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Storia, non storie

Equivalenze storiche valide ieri come oggi: Bolscevismo = CEKA= KGB

La ristampa, a oltre ottanta anni dalla prima edizione, del ponderoso saggio sulla rivoluzione sovietica e sul partito comunista russo (Il Bolscevismo, Introduzione di Aldo G. Ricci, OAKS Editrice, pp.360, euro 28) del germanista Guido Manacorda (Acqui Terme 1879, Firenze 1965), costituisce una buona notizia, perché si tratta dello studio più serio e documentato del fenomeno uscito negli anni del fascismo. Basti ricordare che lo stesso Mussolini, dopo averne ricevuto copia nel gennaio del 1940, lo definì “la migliore sintesi e la più rigorosa documentazione che sia stata pubblicata fino ad oggi sull’argomento”.

Professore universitario di letteratura tedesca, Manacorda si avvicinò al fascismo all’inizio degli anni Trenta, avendo anche colloqui con Mussolini e poi, nel 1935, durante una visita a Berlino, con lo stesso Hitler, che aveva apprezzato i suoi lavori di traduzione del Faust e dei testi delle opere di Wagner. A seguito di questi incontri il professore si trovò anche a far da tramite tra i due leader, che culmina nel loro incontro del 1937. Sono gli anni della guerra civile spagnola e della crociata delle destre internazionali contro il comunismo e il germanista prestato alla politica mette da parte i suoi studi abituali e si dedica con tutte le forze allo studio della Rivoluzione d’Ottobre, considerato come una missione politica oltre che come un impegno sul piano della ricerca storica. Nasce così Il Bolscevismo, che avrà diverse nuove edizioni fino al 1943. Dopo la caduta del fascismo, Manacorda aderirà alla RSI e per questo verrà epurato nel 1946, dedicandosi poi al giornalismo e alla saggistica filosofico-religiosa.   

Nella sua produzione scientifica, prevalentemente letteraria, la composizione de Il Bolscevismo rappresenta, come si è detto, un capitolo a sé stante. Il titolo è significativo. Non è centrato sul comunismo in generale, ma sul bolscevismo, vale a dire sulla variante russa del comunismo, quella creata da Lenin e portata avanti da Stalin. Il sostantivo bolscevismo, o l’aggettivo bolscevico, oggi sono quasi usciti dal linguaggio corrente, ma in tempi neppure tanto lontani indicavano quasi un rafforzativo del termine comunista, evocando direttamente la versione dura e pura che ne aveva dato Lenin. Se si scorre l’indice del ponderoso saggio di Manacorda, ci si rende subito conto che non si tratta di un pamphlet d’occasione, ma di uno studio accurato e documentato, come era nello stile di un accademico come il Nostro.

Il volume si apre con una prima parte dedicata alle origini del fenomeno e quindi al marxismo, all’ateismo collegato al materialismo e ai rapporti tra cattolicesimo e comunismo (a cui l’autore è particolarmente attento); segue una seconda parte dedicata alla morale, alla politica e all’economia e quindi una terza sull’arte e la propaganda, seguita da una scelta di documenti sovietici. Le pagine dedicate alla politica si aprono facendo giustamente riferimento al famosissimo testo di Lenin Stato e Rivoluzione, scritto tra agosto e settembre del 1917 ( e pubblicato nel maggio del 1918), nell’attesa di rientrare a San Pietroburgo per guidare l’insurrezione. Secondo l’ortodossia marxista, ricorda Manacorda, lo Stato viene concepito come “un provvisorio destinato a ‘deperire’”.  “Espressione felice”, commenta Lenin nel testo citato, “perché esprime insieme lentezza e spontaneità del processo”.

Ma… C’è un ‘ma’. La Russia del 1917-1918 non si trova ancora nella società comunista. Ci sono nemici di ogni tipo: aristocratici, borghesi, militari reazionari ecc. Questi nemici devono essere combattuti e schiacciati, secondo i bolscevichi, e questo può avvenire soltanto con lo strumento utilizzato fino a quel momento per opprimere il proletariato, cioè proprio lo Stato. Lo Stato esercita il suo potere totalitario attraverso la dittatura, quella dittatura che Lenin aveva definito molto chiaramente in uno scritto dell’ottobre del 1920. “Il concetto scientifico di dittatura, spiegava, non implica altro che un potere illimitato, non circoscritto da alcuna legge, da alcuna norma, direttamente fondato sulla violenza. Nient’altro che questo significa il concetto di ‘dittatura’ “. 

Lo strumento insostituibile per l’esercizio di un tale potere assoluto era naturalmente la polizia politica o segreta, come spiega con precisione Manacorda nel capitolo dedicato alla morale e alla giustizia. La polizia politica con il nome di Ceka viene creata, già nel dicembre del 1917, come strumento preventivo per la difesa della ‘rivoluzione’: “la spada e lo scudo del partito” la definisce Lenin. Da quel momento la Ceka ha mano libera e ‘lavora’ praticamente indisturbata, mentre il Terrore rosso si scatena su scala nazionale. I suoi colpi alla porta alle prime luci dell’alba diventano l’incubo permanente dei cittadini sovietici. L’organizzazione cambierà più volte nome (Gpu, Gpru, Nkvd, Mgb e infine Kgb), ma i suoi metodi e i suoi obiettivi non muteranno affatto, accelerando o decelerando la repressione e il terrore secondo le direttive del momento, e dimostrando che la polizia segreta dei tempi degli Zar, l’Ochrana, era in realtà una organizzazione di dilettanti al confronto con la polizia sovietica.  

La polizia segreta terroristica è insomma il vero elemento specifico del DNA del bolscevismo, come spiega con parole diverse Manacorda nel capitolo dedicato all’argomento. Oggi il suo nome è ancora cambiato (Fsb), ma la sostanza è sempre la stessa. Non a caso Putin, che si è formato nelle fila del Kgb, preferisce addirittura definirsi un cekista, rivendicando quindi una continuità con le origini della polizia bolscevica, anche se esibisce spesso, con compiacimento, forse perché più coreografiche, simbologie risalenti all’impero zarista, con la benedizione delle più alte gerarchie della Chiesa ortodossa patriottica.

Insomma, ancora e sempre la ‘Russia eterna’, come amano definirla i suoi attuali governanti, tenuta in piedi dalla sua altrettanto eterna polizia. Per questo un libro come Il Bolscevismo, scritto più di ottanta anni fa, su questi, ma anche su altri aspetti del comunismo sovietico, è ancora un libro attuale. 

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