di Marco Cimmino per l’Identità – 9 luglio 2022
Quella di Eden in fiamme (Castelvecchi, pp. 192, € 17,50) è una storia lunga quasi cent’anni: una storia di guerra, d’amicizia, d’avventure e d’amore. Così si potrebbe iniziare una recensione dell’ultima fatica di Gabriele Marconi. Oppure, potremmo esordire dicendo che la trilogia di cui Eden in fiamme è la terza ed ultima parte è un’opera circolare: un magnifico looping, in cui l’inizio e la fine, in fondo, coincidono. E, ancora, si potrebbe parlare di romanzi storici o fare riferimento alla saga dei Moschettieri di Dumas. Ecco, quando di un libro si potrebbero dire tante cose diverse, significa che ci troviamo al cospetto di un’opera di narrativa realmente di gran livello. E così è, infatti: se il romanzo ultimo scorso di Marconi è un gran bel libro, la trilogia, nel suo complesso, rappresenta davvero un lavoro come se ne vedono pochi, nel nostro panorama letterario.
Innanzitutto, lo stile: l’autore lascia che il racconto vada avanti quasi per suo conto. I personaggi agiscono, si esprimono, si rapportano tra loro e con l’ambiente circostante con straordinaria naturalezza: questa è una delle caratteristiche peculiari della scrittura di Gabriele Marconi ed è ciò che rende i suoi romanzi così fluidi. Tanto che, quasi sempre, iniziarli significa restare imprigionati nella storia, fino a che non si giunga all’ultima pagina: sono libri che si leggono d’un fiato, proprio per questa scorrevolezza formidabile della trama, dell’intreccio, dei dialoghi.
Poi, va sottolineata l’estrema umanità dei personaggi, spesso amplificata da una sorta di pastiche linguistico che l’autore utilizza nelle sequenze dialogiche: un Neorealismo senza l’insopportabile carica didascalica e la retorica ideologica del Neorealismo vero e proprio. In verità, i romanzi di Marconi sono, semplicemente, reali: attingono alla vita vera e vissuta. Sovente, infatti, personaggi e situazioni richiamano fatti veri e persone realmente esistite.
Infine, dall’assenza di “messaggio” deriva un altro genere di messaggio, più vero e più pieno: un messaggio che funziona come il diapason di Schiller e che costringe chiunque condivida con lo scrittore una stessa Weltanschauung, un sentimento delle cose e degli uomini, a vibrare all’unisono con i personaggi della trilogia.
Insomma, dentro questi tre libri, che sono, lo ricordo, Le stelle danzanti, ambientato a Fiume, Fino alla tua bellezza, in cui la storia si svolge a cavallo tra la Guerra di Spagna e quella di Etiopia e questo Eden in fiamme, che copre un periodo che va dalla Guerra civile alla fine del XX secolo, possiamo trovare scampoli di noi stessi: le nostre passioni, i nostri ideali e, talora, le nostre tragedie, grandi e piccole.
La genesi dell’opera rimonta a diversi anni fa, ma, seguendo una specie di bizzarro sentiero a ritroso, l’ultimo capitolo della saga ha permesso – con un’intuizione di Marconi che ha del geniale – di inglobare un quarto volume all’interno del corpus trilogico: si tratta di un romanzo, ben noto ai frequentatori della letteratura alternativa, intitolato Io non scordo. Il romanzo raccontava di un punk (un tempo militante della destra radicale) che, rifugiatosi in uno scantinato, scopriva dei fascicoli ultrasegreti sui principali misteri politici del dopoguerra: il nome di quel ragazzo era Giaco. Ebbene, Giaco, proprio quel Giaco, si rivelerà, in Eden in fiamme, il nipote di Giulio Jentile, ovvero del capostipite della saga, protagonista dei primi due volumi della trilogia. Ecco, dunque, che un libro scritto molto tempo prima, diventa l’ultimo tassello di un’opera successiva, con un’operazione davvero singolare e, probabilmente, unica nello scenario della letteratura contemporanea. Il che viene ad aggiungere fascino a un’opera che già ne aveva in abbondanza.
La storia di Eden in fiamme ruota intorno a diverse vicende, storiche e umane: per cominciare, quella personale di Giulio Jentile, qui non più giovane ardito fiumano o audace quarantenne, ma anziano, acciaccato dalla vita e dal tempo, che racconta e spiega la storia di suo figlio, Junio, attraverso uno degli artifici più comuni dell’epica: lo pseudobiblium, in questo caso un diario, che racconta le gesta dei nuovi moschettieri, Junio, Giaco e Alfredo, tra l’otto settembre e la guerra contro il IX corpus jugoslavo, alle porte di Gorizia.
Naturalmente, non è intenzione di chi scrive anticiparvi nulla degli eventi, delle tragedie e dei colpi di scena che animano il romanzo: per quello avete la lettura, che è lo strumento più adatto a comprendere il complesso universo narrativo di Marconi. Si può, tuttavia, anticipare, senza togliere nulla alla scoperta del lettore, che l’intreccio mette insieme filoni diversi e diversi temi narrativi: la tragedia storica dei confini orientali, la vicenda militare della valle dell’Isonzo, una personale odissea al femminile e, infine, uno scioglimento in qualche modo liberante, pacificante, sotto l’egida dell’amore. Di quell’amore che aveva schiantato le speranze di Giulio e che, in Junio, alla fine pare trionfare sull’odio o, perlomeno, sulla rabbia.
Non mancano, naturalmente, quei personaggi di contorno che, nei romanzi di Gabriele Marconi, rivestono sempre un’importanza notevole: per alcuni di loro, l’eden di cui parla il titolo si trasformerà in un inferno e li perderemo per sempre, mentre altri proseguiranno il cammino. Anche in questo, la struttura della trilogia pare ricalcare quello che rimane il modello narrativo principale di Marconi, vale a dire la trilogia dumasiana de I tre moschettieri, Vent’anni dopo e Il visconte di Bragelonne; vi è, però, in Dumas un maggiore distacco, una leggerezza che deriva dal modulo favolistico avventuroso e dall’ambientazione storica neutrale. Si sente, invece, che Marconi vive ancora delle atmosfere dei suoi libri: che è un passato, che, per così dire, non passa. Anche per questo, forse, appare significativa l’appendice-prologo di Io non scordo: sembra quasi che l’autore ci voglia avvertire. Ci voglia comunicare sottotraccia che la guerra non è finita e che i nemici di allora sono, in realtà, i nemici di sempre. Così come sono sempre gli stessi i valori fondanti dell’umanità che descrive e che, secondo lui e secondo noi, è l’umanità tout court: l’unica umanità per cui dia pensiero lottare e, se necessario, morire. Questa umanità, ne Le stelle danzanti, appare giovane e spensierata: una pura offerta giovanile sull’altare della guerra, vissuta come una meravigliosa avventura da degli amici per la pelle, ventenni, che si sentono padroni del mondo. Di un mondo che, poi, diviene caleidoscopico e ancor più affascinante, nella straordinaria epopea fiumana, in un ballo vorticoso di amori, avventure e rischi, tra il picaresco e il garibaldino. Ma Le stelle danzanti ha la freschezza e i limiti di un’opera prima: è intrattenimento puro, in cui la vena sotterranea, che chiameremo valoriale, è di gran lunga superata dal tourbillon dell’azione. La vicenda, insomma, prevale sulla filosofia. Ben altro spessore umano e spirituale ha Fino alla tua bellezza: romanzo in cui, in un certo senso, lo scrittore Marconi lascia il posto all’uomo, che non si limita a raccontarsi, ma quasi si confessa col lettore, mettendo a nudo tutta la sua ricchezza interiore. L’amore e l’amicizia sono ancora il pilastro narrativo: il motore immobile di tutte le vicende. Però si tratta di amori e amicizie più maturi, meno improvvisi e più meditati, e sconfinano nell’idillio o nella tragedia, con una tensione emotiva maggiore: in definitiva, con maggior pathos.
In un certo senso, Eden in fiamme rappresenta l’inevitabile sintesi di queste due opere, brillanti in modo diverso, e le rende, in qualche modo, più comprensibili: in questo romanzo, Marconi abbandona il proprio vissuto, che aveva certamente proiettato sui primi due libri, per assumere, estraniandosi, un vissuto non suo: una storia indipendente, con scelte, occasioni, vicissitudini compatibili con dei ventenni del 1943, non più con dei ragazzi del 1961. È qui, che, secondo noi, Marconi dà il meglio di sé: nell’abbandonare, con generosa umiltà, l’istinto, tipico di chiunque scriva, di raccontarsi, per raccontare una storia altrui. La storia della generazione di suo padre, con le sue paure, le sue certezze e le sue contraddizioni.
E, alla fine, ci piace pensare che Eden in fiamme sia un magnifico tributo a papà Guglielmo e al suo mondo: un mondo che lui, riservato com’era, raccontava solo agli intimi. E che suo figlio, con amore e con arte, ci ha meravigliosamente restituito
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