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La diplomazia italiana dall’indipendenza alla sovranità limitata

Un nuovo saggio di Luciano Monzali ripercorre le vicende della politica estera dell’Italia unitaria attraverso l’analisi e l’approfondimento di numerose figure di diplomatici che ne sono stati i protagonisti

di Gianni Marocco da Il Barbadillo del 3 Luglio 2023

Il 24 giugno, pochi giorni fa, mi sono imbattuto nella recensione sul Corriere della Sera online di La diplomazia italiana dal Risorgimento alla Prima Repubblica (Milano, Mondadori Università, 2023, pp. 458, € 31,00) di Luciano Monzali (Modena, 1966), professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali all’Università Aldo Moro di Bari, condirettore, tra l’altro, della ‘Nuova Rivista Storica’. Recensione del Prof. Lorenzo Medici, a sua volta docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Perugia, del quale avevo letto anni fa un notevole saggio, Dalla propaganda alla cooperazione. La diplomazia culturale italiana nel secondo dopoguerra, 1944-1950 (Padova, Cedam, 2009).

Tale recensione dell’opera di Monzali – nella quale viene delineata l’evoluzione della diplomazia italiana, dalle sue origini come struttura dello Stato Sabaudo fino alla Prima Repubblica –  evidenzia i meriti dell’autore nell’individuare e focalizzare le differenti fasi storiche: il processo di formazione della stimata, abile diplomazia sabauda; dal 1861 l’assemblaggio in un unico corpo di diplomazie differenti, seppur accomunate dalla prevalente estrazione nobiliare; la sua progressiva nazionalizzazione nell’età liberale e l’ingresso in diplomazia di appartenenti al ceto alto-borghese, talora israeliti (occorreva dimostrare di contare su almeno 50.000 Lire di rendita annuali per essere ammessi al concorso!). Quindi la ‘democratizzazione’ mussoliniana con l’abrogazione del requisito della rendita e l’ingresso in carriera dei ‘ventottisti’ di sicura fede fascista, nel 1928. Permaneva, comunque, come per gli ufficiali, la necessità dell’ ‘assenso regio’ per sposarsi…

Medici sottolinea “la continuità sostanziale del personale diplomatico tra epoca mussoliniana e postfascismo e nel contempo la rifondazione della diplomazia italiana all’indomani dell’esito disastroso del II conflitto Mondiale”. Circa l’evoluzione culturale del corpo diplomatico, egli coglie, nell’analisi di Monzali, dapprima la cultura della ‘ragion di Stato’ di stampo sabaudo, intesa come “arte di governo il cui principale obiettivo è la conservazione e l’aumento della potenza del Regno. Poi l’ideologia liberal-nazionale dell’Italia liberale, mirante al consolidamento dello Stato unitario”‘, al suo status di Grande Potenza nel Concerto europeo ed alle nuove pulsioni, gli appetiti coloniali. In seguito “l’adesione di una parte del ceto diplomatico alle direttive della politica estera fascista, non dissimile da quella del periodo liberale”, anche se l’esasperazione del nazionalismo e gli eccessi della politica di potenza comporteranno (o lasciano in conflitto) “la sospensione del pragmatismo e del razionalismo tipici dei diplomatici di carriera”.

Infine, la volontà di superare la debolezza di una Nazione uscita pesantemente sconfitta dal Conflitto Mondiale con il contributo dato all’elaborazione, promossa dalla nuova classe dirigente, di una politica estera attenta alla diplomazia multilaterale, attraverso l’adesione dell’Italia repubblicana (non del tutto agevole in un personale ancora prevalentemente monarchico e conservatore) alle organizzazioni internazionali, all’alleanza atlantica, al processo d’integrazione europea, ritenuti strumenti indispensabili per cercare di restituire un ruolo significativo all’Italia. Vincendo en passant, anche col contributo del nostro Ambasciatore presso la Santa Sede, le resistenze dell’autorevolissimo Pio XII, che preferiva un’Italia neutrale, non nella NATO…

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Significativa è la conclusione: “La storia della diplomazia italiana rappresenta un modello di come una élite abbia saputo mettersi al servizio del Paese, sulla base di un sistema di valori e principi che l’ha resa un corpo dirigenziale fra i migliori e più preparati nel sistema delle relazioni internazionali”. (https://lanostrastoria.corriere.it/2023/06/24/la-diplomazia-italiana-dal-risorgimento-alla-primarepubblica)

La scheda di presentazione dell’editore: 

“La diplomazia italiana, uno dei più antichi e prestigiosi corpi diplomatici al mondo, è una componente della classe dirigente che ha svolto un ruolo importante. Un ruolo spesso sottaciuto e sottovalutato anche per il carattere specifico di tale professione, posta al servizio dei vertici politici dello Stato e tenuta alla riservatezza. Questo libro ripercorre le vicende della politica estera dell’Italia unitaria attraverso l’analisi e l’approfondimento di numerose figure di diplomatici che ne sono stati i protagonisti,  i difficili passaggi per la diplomazia italiana: il travaglio della nascita di un’unica diplomazia al momento dell’unificazione, il passaggio dal liberalismo al regime fascista, la rifondazione della nostra diplomazia dopo il secondo conflitto mondiale e l’adattamento della politica estera italiana al bipolarismo sovietico-statunitense.”

(https://www.mondadorieducation.it/catalogo/la-diplomazia-italiana-dal-risorgimento-alla-prima-repubblica-0069727)

Lo scorso 10 gennaio pubblicavo su queste colonne di Barbadillo: Focus. La guerra Ucraina-Russia e la sconfitta delle diplomazie.  Nel quale mi lasciavo un po’ andare al ‘vittimismo venato di nostalgia’ di chi per oltre 31 anni ha fatto parte di quella Carrière, fino a poco tempo prima una casta, oggetto di motti e malignità, con i suoi rituali, dove si coniugavano (non sempre) intelligenza, cultura, aplomb e phisique du rôle, con il francese per strumento principale di comunicazione e lavoro, ora di fatto quasi defunta, affossata simbolicamente dal tramonto della famosa ‘bolgetta’, che non recava strane e proibite cose, ma a volte impiegava settimane per far arrivare istruzioni oltre Oceano. Constatavo la “perdita di peso accentuatasi con l’arrivo delle tecnologie digitali, con Internet, da oltre un quarto di secolo. Già il telegrafo, poi il telefono, il telex, il fax, l’uso corrente dell’aereo – e l’intensificarsi della ‘mobilità’ di politici”, che normalmente non stimano i diplomatici, li considerano molto meno delle loro segretarie – avevano amputato molte competenze vere, non di facciata, del diplomatico, sempre più ridotto a quello di un agente in loco per organizzare visite, ad alto o medio livello, alle seccature formali ancor richieste nelle relazioni internazionali, a volte per assumere rischi personali in aree di conflitti, non per redigere relazioni che quasi nessuno ormai legge.

Concludendo infine, con pessimismo, che “La diplomazia, quella vera, frutto di anni di applicato, solerte lavoro, con molti pregi ed alcuni difetti, sta tramontando inesorabilmente, in Italia ed altrove. Non proprio come il crollo dell’Impero Romano o la decadenza della Chiesa Cattolica, ma, insomma, un ordine consolidato, antico, in fondo a tutti utile, alternativa all’homo homini lupus, si perde, senza che ne sia sorto un altro. Come la famiglia tradizionale. Una nuova forma istituzionalizzata che la sostituisca non è, infatti, ancora stata avvistata”.

Adesso non è che mi rimangi quanto pensato e scritto, ma sento il dovere di far parziale ammenda di forse troppo aspri giudizi e previsioni, leggendo tale recensione, la Prefazione di  Stefano Baldi e la stessa Introduzione del Monzali alla sua opera. Essa, in effetti, colma una parziale lacuna nella storiografia italiana. Se non mancano saggi ed articoli su personaggi e specifiche tematiche, manca un’opera d’insieme, organica, strutturata come tale dall’inizio, sulla storia della nostra diplomazia, che non va neppure assimilata alla storia della politica estera. 

Corre l’obbligo di far cenno a La politica estera dell’Italia. Dallo Stato unitario ai giorni nostri di Giuseppe Mammarella e Paolo Cacace (Laterza, 2010, ristampa 2021). Un bel volume che indaga sui motivi che hanno reso le azioni dei governi italiani talvolta prive di precise progettualità; un Paese, a differenza di Stati più antichi, come la Francia e l’Inghilterra, che ha faticato ad acquisire una identità nazionale, basata su valori e programmi ben definiti.  

Opera di Giuseppe Mammarella, autore di numerosi saggi tradotti in varie lingue, che ha insegnato Storia contemporanea e Relazioni internazionali nell’Università di Firenze e nella Stanford University di Palo Alto, California, della quale è professore emerito.  E di Paolo Cacace, saggista, studioso di problemi politici, giornalista, capo dei servizi esteri del “Giornale d’Italia”, poi del “Tempo” e del “Messaggero”, storico, autore tra l’altro di: Venti anni di politica estera italiana 1943-1963 (Roma, Bonacci, 1986, edito nella collana ‘I Fatti della Storia’, diretta da Renzo De Felice); L’atomica europea (Roma, 2004, con prefazione di Sergio Romano) e Quando Mussolini rischiò di morire (Roma, 2007). 

La fatica di Mammarella e Cacace nacque come unione di vari saggi anteriori. Alla pari di quella del Monzali, per esplicita confessione dell’autore: “volume, che raccoglie e riproduce, rielaborandoli, alcuni saggi da me scritti negli ultimi vent’anni”.

Per Luciano Monzali 

“La storia della diplomazia è un campo di ricerca poco coltivato dalla storiografia italiana. Questo disinteresse è stato alimentato da pregiudizi ideologici e dall’incomprensione della rilevanza della diplomazia nei processi politici internazionali. In una storiografia italiana dominata da correnti ideologiche di matrice marxista, progressista e cattolica la diplomazia è stata percepita come un corpo dello Stato elitario e conservatore, animato e caratterizzato da valori reazionari non in linea con quelli della società nazionale nel suo complesso, nonché come un soggetto secondario e talvolta nocivo del processo decisionale del Paese in campo internazionale dominato dalle leadership partitiche ed economiche italiane. Questa percezione stereotipata e negativa è frutto del provincialismo della storiografia italiana e della sottovalutazione del ruolo della diplomazia nello sviluppo del processo di globalizzazione planetaria e nell’evoluzione del sistema degli Stati moderni”. 

L’autore dell’opera applica una metodologia di ricerca che studia la diplomazia fondendo storia politica, storia sociale e culturale, storia delle relazioni internazionali:

“Obiettivo di questo volume è tentare di compiere un’analisi complessiva dell’evoluzione storica della diplomazia italiana attraverso la ricostruzione della biografia, dell’azione e del pensiero di alcuni dei suoi principali esponenti e capofila: dai diplomatici dell’epoca risorgimentale quali Costantino Nigra, ad alti funzionari della carriera come Raffaele Guariglia, Pietro Quaroni, Roberto Ducci e Roberto Gaja, che hanno vissuto i tempestosi anni del fascismo e della ricostruzione democratica dello Stato italiano”. 

Per capire, in sostanza, il complesso mondo della diplomazia italiana ed i percorsi dei suoi protagonisti raccontati in questo volume.

Una parentesi. Sempre i diplomatici hanno avuto il vezzo di scrivere, soprattutto una volta 

terminato il loro servizio attivo. Le famose ‘Memorie’. Senza tirare in ballo de Maistre o tanti illustri francesi o latinoamericani, basti ricordare, ad esempio, Mario Luciolli, Palazzo Chigi. Anni roventi. Ricordi di vita diplomatica italiana dal 1933 al 1948, Milano, Rusconi, 1976. E Giuseppe Salvago Raggi, Ambasciatore del Re. Memorie di un diplomatico dell’Italia liberale, Firenze, Le Lettere, 2011. 

Tuttavia, una volta entrato alla Farnesina, nel 1978, io sentii subito che un’aura negativa allora avvolgeva i diplomatici in servizio con pretensioni alla ‘scrittura’. Un pregiudizio diffuso che rischiava di farli subito entrare nella categoria dei perdigiorno (altrimenti non avrebbero tempo per sollazzarsi con produzioni più consone a giornalisti o professorini!) o di funzionari ‘fuori luogo’ nell’austero palazzone biancastro, accanto allo Stadio dei Marmi, a suo tempo voluto dal Duce per il PNF… Tutto doveva essere autorizzato per la stampa (con tempi assai lunghi) o si doveva far ricorso a pseudonimi che, appena conosciuti, non riverberavano, comunque, una gran luce sulle vere identità. Basti ricordare i pregevoli saggi di Ludovico Incisa di Camerana, per anni costretto a pubblicare come Ludovico Garruccio, ‘esperto di politica internazionale’… Lo stesso Antonello Pietromarchi solo nel 1994, prossimo ormai alla pensione, diede alle stampe, dopo molti anni di pazienti ricerche e stesure, Luciano Bonaparte. Il fratello nemico di Napoleone. Seguito nel 1998 da Alessandro Farnese. L’eroe italiano delle Fiandre.

Quella Farnesina, al mio approdo, valorizzava assai i ‘culi di pietra’ che stavano in ufficio fino alle ore 14.30-15 e rientravano nel tardo pomeriggio, almeno fino alle 21! Non era tanto importante ‘lavorare’ (tranne poi farlo con frenesia, anche se abborracciatamente, quando sollecitati), ma ‘esserci’, qualora avessero chiamato dal Gabinetto del Ministro o da una segreteria dei Sottosegretari o dalla temuta Segreteria Generale, che poteva stroncarti la carriera per sempre… Rigorosamente incravattati, anche ad agosto, pure se l’A/C non funzionava (o non c’era affatto). Qualcosa, o molto, è nel frattempo cambiato, compresa la tolleranza verso i diplomatici-autori. Così che oggi, favoriti dal generale ‘clima montessoriano’ e molto dalle nuove tecnologie digitali, è tutto un profluvio di diplomatici, spesso giovani, che pubblicano saggi, a volte poemi, a volte racconti di ogni tipo, pure di fantascienza, senza rischiare scomuniche.

L’Ambasciatore Stefano Baldi (Città della Pieve, 1961, dal 2016 al 2020 Ambasciatore d’Italia in Bulgaria e dal 5 gennaio 2021 Rappresentante Permanente presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, in Vienna) dal 2004 è l’ideatore del progetto di ricerca  “La penna del diplomatico. I libri scritti dai diplomatici italiani dal dopoguerra ad oggi” – e relativo volume dallo stesso titolo – iniziato alla fine degli anni ’90 insieme all’Ambasciatore Pasquale A. Baldocci (Tunisi, 1931, caro collega dello scrivente all’Ambasciata in Berna, Elfenstrasse 14, dal 1984 all’86, Ambasciatore in Tanzania dal 1989 al ’93, poi Direttore Generale dell’Istituto Italo-Africano, docente di Scienze internazionali e diplomatiche all’Università di Trieste, sede di Gorizia). Il progetto è teso ad individuare e valorizzare l’attività pubblicistica dei diplomatici italiani. Nell’ambito del progetto sono stati pubblicati tre volumi (di cui uno in inglese) sul tema. Nel tempo il progetto si è ampliato con ricerche sulle Residenze italiane nel mondo, individuando oltre 340 autori, per 1405 titoli, al 24.6.2023. I risultati sono continuamente aggiornati per censire tutti i libri ovunque pubblicati. Il progetto si è evoluto in quasi due decenni attraverso un sito web (http://baldi.diplomacy.edu/diplo) ed un corposo, curato blog dedicato (http://pennadiplomatico.blogspot.com; http://diplosor.wordpress.com). Con informazioni che rappresentano un sicuro punto di riferimento per la pubblicistica. L’altro progetto, più recente, concerne le foto di diplomatici italiani, anche in contesti familiari, quale «Immaginario diplomatico», iniziato dall’Ambasciatore Baldi nel 2014, che si propone la raccolta e la pubblicazione online di foto storiche tra il 1861 ed il 1961.  

Stefano Baldi – pure lui autore di varie pubblicazioni e profili di nostri grandi diplomatici – visti i contenuti del volume, si è detto molto lieto di scriverne la Prefazione:

“Questo libro sulla storia della diplomazia italiana colma una lacuna ingiustificata nella bibliografia storica più recente e non è un caso che sia stato realizzato dal prof. Luciano Monzali che, tra gli storici italiani, ha sempre dato molta importanza e prestato molta attenzione ai diplomatici italiani del passato. Il prestigio e l’autorevolezza di cui gode la carriera diplomatica affondano le loro radici in tanti illustri Ambasciatori del passato che hanno rappresentato un forte e sicuro punto di riferimento per chi è stato chiamato in quel momento a condurre la nostra politica estera. Lo studio della storia della diplomazia italiana è un fondamentale esercizio di memoria storica, tanto utile quanto necessario, per portare alla luce figure troppo spesso relegate a brevi o frammentari riferimenti nei saggi di storia contemporanea. Si potrà forse così evitare il rischio di un ingiusto oblio, talvolta generato dalla semplice disattenzione più che dall’indifferenza. In un mondo sempre più dinamico che impone l’adattamento e il cambiamento con ritmi sconosciuti nel passato, diventa di fondamentale importanza essere ben consapevoli delle proprie origini e delle proprie tradizioni. I diplomatici non sfuggono a questa esigenza”.   

Conoscere le vicende, le personalità, il contesto in cui si sono trovati ad operare tanti illustri diplomatici del passato permette, per l’Ambasciatore Baldi e pure per lo scrivente, di apprezzare assai la loro azione,  poco conosciuta al grande pubblico, il loro forte spirito di servizio. Chi sa, ad esempio, della durissima esperienza del giovane Addetto Consolare dell’Ambasciata in Tokyo, Ettore Baistrocchi (1905-1996), figlio dell’Ammiraglio di Squadra Alfredo e padre di tre bambini piccolissimi – Marco e Massimo furono poi diplomatici pure essi – nel campo di concentramento in Giappone dove tutta la famiglia fu internata dal 1943, dopo l’8 settembre, fino alla liberazione per mano americana nel ’45? O che il Trattato di Parigi fra l’Italia e le Potenze alleate del 10 febbraio 1947 venne sottoscritto dal Ministro Plenipotenziario marchese Antonio Meli Lupi di Soragna (1885-1971), apponendo sulla ceralacca lo stemma gentilizio della sua chevalière, giacchè nessuna nostra autorità politica voleva ‘sporcarsi le mani’ con un documento che ci trattava, logicamente, al netto delle fanfare e fanfaluche ‘resistenziali’, da Nazione sconfitta? 

Forse il pregevolissimo testo del Monzali pecca talora di ottimismo, finge d’ignorare le frustrazioni di diplomatici di un Paese a sovranità purtroppo limitata, in genere poco apprezzati dai politici di ogni colore  (non disse Matteo Renzi che la virtù somma di un ambasciatore è l’obbedienza?). 

La migliore conoscenza consente, in ogni caso, di capire come questa professione si sia evoluta, al di là di ogni ostacolo ed incomprensione, nel solco di una profondamente radicata, alta tradizione nazionale, sempre vissuta, assieme alle famiglie, con sobrietà, sacrificio, dignità. 

Montevideo, 29.VI.2023

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