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Storia, non storie

Europa addio

In questi giorni mi è capitato di leggere, a proposito degli Stati Uniti, che il re americano è nudo, avendo rinunciato alle dichiarazioni ipocrite di convenienza a proposito di Gaza e dell’Ucraina per passare al decisionismo più brutale in nome degli interessi USA.

Mi sembra piuttosto che la svolta americana abbia messo a nudo il reuccio europeo che si trova bypassato senza cerimonie dall’alleato d’oltreoceano che gli presenta senza troppi riguardi il conto di decenni di inerzia politica e di sicurezza a buon mercato a spese degli Stati Uniti.

I segnali che il vento della Storia aveva ripreso a soffiare impetuosamente dopo il tracollo dell’Unione Sovietica, travolgendo certezze ed equilibri superati, si erano moltiplicati negli ultimi decenni, ma non erano stati colti nel Vecchio continente.

Le ex grandi potenze europee erano in tutt’altre faccende affaccendate. La Francia occupata a far crollare la Libia per nascondere le mazzette prese dal suo presidente, innescando un terremoto nel Nord Africa che, sotto il nome di primavere arabe, ha destabilizzato gran parte del Medio Oriente.

La Germania intenta a pagare i conti della riunificazione e preoccupata solo di assicurarsi risorse energetiche a buon prezzo dalla Russia per sostenere le sue imprese e tenere al caldo i tedeschi.

L’Inghilterra con un piede dentro in Europa e un piede fuori, concluso poi con la brexit, con l’intento di non permettere che l’Unione Europea procedesse verso una crescente integrazione che potesse farne un vero protagonista sulla scena mondiale, emancipandosi così dal vassallaggio nei confronti dagli Stati Uniti, e turbando lo splendido isolamento insulare dell’Inghilterra stessa.

Questa politica, peraltro, non è nuova nella storia del Vecchio Continente.

Ogni volta che una potenza europea ha perseguito una politica di egemonia continentale ha sempre trovato la Gran Bretagna sul suo cammino per impedirne il successo. Così è stato nel caso della Spagna nel ‘500; così egualmente quando ci provò la Francia napoleonica nei primi anni dell’800; e così quando il tentativo venne perseguito dalle potenze germaniche, una prima volta nel 1914 e una seconda 25 anni dopo, nel 1939-40. In questi ultimi due casi, direi, fortunatamente.

Sono contesti ovviamente molto diversi e il paragone è un po’ ardito, ma il risultato è stato sempre lo stesso: l’Inghilterra è stato sempre l’ultimo, insuperabile ostacolo per questi tentativi. Con una differenza però nel caso dei due conflitti mondiali del 900. L’Inghilterra in questi casi non è stata sufficiente, e si è dovuti ricorrere all’intervento decisivo degli Stati Uniti, i quali, una volta messo piede nel Vecchio Continente, hanno perfettamente capito che i contrasti tra le potenze europee consentivano all’America di svolgere un ruolo egemone sul mondo occidentale e non solo: così fu alla Conferenza di Parigi del 1919 e così, in misura anche maggiore, alla successiva Conferenza nella stessa città del 1947.

Dopo quest’ultima data, l’Europa aveva ormai perso l’anima, anche se molti dei vecchi Paesi già protagonisti della storia mondiale non se ne rendevano conto, o si rifiutavano di farlo. Tutto apparentemente continuava come prima, anche perché la presenza aggressiva dell’URSS e dei suoi satelliti imponeva un congelamento delle dinamiche europee sotto l’ombrello degli Stati Uniti e della NATO.

In questo contesto le vecchie potenze hanno avuto tempo e modo di dar vita a una Comunità e poi a una Unione sempre (e quasi sempre inutilmente) più vasta, attivissima sul piano della costruzione di regole commerciali, finanziarie, giuridiche, etiche, spesso destinate a rimanere sulla carta, ma inerte e litigiosa sul piano della politica globale e inerme sul piano della preparazione militare.

Questa è l’Europa che si è trovata presa in contropiede dal crollo dell’URSS, al quale non ha saputo dare una risposta di coinvolgimento della nuova realtà russa nel quadro europeo nei confronti del quale la Russia, da Pietro il Grande in poi, ha sempre mostrato una sia pur contraddittoria attrazione. La risposta è stata invece un allargamento della NATO fino ai confini russi, dando per scontato che la nuova Russia fosse destinata a essere un Paese dominato dai nuovi oligarchi, irrecuperabile alla democrazia, utile solo come fornitore di energia a buon prezzo e rispettabile esclusivamente per l’arsenale atomico che continuava a conservare nei suoi vecchi depositi.

Ma la Russia, anche se malconcia, ha una tradizione storica imperiale. E’ abituata a pensarsi come un impero e, chiunque sia il leader che la guida, non può accettare di vedersi in uno stato di minorità, assistendo al distacco dei Paesi che in passato ne hanno fatto parte o hanno ruotato nella sua orbita. Tanto più dopo essere stata respinta e messa all’angolo da parte di un’Europa sempre pronta a dare lezioni agli altri, continuando però a restare imbozzolata e paralizzata nel suo intreccio di commissioni, corti, legislazioni, regolamenti e quant’altro.

E’ questo il quadro in cui nasce l’invasione dell’Ucraina del 2022 da parte della Russia, ultimo atto (per ora) dopo altri passi aggressivi nelle aree circostanti.

La risposta occidentale la conosciamo. Con gli Stati Uniti in testa, appena fuggiti con ignominia dall’Afghanistan, invio crescente di armi al Paese aggredito e sanzioni economiche sempre più pesanti alla Russia: una politica a cui si è associata, con maggiore o minore entusiasmo, tutta l’Europa, vedendo gran parte dei suoi leader impegnarsi con proclami di un sostegno senza limiti all’Ucraina fino alla sua vittoria, incurante nel frattempo dei danni che subiva sul piano economico.  

Ma tutta questa retorica poggiava sul presupposto dell’immutabilità della politica americana di aiuti a pioggia all’Ucraina. E’ bastato un cambio della guardia alla Casa Bianca e quindi dell’approccio politico degli Stati Uniti al problema, in nome di più pressanti interessi americani su scala globale, per lasciare nudi sulla scena globale i leader europei, capaci solo di balbettare affermazioni di circostanza.

Nonostante tutte le rassicurazioni, il nodo ucraino sarà sciolto (se lo sarà) passando sulla testa dell’Europa, alla quale saranno lasciati solo i conti da pagare per la ricostruzione del Paese distrutto e per montare la guardia a una possibile linea di cessate il fuoco. Almeno questo è quello che promette il nuovo imperatore. Magari è solo fuffa per i giornali, destinati, come è noto, a diventare il giorno dopo carta per avvolgere il pesce. Ma oggi questo è lo stato dell’arte.

L’Europa probabilmente farà finta di reagire con proclami bellicisti destinati però ad esaurirsi in breve nella palude dei contrasti tra i suoi membri. Di fatto, sarà lasciata a leccarsi le ferite della crisi energetica ed economica, del declino demografico e dell’immigrazione senza regole (anche se non per tutti allo stesso modo). Libera di cullarsi in esercizi di retorica politicamente corretta, di politiche green suicide, di leggi e regolamenti sempre più pervasivi, paralizzanti e spesso inapplicabili. Insomma libera di giocare con i suoi riti cartacei e verbali mentre il mondo va in un’altra direzione e il Vecchio Continente, che per secoli ha esercitato la sua egemonia su scala mondiale, si avvierà così, come l’orchestra che continuava a suonare sul Titanic, verso un declino ormai probabilmente irreversibile: tra l’altro senza neppure rendersene pienamente conto.

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