Francesca Bertini (Prato, 5 gennaio 1892 – Roma, 13 ottobre 1985) è stato il nome d’arte di Elena Seracini Vitiello, figlia adottiva di un trovarobe napoletano e di una attrice di prosa fiorentina, Adelaide Frataglioni. Nonostante la sua carriera cinematografica sia stata nel complesso assai breve, il mito del suo fascino si è protratto per decenni, creando attorno a lei un alone di leggendario mistero paragonabile solo a quello di Greta Garbo. Abile nel costruire la propria immagine e nel dosare le sue apparizioni pubbliche, fu una precorritrice dello star system; per lei, nel 1915, fu coniato nell’accezione moderna il termine diva.
Il suo primo film è del 1910 – Il Trovatore – ma il grande successo arriva nel 1915 con Assunta Spina durante la cui lavorazione afferma definitivamente la propria personalità di Diva pronta a mettere mano a tutti gli aspetti della produzione, imponendo spesso le proprie idee e bizzarrie. La sua notevole bellezza e la capacità di imporre la propria presenza in scena, soprattutto in parti tragiche, fecero di lei il primo esempio di diva cinematografica.
Francesca Bertini inaugurò uno stile che, solo molto tempo dopo è stato ascritto al genere del divismo. Ad esempio, per ogni scena pretendeva di indossare un abito nuovo. Il vestito, fatto su misura dalla sarta, doveva inevitabilmente essere inaugurato il giorno. Oppure, qualsiasi film stesse girando, in qualsiasi luogo si trovasse, alle cinque del pomeriggio si fermava e si recava in un grande albergo per prendere il tè in compagnia di alcune dame.
Francesca Bertini, assieme all’altra grande diva dell’epoca, Lyda Borelli, incarnava il personaggio di donna passionale, assoluta, straziante e fatale, allora di moda.
La Bertini era ancora all’apice del successo quando l’americana Fox avanzò un’allettante offerta (un contratto di un milione di dollari dell’epoca) per recitare in alcuni film in America, ma la diva rifiutò: aveva appena conosciuto il banchiere svizzero Alfred Cartier che da lì a poco sarebbe diventato suo marito.
Nell’agosto 1921 sostenne il suo ultimo ruolo notevole, nel film La fanciulla di Amalfi, poi in settembre si sposò. Nella sua pur breve carriera aveva girato un centinaio di film e guadagnato quattro milioni di lire dell’epoca.
In seguito tentò un effimero ritorno con alcuni film francesi, che passarono inosservati, e con l’avvento del cinema sonoro in La femme d’une nuit (1930) di Marcel L’Herbier, nella versione italiana La donna di una notte (1931) di Amleto Palermi, e in Odette (1934) girato in doppia versione, italiana e francese, da Giorgio Zambon e Jacques Houssin; quindi apparve nel film omaggio Quando eravamo muti (1933) di Riccardo Cassano, accanto ai primi idoli del cinema italiano, come Leda Gys, Italia Almirante Manzini, Soava Gallone, Emilio Ghione. In piena Seconda guerra mondiale interpretò il melodramma Dora, la espía (1943; Dora o le spie) di Raffaello Matarazzo, realizzato in Spagna dove si era trasferita e dove tornò anche a recitare in teatro, cogliendo un clamoroso successo con il suo cavallo di battaglia, La dame aux camélias di A. Dumas. Da allora, dopo il rimpatrio in Italia nel 1953, concesse solo occasionalmente alla cinepresa il suo volto segnato dal tempo. Sorprendente fu il suo ritorno per Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci, nel ruolo-cameo di una suora. Nel 1981 accettò di partecipare al film-documentario per la televisione, a lei dedicato, L’ultima diva di Gianfranco Mingozzi.