Incontro con Guido Damini, autore e protagonista del podcast “Le Caporetto degli altri”
testo di Gianluca Corbani – foto di Paolo Mazzini da Riflessi Magazine di novembre 2023
Guido Damini non è un divulgatore qualsiasi. Cremonese di Porta Romana, 28 anni, una carriera iniziata quasi per scherzo in piena pandemia, lo “storico da bar” che ogni lunedì interviene ai microfoni di Radio Deejay coltiva una missione difficile e grandiosa: cambiare per sempre, in Italia, il racconto di guerre, personaggi e imprese del passato.
Ricordate i vecchi manuali gonfi di date, di lunghe cronologie di eventi? Ecco, se vi apprestate a leggere questo articolo, dimenticateli in fretta. Perché l’idea di Storia di Guido è quella di uno show che restituisca il senso generale delle cose, una materia da aprire alla gente attraverso l’immediatezza e l’ironia. Preferibilmente, prendendo qualcuno per i fondelli.
Una Storia che, attraverso la leggerezza della comunicazione, possa fornire a tutti – “al pendolare al volante, all’operaio, al trasportatore distratto” – le chiavi per un’analisi intelligente del presente. Ma soprattutto, una Storia lontana dal politically correct, dai soliti stereotipi monolitici e dalla pesantezza del vecchio nozionismo.
Dissacrante, istrionico, un po’ influencer e un po’ prof (da pochi mesi è anche docente al Liceo Vida), i capelli volutamente arruffati, Guido non parla: sorprende. Mai un pensiero banale. Mai l’aneddoto che ti aspetteresti di sentire. E quando a veicolare cotanto spasso, poi, è quella voce profonda, che pare concepita apposta per dominare qualsiasi medium, beh, il gioco è fatto.
Volete una prova? Ascoltatevi le ‘’Le Caporetto degli altri’’, la serie prodotta per One Podcast (spin-off di Radio Deejay), dedicata alle epiche disfatte di popoli e condottieri stranieri. Un viaggio alla scoperta della psicologia dei nostri vicini di casa, immortalati nel fragore delle loro sconfitte.
Da Lepanto ad El Alamein, due stagioni e 20 episodi scritti da Damini con genialità, spesso nel cuore della notte. «E quasi sempre in ritardo: per natura sono pigro, così mi riduco a lavorare a poche ore dalle scadenze» aggiunge Guido, mentre inauguriamo l’intervista, naturalmente seduti in un bar, nel cuore di una città addobbata per la festa del Torrone… altrimenti che storico da bar sarebbe.
Guido, come si passa direttamente dalla laurea magistrale in Storia ai microfoni di Radio Deejay?
«Potrei raccontarvi, con l’innocenza dei puri, che tutto è iniziato per caso, ma sarei un bugiardo. In realtà, avevo un piano malvagio. Ve la faccio breve. È il 2020, sono ormai prossimo alla laurea magistrale quando esplode la pandemia: improvvisamente mi trovo isolato, in casa, senza un relatore con il quale sviluppare la tesi. Come se non bastasse, in quei giorni nefasti mi si rompe pure il pc. Non mi resta che la matita: per ‘’riconquistare’’ il professor Gianclaudio Civale, e convincerlo a seguirmi nella tesi, mi invento un disegno nel quale raffiguro io e lui, appassionatamente ed eroicamente insieme, nel cuore della battaglia di Lepanto. Quindi, in preda alla noia, decido di espandere il lavoro: lancio un appello su Instagram e invito chiunque desideri apparire nel disegno a mandarmi la foto di uno sguardo battagliero. In breve tempo, oltre duecento persone si candidano, arrivo a venti fogli in formato A4. Finché… finché capisco che, giocando sul tema della cremonesità, quel disegno può diventare virale, essere venduto, e magari trasformarsi in un mezzo per agganciare contatti importanti. Contatti chiave per il mio futuro lavorativo, per scampare insomma alla vita di stenti che attende qualsiasi laureato in Storia».
E qui arriva la vera svolta…
«Sì, perché tra i concittadini famosi inseriti nella mia personalissima versione della battaglia di Lepanto, disegno anche i volti di Andrea Marchesi e Michele Mainardi, noti speaker di Radio Deejay. Attraverso un amico regista già inserito nel mondo dei media e dello spettacolo, Alessandro Prato, inoltro il disegno ad Andrea, che si incuriosisce e richiede una copia. Così vengo notato, scoperto e infine reclutato, proprio da Andrea e Michele, per la mia prima rubrica in radio: Guido nella Storia».
I tuoi interventi radiofonici con Andrea e Michele sono piuttosto concentrati: in pochissimi minuti ti è richiesta competenza storica, vivacità dialettica, prontezza nelle risposte alle domande che ti vengono posto. Il tutto, mentre una discreta fetta d’Italia ti ascolta. Dev’essere stato difficile, soprattutto all’inizio, abituarsi a questa pressione, se vogliamo a questo tipo di stress.
«In realtà no. Nessuna forma di ansia da prestazione. Anzi: sono una persona pigra, per attivarmi ho il disperato bisogno di ricevere stimoli forti. Necessito di quell’adrenalina. E poi, fin dalle recite in oratorio, da bambino, ho sempre trovato eccitante il parlare in pubblico. Successivamente, negli anni dell’università, ho potuto affinare le mie tecniche: per ogni esame ho allestito un piccolo show. In fondo le prove orali non sono altro che dissimulazione e strategia. E infine, ai microfoni di Radio Deejay, ho rafforzato questa mia predisposizione naturale. Coniugandola con la passione per la Storia. Anche questo, un amore che viene da lontano, dal profondo dell’infanzia, quando mia nonna, al posto della ninna nanna, mi addormentava raccontandomi le peripezie di Cristoforo Colombo».
L’aneddoto più esilarante dell’esperienza in radio?
«Per più di un anno la rubrica è andata in onda alle 7 del mattino. Ecco, tutto perfetto finché una mattina, un maledetto lunedì mattina, non ho sentito la sveglia. A 50 secondi dal collegamento, vengo svegliato da una telefonata raggelante della redazione di Radio Deejay: ‘’Guido, ci sei? Tra pochissimo vai in onda!’’. E io: ‘’Ma certo, sono sveglissimo!’’. Non ci crederete ma, improvvisando un po’, me la sono cavata e nessuno si è accorto del piccolo imprevisto’’.
Sinceramente, quanto contribuiscono al tuo successo radiofonico-divulgativo le tue conoscenze storiche e quanto la tua potenza comunicativa, la tua capacità espressiva e di improvvisazione?
«Senza dubbio, sono al 100% un comunicatore creativo. È vero, ho una laurea in Storia, ottenuta con il massimo dei voti e la lode, e ci mancherebbe altro. Ma quanti laureati in Storia ci sono in giro? Tantissimi. Non ho un dottorato, non ho una cattedra all’università. Pubblicazioni nel curriculum: zero. Sono uno “storico da bar”, nel senso che non ho particolari titoli e non me la tiro. Ma probabilmente, è in virtù di questo che posso raccontare la Storia più o meno a tutti, chiacchierando come se fossi al bancone durante un aperitivo o un caffè e non in un circolo accademico. E poi ritengo che, con il trionfo universale di Internet, l’epoca della buona ricerca sia tramontata».
Spiega pure.
«Intendo che le nozioni e le fonti da cui personalmente attingo, nel mondo interconnesso del 2023, potrebbe trovarle chiunque. Il punto è uscire dai confini della lezioncina ripetuta a memoria. Conoscere la Storia significa unire i puntini. Non è tanto la Storia degli eventi, quanto la Storia delle strutture degli eventi. I legami tra i grandi temi. La Storia ci aiuta a capire come si comportano gli esseri umani quando si organizzano in comunità. Invece, ora che tutti gli storici sono settorializzati e ultra-specializzati, il rischio è quello di perdere la visione d’insieme. E poi, lasciatemelo dire, ogni tanto ci vuole anche una risata».
Ma è opportuno scherzare su fatti storici piuttosto gravi? Come si racconta con ironia, senza risultare blasfemi, battaglie o tragedie che hanno lasciato sul campo migliaia e migliaia di morti?
«La comicità è il mio marchio distintivo. Non la abbandono nemmeno quando, da storico, rievoco autentici bagni di sangue. Perché? È molto semplice: Dio ha dato agli uomini il senso dell’umorismo per affrontare la vita, anche nei momenti più bui. L’ironia ci aiuta a vedere il lato buffo della vita, a cambiare prospettiva, anche a fronte di avvenimenti tragici e dolorosi. Ma in una società come la nostra, quella contemporanea, il confine tra ciò che sacro e ciò che non lo è si è drammaticamente sfumato. Tutto è diventato serio, pesante, inattaccabile. Appena ironizziamo su un determinato tema, chiunque è pronto a mettersi sulla barricata. Così, però, vince l’ipocrisia. E la noia».
Come sei considerato dagli altri storici, dalla tua comunità scientifica di riferimento?
«Per ora ignorato. Quando inizieranno a coalizzarsi contro di me, a criticarmi, a sbeffeggiarmi, come fanno con Barbero, vorrà dire che sarò diventato qualcuno».
Il momento storico che avresti voluto vivere, da testimone diretto, sul posto?
«Ovviamente, la battaglia di Lepanto. Tempi distanti dal grigiore di oggi, ci si odiava seriamente. Tempi in cui gli uomini si battevano la propria fede, per Dio, non per motivi futili quali il petrolio o la geopolitica. Ma in generale, ogni battaglia è ammantata da un suo fascino. Dev’essere tremendo ma anche affascinante, esserci in quell’inferno, e magari chiedersi: e se oggi muoio? Se resto menomato? Spaventoso. Ma forse sono quelli i momenti definitivi, attimi che valgono la pena di essere vissuti».
Guido, qual è il tuo sogno?
«Senza falsa modestia, sento sulla pelle una missione: quella di divulgare la Storia in modo diverso, e prosperare. Ho sempre detestato l’idea per cui, se vuoi costruirti un lavoro ben remunerato, la via umanistica è quella sbagliata. Credo sia giunto il momento di rovesciare questo pregiudizio. Perché, per avere un buon stipendio e un certo tipo di carriera, dovremmo essere tutti ingegneri o manager? Ecco, vorrei dimostrare che un’altra strada è possibile: che anche la Storia può portarti successo. Non mi nascondo, l’ambizione è quella di arrivare, un giorno, a produrre documentari storici, venderli a grandi gruppi editoriali, esportarli. È questo che voglio dimostrare: con la Storia, e la cultura, si mangia».
Mentre l’aperitivo si conclude, intanto, raschiamo le ultime noccioline dal fondo della ciotola. Usciamo insieme dal locale, e mentre continuiamo a conversare – di genti e costumi, di cibo e società – lo storico da bar viene fermato per strada da un fan: «Ma sei tu Guido?! Complimenti, ti seguo sempre!».