppando a Roma. Ed è mai possibile che il solo Mussolini fosse l’unico a muoversi senza retropensieri che non fossero quelli relativi ad una pur comprensibile voglia di fuga?
L’apparente apatia – e sottolineiamo idealmente quell’ “apparente… – di Mussolini nel luglio del 1943 trova in Gentile la spiegazione che abbiamo detto: un cosciente e desiderato suicidio politico per uscire da una situazione senza sbocchi. Ma da varie fonti sappiamo con certezza che invece il dittatore era attivissimo anche dopo il non soddisfacente vertice con Hitler a Feltre, il 19 luglio precedente. Poco prima dell’incontro di Feltre, Mussolini aveva scritto ad Hitler in modo inusitatamente schietto: «Il sacrificio del mio Paese non può avere per scopo principale quello di ritardare l’attacco diretto alla Germania (…) Credo, Führer, che sia giunta l’ora di esaminare attentamente in comune la situazione, per trarne le conseguenze più conformi agli interessi comuni e di ciascun Paese». Come è noto a Feltre le cose non andarono come sperato da Mussolini: Hitler fece orecchie da mercante, prese tempo sulla pace con la Russia (si era appena concluso con un insuccesso tedesco la grandiosa battaglia di Kursk che doveva ridare definitivamente l’iniziativa a Berlino contro i sovietici) anche perché voleva trattare da una posizione di vantaggio militare. Ma soprattutto, Hitler rilanciò parlando per la prima volta delle famose armi segrete che avrebbero ribaltato il corso della guerra. Colpito dall’inaspettato bombardamento di Roma, Mussolini pose fine all’incontro prima del previsto e rientrò nella Capitale. Il suo piano “B” stava prendendo forma. Un piano tutto politico ovviamente di cui abbiamo già parlato su “Storia In Rete” in lungo articolo sul numero 93/94 del luglio-agosto 2013 e che trova vari punti di appoggio in alcuni studi pubblicati da tempo, ultimo dei quali è un saggio importante (“Storia In Rete” ha parlato anche di questo) come “Le potenze dell’Asse e l’Unione Sovietica 1939-1945” di Eugenio Di Rienzo ed Emilio Gin (Rubettino, 2013). Né questo saggio né i suoi autori sono citati nelle note o nella bibliografia del libro di Gentile nonostante un intero capitolo (non a caso intitolato “L’ultima carta di Mussolini”) sia dedicato proprio a temi diplomatici strettamente connessi – anzi intrecciati – con il 25 luglio 1943. Intanto occhio alle date: il 19 luglio sera Mussolini è a Roma e il 21 viene convocata formalmente la riunione del Gran Consiglio per il pomeriggio del 24. Il 23 luglio poi accorda un’udienza all’ambasciatore giapponese Hidaka per la mattina del 25 luglio. In quell’incontro, il Duce annuncerà al diplomatico che entro tre giorni avrebbe fatto un passo formale verso i tedeschi: «Qualora la Germania non dia corso immediato a tutte le richieste di materiale da guerra da noi finora avanzate, l’Italia si troverà costretta a dichiarare di non poter più assolvere i compiti dell’alleanza». L’affondo sarebbe arrivato tra il 28 e il 29 luglio quando sarebbe arrivato a Roma il numero due del regime nazista: il pragmatico Hermann Goering, che Mussolini sapeva favorevole ad una pace ad est.
In questo contesto, un voto a lui contrario da parte del Gran Consiglio era per Mussolini un’ottima carta da giocare: il Gran Consiglio non poteva decidere nulla, i suoi uomini si erano compromessi con mille piaggerie e adulazioni (imbarazzante l’antologia di lettere di Grandi al Duce che fornisce Gentile) e non avrebbero concluso nulla. Mussolini li conosceva bene e non si sbagliava. Purtroppo però pensava di conoscere bene anche il Re che invece si rivelò l’elemento dissonante che mandò all’aria tutto. Una decisione veramente sorprendente visto che i due avevano già concordato, come risulta da più fonti, l’uscita dell’Italia dalla guerra entro il 15 settembre. Insomma, Mussolini intendeva usare il Gran Consiglio nella sua strategia, altro che “eutanasia”. Nel già ricordato articolo su “Corriere.it”, Eugenio Di Rienzo ha lucidamente riassunto quella che sembra la più probabile e documentabile strategia di Mussolini: «Mussolini cercò di sbloccare la situazione con una mossa che proprio perché tanto arrischiata poteva essere, però, persuasiva. Sorretto dalla certezza che, sfiduciato dal Gran Consiglio, Vittorio Emanuele, legato a lui, nel bene e nel male, dal ventennale connubio tra monarchia e fascismo, lo avrebbe immediatamente reinsediato alla guida del governo, egli sarebbe stato in grado di trattare da una posizione di forza con il Cancelliere del Reich. Il Duce, infatti, avrebbe potuto sostenere con Hitler che nel futuro, venendo a mancare un massiccio aiuto militare tedesco che solo l’armistizio con Mosca poteva assicurare, un nuovo tentativo di defenestrarlo sarebbe andato sicuramente a buon fine. In questo caso, dopo la sua caduta, l’Italia si sarebbe ineluttabilmente sganciata dall’alleanza con il Tripartito, con gravi conseguenze sul bastione meridionale e balcanico della “Fortezza Europa” che comportavano la possibilità dell’occupazione angloamericana degli aerodromi del settentrione della Penisola da cui intensificare la guerra aerea al territorio austriaco e alla Germania meridionale».
A conferma ulteriore e definitiva va ricordato che Mussolini ammise di lavorare ad un Dossier antitedesco fin dall’estate 1939. Quel dossier nel luglio 1943 doveva ormai avere proporzioni enormi (e nella Rsi sarebbe cresciuto ancora di più, salvo poi sparire come tutte le carte più scottanti dell’archivio mussoliniano) anche perché fu aggiornato fino all’ultimo. Nel 2003 sono emersi alcuni fascicoli – oggi all’Archivio Centrale dello Stato – finiti in mano ai Savoia. Tra quelle carte ne spicca una in particolare che porta la data del 25 luglio 1943: si tratta di un “Promemoria per il Duce” firmato dal generale Carlo Favagrossa, ministro per la Produzione Bellica, riguardante le “Materie prime e materiali bellici forniti dalla Germania all’Italia dal 1940 ad oggi”. Un documento interessante perché dimostra che Berlino era stata decisamente avara di aiuti (specie in armi e mezzi di trasporto) ma soprattutto perché ci dimostra che Mussolini, già nelle ore successive alla riunione del Gran Consiglio, era tutt’altro che apatico ma era nel pieno svolgimento del suo piano per mettere alle strette i tedeschi. Entro qualche giorno quel piano l’avrebbe portato finalmente ad una svolta comunque decisiva per se, per il Regime e per l’Italia. E invece, nel pomeriggio del 25 luglio, l’inatteso cambio di atteggiamento del Re sconvolse tutto. E così non ci fu pace ad est come temevano gli inglesi mentre ci fu l’armistizio con gli anglo-americani con tutto quello che ne è seguito. Come in questo contesto possa stare in piedi l’ipotesi dell’ “eutanasia di un duce che aveva perso il suo carisma” resta un mistero che il libro di Gentile si guarda bene di svelare.