di Marina Militare da Difesa Online del 24/11/15
Le date parlano chiaro, il 17 novembre 1860 un Regio Decreto fuse in un unico corpo gli ufficiali provenienti dalle flotte Sarda, Partenopea, Siciliana, Toscana e (per la parte adriatica soltanto) Pontificia, organizzando altresì amministrativamente la Regia Marina. Il Regno d’Italia, di cui quella Forza Armata era uno strumento, fu per contro proclamato soltanto il 17 marzo 1861 dal parlamento italiano riunito a Torino che ora includeva anche i deputati delle nuove provincie.
Non si trattò, beninteso, di una coincidenza, ma dell’ennesima tappa di un lucido percorso economico e politico.
Il calcio d’inizio di questa partita decisiva per un Paese che doveva ancora nascere avvenne il 17 marzo 1860, quando il Ministero della Marina diventò separato e autonomo rispetto a quello della Guerra, tradizionalmente in mano all’Esercito. L’Austria preferì, viceversa, continuare come nel 1814 mantenendo, fino alla fine della Grande Guerra, un unico dicastero dove la Marina era relegata, da parente povero, a un semplice sottosegretario e si sa come è finita.
Il primo titolare del nuovo Ministero fu Cavour, né fu un caso. Quel Presidente del consiglio, da buon economista e letterato, non voleva certo delegare ad altri quel prezioso strumento navale in vista dei prossimi, ormai intuibili grandi avvenimenti che sarebbero culminati, di lì a poco, in un’impossibile unità del Paese cui nessuno, davvero credeva.
La Marina sarda aveva già dato prova di grande vivacità intellettuale ordinando, sin dal 1814, alcune grosse fregate “all’americana”, più veloci degli avversari più potenti e più potenti degli avversari più veloci. Non si trattò di elefanti bianchi in quanto tutto il resto del naviglio, oltre alla logistica, alla cantieristica e alle scuole crebbero in proporzione, realizzando così, nel giro di 10 anni di amorevoli cure costanti a opera del capo di Stato Maggiore dell’epoca, l’ammiraglio Giorgio des Geneys, quella che gli inglesi chiamano una well balanced navy.
Certo, all’inizio i contribuenti, in primo luogo i genovesi, non furono precisamente entusiasti, ma ancora una volta i numeri parlarono chiaro e nessuno come i nuovi sudditi sabaudi della Liguria era in grado di apprezzare l’andamento del dare e dell’avere. In soldoni il costo complessivo delle prime due fregate da 60 cannoni, Maria Teresa e Commercio di Genova, fu di 3 milioni di “lire nuove di Piemonte” ripartite in 5 esercizi. L’incremento del gettito fiscale relativo al commercio marittimo del Regno di Sardegna nel Mediterraneo, per contro, grazie all’avvenuta repressione della pirateria dalla Marina e alla riapertura dei traffici oceanici dopo la fine di Napoleone ammontarono, da allora in poi, a mai meno di 120 milioni di lire l’anno, secondo gli Annali Universali di statistica economica, salvo balzare oltre quota 150, quando la Marina Sarda istituì, dal 1834, una stazione navale in America Latina, promuovendo e tutelando gli interessi di tutti gli italiani, qualsiasi fosse il loro regno o ducato di provenienza. Si trattò di un’iniziativa geniale che, a fronte del costo fisso delle navi, degli equipaggi e della loro attività e manutenzione, assicurò un ritorno concreto sia economico che d’immaginecon ricadute di lungo periodo fortissime. Nel corso del Risorgimento, infatti, tanto per fare qualche nome, Raffaele Rubattino, il grande armatore dei Mille, era genovese, ma i fratelli Orlando erano siciliani e Adriano Lemmi, “il banchiere di Garibaldi e Mazzini”, livornese. Erano tutti imprenditori attivi, ognuno a suo modo, nel comparto marittimo ed erano tutti sicuri, sulla solida base dell’esperienza maturata negli anni, di poter contare sull’affidabilità della Marina, Sarda dapprima, italiana poi, investendo di conseguenza al pari dei loro corrispondenti stranieri.
Se poi si pensa che il denaro speso per le costruzioni navali serviva per pagare gli operai (nutrendo le loro famiglie, 4.000 delle quali soltanto a Genova nel 1830), mandare avanti e potenziare le imprese e la ricerca (locomotive, fonderie, meccanica e così via), incrementare la Marina mercantile (un quarto di quella italiana, terre austriache incluse, nel 1848) facendo vivere, in tal modo, altri 30.000 capofamiglia col relativo indotto e, ultimo ma non ultimo, a pagare le tasse, dai privati cittadini fino alle Società Anonime, chiudendo così il circuito, è evidente che la proclamazione di Vittorio Emanuele II a Re d’Italia per Grazia di Dio e Volontà della Nazione era anche il suggello di un lungo discorso economico che nacque dal Mare e da un’intelligente applicazione del Potere Marittimo.
Intendiamoci, niente di strano. In fin dei conti, come affermò nel giugno 1955 a Oxford (scherzando, ma fino a un certo punto, coi giornalisti) il già Presidente della Repubblica e grande economista Luigi Einaudi in occasione del conferimento, fattogli da quell’università, di una laurea honoris causa: il denaro è liquido, ma sa di acqua salata.