Ettore Ximenes (1855 – 1926) fu valente scultore attivo a cavallo tra XIX e XX secolo. In grado di combinare realismo ed enfasi drammatica, ottenne commissioni in tutto il mondo: dal America del Sud, suoi i bronzi del Monumento all’Indipendenza del Brasile a San Paolo e l’ara funebre al generale Belgrano antistante la basilica di Nostra Signora del Rosario a Buenos Aires. Alla Russia. O meglio l’Ucraina con un monumento ad Alessandro II Zar di Russia a Kiev, distrutto nel 1919. A New York il monumento a Dante, e quello al fiorentino Giovanni da Verrazzano (che per adesso sembra vivere sonni tranquilli a differenza del più noto Colombo). In Italia fino a qualche mese fa le sue opere più note erano il Giuseppe Garibaldi di Milano (ma suoi sono anche quelli di Pesaro e Carpi, Modena), e a Roma il monumento a Ciceruacchio, la quadriga sopra il “palazzaccio” (il soprannome affibbiato dai Romani al Palazzo di Giustizia dell’architetto Calderini) e uno dei gruppi in marmo de I valori morali degli italiani al Vittoriano. Quello di Ximenes con la Libertà che rifondera la spada dopo aver atterrato la Tirannia.
Da qualche tempo, nell’ottica della riflessione intorno alla statuaria pubblica ottocentesca e novencetesca, mutuata dai movimenti statunitensi è arrivata agli onori delle cronache nazionali il complesso monumentale dedicato a Parma all’esploratore Vittorio Bottego, esploratore, militare e avventuriero ottocentesco. Bottego non è amato dallo storico Del Boca (e basterebbe questo per capire come mai se ne parli tanto) eppure resta un uomo del suo tempo. E come esploratore della regione del Giuba e dei fiumi Omo e dell’alto Giuba ebbe una certa rilevanza internazionale, tant’è che lo zoologo George Albert Boulenger gli dedicò ben due lucertole: agama bottegi e chalcides bottegi!
La sua statua a Parma lo vede in atteggiamento tronfio e trionfante in cima a una montagnola con ai lati due “indigeni” atterrati, indigeni che altro non sono la personificazione dei due fiumi Omo e Giuba (rappresentazioni abbastanza fantasiose ma è interessante come l’indigeno che impersona l’Omo impugni uno shotel, lunga spada a forma di falce in uso in Etiopia). Sulla sua collinetta Bottego se ne sta arrogante, puntando la sciabola da ufficiale a terra e con l’altra mano in tasca. Nulla sembra turbarlo, nemmeno la fine che lo attendeva in uno scontro a fuoco con gli indigeni.
La scrittrice d’origine somala Igiaba Scego dalle pagine de L’Internazionale ha messo il monumento a Bottego sullo stesso piano del monolite Dux al Foro italico. E su facebook pochi giorni dopo la scrittrice chiariva la sua posizione, proponendo la rimozione e conseguente musealizzazione della statua, con le parole: «Ci ho pensato tanto, ma la statua di Bottego a Parma (Bottego ha depredato villaggi, incendiato, saccheggiato. Una personcina da non conoscere. Oggi conosciuto come esploratore, ma era un assassino) oltre a essere brutta, domina una collina, ha due neri ai suoi piedi in segno di sottomissione, è inguardabile. Io metterei la statua in un museo cittadino con un lavoro sulla storia di Bottego, soprattutto le Sue ombre su quella collina ci metterei qualcosa di diverso. È davanti alla stazione. È la prima cosa che vedi di Parma. A me fa venire ogni volta la pelle d’oca. Ne parliamo di Bottego?».
Ovviamente siamo ben lontani dalla fine che fecero fare i bolscevichi all’Alessandro II di Ximenes! Il destino sarebbe quello di una musealizzazione. Pure è interessante notare che per chi conosce la storia coloniale e/o l’arte italiana del periodo, quella di Ximenes a Parma non è l’unica statua di soggetto coloniale rilevante. Anzi dal punto di vista di chi vuole rimuovere queste statue c’è un’altra ben più rilevante, se non fosse per il soggetto “meno noto” e la posizione “meno raggiungibile” (e anche il fatto che essendo meno fotografata è meno adatta a farci i post su internet).
Insomma, come scriviamo nel volume Iconoclastia. Inchiesta sulla pazzia contagiosa della Cancel Culture, Eclettica Edizioni, 2020, a proposito del vandalismo sul busto del generale Baldissera al Pincio, relativamente agli attivisti che volessero danneggiare statue di soggetto coloniale in Italia… «per l’attivista volenteroso che incrociasse i dati di Wikipedia con quelli di Google Maps sarebbe comunque difficile trovare obbiettivi adatti...»
L’obiettivo più adatto, ancora opera di Ximenes è in un comune di poco più di 5.000 anime in provincia di Cuneo (e come direbbe Totò…)
Qui sorge il bel monumento al maggiore Pietro Toselli, eroe della battaglia dell’Amba Alagi del 7 dicembre 1895. Il monumento di Ximenes pone il Toselli in piedi, pronto ad accogliere la morte imminente (ha coperto la ritirata, nella retorica prefascista dell’epoca è il capitano che non abbandona la nave). Ma quello che più colpisce è la felice sintesi di figure intorno a lui (felice nel senso della costruzione della statua, ovviamente). Dietro il maggiore un soldato in piedi è pronto a ricaricare il fucile. Alla sinistra di Toselli, in basso, un militare punta con la sinistra il revolver verso l’orda nemica mentre con la destra impugna ancora la sciabola deciso a un’ultima resistenza. In posizione opposta alla destra di Toselli, un altro soldato invece soccombe di fronte alla violenza del soldato etiope ben riconoscibile dal fez. Ecco una vera rappresentazione coloniale dell’indigeno spietato!
Però il monumento è a una decina di chilometri a sud est di Cuneo. E naturalmente non se lo è mai filato nessuno. Eppure Peveragno, questo ignoto ai più comune a 570 metri sul livello del mare ai piedi del Monte Bisalta, è in realtà la quintessenza del colonialismo italiano. Non solo ha fornito i natali all’Eroe dell’Amba Alagi, ma è anche luogo d’origine della famiglia di un governatore coloniale Mario Lago, che fu governatore del Dodecaneso! Le isole dell’Egeo, la più importante Rodi, furono conquistate all’Impero ottomano con la guerra del 1911. Lago le amministrò dal 1922 al 1936, e in un’ottica di “supremo colonialismo fascista” attuò la stessa politica di sviluppo agricolo che veniva sperimentata in Libia, realizzando villaggi rurali destinati principalmente a coloni italiani (come i 20.000 di Balbo in Libia). E nel farlo dedicò un centro di fondazione proprio al comune d’origine del cuneese realizzando a Rodi, Peveragno Rodio! Oggi il centro amministrativo del villaggio ribattezzato Epàno Kàlamon (Επάνω Καλαμών) è occupato da una base militare delle forze armate greche. Per approfondire https://italiacoloniale.com/2020/11/11/peveragno-rodio-ieri-e-oggi/
Un doppio aneddoto coloniale per il piccolo comune cuneese, che si erge a simbolo involontario del colonialismo italiano, dall’Ottocento al Ventennio!