Enigmi storici: il dossier antitedesco di Mussolini alla vigilia del 25 luglio ’43

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Le carte segrete di Mussolini del 1942-’43 gettano nuova luce sui retroscena di una fase cruciale della Seconda guerra mondiale. Si apre il dossier consegnato da Umberto II al maggiore Alicicco: forse faceva parte della famosa «valigia di Dongo». Il tentativo del dittatore di prendere le distanze dai tedeschi e il suo stupore per l’accoglienza dei siciliani agli «invasori» angloamericani

di Francesco Perfetti da “Il Sole 24 Ore” del 6 aprile 2003

Il 13 giugno 1946 fu una giornata decisiva per la storia italiana. Di prima mattina Umberto II aveva ricevuto il ministro della Real Casa Falcone Lucifero, visibilmente agitato, per discutere dell’atteggiamento da tenere, dopo che, verso le due della passata notte, il consiglio dei ministri aveva adottato una risoluzione, che solo il liberale Leone Cattani si era rifiutato di firmare e che gli ambienti monarchici assimilavano a un «colpo di stato». La risoluzione stabiliva – per quanto la Corte di Cassazione, il 10 giugno, si fosse limitata a rendere noti i voti ottenuti dalla monarchia e dalla repubblica e si fosse aggiornata ad altra seduta – che la comunicazione dei risultati dei referendum aveva portato automaticamente alla instaurazione di un regime transitorio durante il quale le funzioni di Capo dello Stato sarebbero state esercitate ope legis dal presidente del Consiglio in carica. Umberto prese in esame più alternative: arrestare l’intero Governo, far finta di nulla oppure lasciare il Paese dopo una energica protesta. Fu quest’ultima la soluzione che adottò e, mentre i suoi collaboratori redigevano il testo del proclama da diffondere dopo la partenza, egli si preparò per il viaggio che avrebbe segnato l’inizio del suo esilio.

Prima di lasciare il Quirinale, si rivolse a uno dei suoi ufficiali addetti all’anticamera, il maggiore Mario Alicicco (già ufficiale di collegamento col servizio di informazione militare britannico) e gli consegnò un pacco incartato con fogli di giornale e tenuto insieme da uno spago, dicendogli: «Qui ci sono documenti riservati. Li consegno a lei con l’incarico che non vedano la luce prima di cinquant’anni».

Comincia, in questo modo quasi romanzesco, la straordinaria storia di un gruppo consistente e importante di documenti – relativi all’ultimo periodo della storia del fascismo e appartenenti certamente a Mussolini – di recente consegnati dalla famiglia Alicicco all’Archivio centrale dello Stato di Roma. Di questi documenti la rivista «Nuova Storia Contemporanea» nel fascicolo in edicola da domani ricostruisce le vicende e analizza il contenuto con un ampio saggio di Fabio Andriola, redatto sulla base di accurate ricerche e di testimonianze: un saggio che offre una chiave di lettura di quel materiale in apparenza composito e al tempo stesso spiega la logica con la quale esso fu raccolto e selezionato da Mussolini.

Il maggiore Alicicco rimase fedele alla consegna di Umberto II, ma fece esaminare i documenti dal suocero, il giornalista e scrittore Gino D’Angelo, fascista convinto e seguace di Mussolini anche nell’avventura repubblicana. Questi accarezzò l’idea di pubblicarli in un volume e ne stese un lungo commento, conservato dalla famiglia Alicicco e rimasto inedito probabilmente per non violare la promessa fatta a Umberto II.

D’Angelo – che scriveva verso la metà degli anni Cinquanta – dava per scontato che quei documenti facessero parte delle carte che Mussolini portava con sé, durante la fuga, nella famosa “valigia” e riteneva, anzi, che non avesse interesse per il lettore eventuale la storia della «lunga e perigliosa via seguita per giungere fino a noi» di quel complesso di documenti «che solo la confusione e la fretta con cui furono poste le mani sui bagagli della colonna di Dongo valsero a salvare da ben diverso destino».

L’ipotesi è plausibile soprattutto se collegata con la vicenda di un agente del Sis, il Servizio informazione della Marina, che probabilmente svolgeva il ruolo di agente doppio al servizio della Repubblica sociale italiana ma che in realtà era fedele a Casa Savoia. Questi, il cui nome era Aristide Tabasso, venne fortunosamente in possesso, in competizione con agenti inglesi e statunitensi, di una parte consistente dell’archivio mussoliniano. Tabasso – come ha poi raccontato il figlio – consegnò le carte al Quirinale direttamente nelle mani di Umberto II alla presenza di un ex partigiano.

Accanto a tale ipotesi, Andriola ne suggerisce una seconda pur essa plausibile, che parte dalla considerazione che i documenti in questione sono tutti relativi al periodo che va dal 1942 al luglio 1943 e, quindi, non si riferiscono ad avvenimenti successivi alla caduta del fascismo. Essi avrebbero potuto far parte di carte rimaste a Roma o, comunque, sotto il controllo del Regno del Sud e non più rientrate quindi in possesso del Mussolini di Salò.

Comunque sia – tanto nella prima quanto nella seconda ipotesi -, resta il fatto che i documenti provenivano da un “archivio segreto” o, se si preferisce, “personale” del duce, non riconducibile alla serie archivistica nota come «Segreteria particolare del duce». Non sembra, infatti, in altre parole, da porsi in dubbio il fatto che essi siano stati selezionati dallo stesso Mussolini – lo conferma non solo il fatto che essi contengono manoscritti di pugno del duce ma anche che le intestazioni dei fascicoli sono state redatte da lui – per costituire un “dossier” con precise finalità.

I documenti in questione sono 112, compresi in 271 fogli singoli e contenuti in 11 fascicoli. Sono prevalentemente documenti di natura militare che riguardano la Francia, la Russia, l’Africa settentrionale, i Balcani, il convegno di Salisburgo-Klessheim fra Hitler e Mussolini del 7-10 aprile 1943, il problema della produzione bellica e degli aiuti tedeschi, il viaggio del generale Ambrosio in Sardegna, la situazione generale del giugno 1943, lo sbarco alleato in Sicilia, la corrispondenza fra i due dittatori e alcune varie. Si tratta di carte, tutte, di natura molto eterogenea – autografi, direttive, corrispondenza, relazioni, intercettazioni telefoniche e via dicendo – ma, nel complesso, di carte che hanno una loro unitarietà di fondo: carte, cioè, attinenti a problemi relativi all’andamento della guerra e, al tempo stesso, carte che hanno una sostanziale valenza antitedesca. Qualche documento è già noto, presente in altre collocazioni archivistiche, ovvero è stato utilizzato da Mussolini stesso, altri invece sono del tutto inediti.

Allo stato attuale è possibile soltanto fare qualche ipotesi sui motivi che potrebbero essere a monte della costituzione di questo archivio o “dossier segreto”. Si potrebbe, per esempio, pensare – stante il carattere antitedesco della documentazione raccolta – alla preoccupazione di Mussolini di volersi precostituire qualche “alibi” o qualche argomento difensivo in vista di polemiche o processi a guerra perduta ovvero di raccogliere materiale da utilizzare in seguito, in tempi più propizi, per qualche lavoro che pensava di scrivere. Queste ipotesi, ovviamente, sono congruenti con la tesi che le carte in questione facessero parte della famosa “valigia” di Mussolini, ne costituissero cioè il segmento, per così dire, militare. Ma, anche, altre ipotesi potrebbero essere suggerite accettando la tesi che esse non abbiano abbandonato Roma. Si potrebbe pensare, in questo caso, a documentazione selezionata e raccolta come base documentaria in vista di qualche incontro politico di alto livello o, persino, in vista di qualche trattativa riservata, non esclusa neppure quella di una anticipata uscita dal conflitto mondiale.

Non a caso la parte più consistente, più articolata e più significativa dei documenti riguarda lo sbarco alleato in Sicilia e fa vedere come sia ormai in atto lo scollamento della alleanza italo-tedesca anche al più basso livello dei reparti impiegati nei combattimenti, come il morale delle truppe fosse andato deprimendosi e come la stessa popolazione siciliana stesse ormai volgendosi con simpatia verso gli alleati. Emblematica in proposito è la lunga conversazione telefonica tra Mussolini e il generale Guzzoni del 16 luglio 1943 – una conversazione sottolineata di pugno dal duce nelle parti più significative – dalla quale si evincono l’incredulità dello stesso Mussolini di fronte al resoconto delle accoglienze cordiali riservate dai siciliani agli anglo-americani e il suo stupore di fronte alla denuncia dell’interlocutore sulla impreparazione militare della Sicilia.

Sulla impreparazione militare italiana – o sul divario di forze – un promemoria del generale Ambrosio è esplicito. Vi si legge, dopo una enumerazione degli elementi di forza dell’esercito angloamericano: «In sintesi il nemico, disponendo di una assoluta preponderanza aerea e navale, ha effettuato lo sbarco con relativa facilità e con tutta sicurezza. Una operazione del genere poteva essere contrastata soltanto con l’intervento di una aviazione e di una marina altrettanto forti quanto quelle del nemico. Poiché questa superiorità aerea e navale non potrà essere colmata, dobbiamo concludere che il nemico è oggi in condizioni di poter effettuare sbarchi in qualsiasi punto del nostro territorio. Il solo vincolo potrà essergli imposto dalla configurazione della costa, dalla distanza dalla base di partenza e dalle condizioni del mare. E poiché senza dubbio il nostro contrasto aero-navale è stato inferiore all’aspettativa del nemico, c’è da dubitare che in avvenire il nemico possa essere indotto ad intraprendere azioni oltre mare ancora più ardite, senza ricorrere allo schieramento dei mezzi di protezione che ha ritenuto indispensabili nella prima operazione».

Un quadro nero, nerissimo che trova un preciso contrappunto nelle relazioni redatte per il duce del giornalista Bonaventura Caloro e dal funzionario del ministero della Cultura popolare Annibale Scicluna sull’organizzazione dei servizi civili e militari, sulla inaffidabilità delle forze militari, sullo stato d’animo delle popolazioni terrorizzate dai bombardamenti. Da queste relazioni emergono l’immagine di una popolazione «rassegnata e che accetta una situazione che non può rovesciare», ma anche il quadro di gente che si sbraccia, grida e impreca contro il regime e la guerra voluta dal regime.

Il senso della prossima fine del regime si percepisce anche in altri documenti come per esempio in una lettera che il consigliere nazionale Alberto Asquini, appena rientrato dalla Germania, inviò a Mussolini il 22 luglio 1943 per avvertirlo che in ampi settori della classe dirigente si era aperta una “falla morale” che avrebbe potuto avere “conseguenze estreme” e alla quale, a suo parere bisognava reagire facendo sentire al Paese che non esisteva «altra alternativa se non la guerra a oltranza».

I documenti analizzati per «Nuova Storia Contemporanea» da Fabio Andriola, ora resi disponibili alla consultazione degli studiosi, formano un corpus organico che spiega la presenza di materiali editi e inediti, conosciuti o ignoti. E proprio come corpus organico – anche se ne risulta evidente la manomissione, mancando in alcune cartelline documenti indicati come conservati dalla mano stessa di Mussolini – essi vanno presi nella debita considerazione. Sono “carte segrete”, anche quando sono note: le “carte segrete” raccolte dal duce per svelare «l’altra faccia dell’Asse».

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