Nel ‘700 partenopeo i re illuminati della Casa di Borbone univano la cultura dei Lumi alla civiltà cristiana, e creavano quei primi esempi di “Stato sociale” che due secoli dopo saranno la norma
di Nicola Comite (Da “Portici Online”, IV-V 2008)
La cultura illuministica napoletana del ‘700 influenzò nei Borbone una vera e propria politica sociale ante litteram che prese le mosse da una radicale trasformazione edilizia senza eguali in Europa, che conferì a Napoli il meritato titolo di capitale europea. Ne sono espressione la Reggia di Caserta, la Reggia di Capodimonte, quella di Portici, la Biblioteca Nazionale, il Foro Carolino (piazza Dante), il teatro San Carlo e non ultime la opere dello “architetto di ragione” Ferdinando Fuga, fiorentino di nascita ma napoletano di adozione, che arrivato a Napoli durante il Regno di Carlo di Borbone vi rimase per oltre 30 anni, fino alla morte. Tale politica di sostegno ai poveri fu avviata con la costruzione dell’Albergo dei Poveri per l’ospitalità ai poveri vivi, e del cimitero delle 366 fosse, per l’ospitalità ai poveri morti, entrambe affidate al Fuga, e che vide la massima espressione nella Colonia di San Leucio, prima esperienza sociale fondata su avanzate teorie illuministiche. Ferdinando IV commissionò al Fuga la costruzione nella zona di Poggioreale del Cimitero delle 366 fosse per dare una degna sepoltura ai malati dell’Ospedale degli Incurabili e comunque a tutta la povera gente. Vennero per la prima volta introdotti criteri nuovi di sepoltura coerenti con l’epoca dei Lumi. Sino ad allora solo ai nobili erano destinate singole sepolture, tutta la povera gente era destinata alle fosse comuni e nel migliore dei casi alle Terresante delle chiese e degli ospedali.
Il Cimitero del Fuga rovesciava ogni criterio vecchio adottato e resta oggi un frammento di quella grande utopia settecentesca. Esso abolì l’indegna sepoltura in fosse comuni ed introdusse un geniale e nuovo sistema costituito da 366 lastroni di pietra, uno per ogni giorno dell’anno, più uno per l’anno bisestile. Il Cimitero era di forma quadrata e su di un lato ospitava i Servizi: cappella, sala mortuaria e “casa dei becchini”. All’interno il cortile era suddiviso in 366 fosse disposte in 19 righe per 19 file per un totale di 360 fosse alle quali vanno aggiunte altre 6 fosse disposte all’interno dei locali Servizi. Ciascuna fossa era ricoperta da un lastrone di pietra lavica, estratta dalla cava di Portici, quadrata, di circa 80 cm di lato e numerata progressivamente in cifre arabe. Al di sotto di ognuna una camera di circa 4 metri quadrati, profonda 12 metri, ospitava le salme, ma a 10 metri di profondità era interrotta da una rete metallica con funzione di filtro per gli umori. Perciò ogni fossa numerata riportava l’esatto giorno dell’anno, partendo dal primo gennaio fino al 31 dicembre ed ogni defunto veniva calato nella fossa corrispondente alla data di decesso.
Venivano così risolti contemporaneamente problemi sia di ordine sanitario e urbano che di ordine religioso e sociale; si facilitava inoltre il culto dei morti poveri perchè conoscendo la data del decesso era semplice avvicinarsi alla fossa corrispondente ed amici e parenti potevano pregare sulle ossa dei loro cari. Era stata inoltre introdotta una particolare macchina, improntata a pietà cristiana, che consentiva di calare il defunto nella fossa, sistemato in una cassa con fondo a rilascio che poneva fine alla indegna e macabra usanza di “gettare” il corpo nella fossa. Veniva di conseguenza anche ridotto al minimo lo spostamento dei macchinari di sollevamento della pesante pietra lavica,poiché operandosi in sequela, ogni fossa veniva a turno aperta al mattino e richiusa la sera per aprire l’indomani quella successiva. Fu un fulgido esempio di “Cimitero collettivo”, testimonianza di una società tesa al rinnovamento che finalmente possedeva un “Cimitero del popolo” che restò aperto dal 1762 al 1890. Tutto ciò avveniva molti anni prima dell’osannato Editto Napoleonico sui cimiteri. Oggi il Cimitero delle 366 fosse versa in un totale stato di abbandono ed è invece un fulgido esempio della inerzia della attuale classe politica.
Nicola Comite