L’Italia truccò i conti per entrare nell’euro, Helmut Kohl lo sapeva ma “ignorò gli avvertimenti sul rischio Italia” perché era convinto che la moneta unica fosse “il destino dell’Europa”. Der Spiegel ha scagliato il sasso e il Times volentieri lo rilancia. Der Spiegel ha avuto accesso a centinaia di pagine di documenti del governo tedesco del 1997 e 1998 da cui trae la conclusione che l’allora cancelliere Helmut Kohl “era perfettamente informato della situazione di bilancio” italiana e consapevole che “l’Italia non aveva i conti in regola per entrare nell’euro”, ma per motivi politici non volle trarne le conseguenze.
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di Elysa Fazzino per “Il Sole 24 Ore” del 9 maggio 2012
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“Operazione autoinganno”, scrive il settimanale tedesco, che rivela i retroscena dell’ingresso italiano nell’euro nel numero in edicola questa settimana, in un servizio di cinque pagine basato sui rapporti dell’ambasciata tedesca a Roma, su note interne dell’esecutivo e su verbali di colloqui avuti dal cancelliere. A decidere sull’ingresso dell’Italia “non furono criteri economici, ma considerazioni politiche”, osserva Der Spiegel. “In questo modo – denuncia – si creò il precedente per una decisione sbagliata ancora maggiore presa due anni dopo, l’ingresso nell’euro della Grecia”.
La polemica rimbalza sul Times di Londra. Il corrispondente da Berlino David Charter scrive che gli esponenti governativi tedeschi lanciarono numerosi “warning” avvertendo che l’Italia non era pronta a entrare nell’euro. Avvertimenti “ignorati” da Kohl, secondo quanto risulta dalle carte segrete rivelate grazie alla legge sulla libertà dell’informazione.
L’Italia – si legge sul Times – rappresentava un “rischio speciale” per l’euro, fin dal suo inizio nel 1999, poiché “continuava a rifiutarsi di ridurre il suo enorme debito”, avvertì un memorandum “profetico” inviato a Kohl nove mesi prima del lancio della moneta unica.
Kohl fu avvisato che l’Italia usava trucchi contabili per mostrare sulla carta che faceva progressi, mentre in realtà il suo debito cresceva. Kohl trascurò le allerte e insistette che l’Italia doveva entrare nella prima ondata, dicendo che sentiva “il peso della storia” sulle sue spalle. Il Times riferisce la conclusione dello Spiegel: “I documenti dimostrano quello che finora si supponeva soltanto”. “L’Italia non avrebbe mai dovuto essere accettata” nell’eurozona.
All’inizio del 1997, esponenti del ministero delle Finanze tedesco dissero a Kohl che a Roma “importanti misure strutturali di risparmio dei costi venivano quasi completamente omesse per considerazioni di consenso sociale”. Il negoziatore capo sull’euro, Horst Koehler, che poi divenne presidente della Germania, mandò a Kohl nel marzo del 1998 uno studio che concludeva che l’Italia non aveva rispettato le condizioni “per una riduzione permanente e sostenibile del deficit e del debito”. Kohl replicò che era fiducioso che tutti i governi avrebbero fatto le necessarie riforme strutturali “nei prossimi anni”. Joachim Bitterlich, ex consulente di politica estera di Kohl, ha affermato ieri: “Non senza gli italiani, per favore. Era questa la parola d’ordine politica”.
In una nota del gennaio 1998, Bitterlich disse che la riduzione del deficit dell’Italia era basata principalmente sull’incerta tassa per l’Europa e su tassi d’interesse insolitamente bassi. Poche settimane dopo, prosegue il Times, esponenti governativi olandesi dissero a Kohl: “Senza misure aggiuntive da parte dell’Italia che diano prova credibile della longevità del consolidamento, l’accettazione dell’Italia nell’eurozona è attualmente inaccettabile”. Kohl rispose loro che il governo francese lo aveva avvertito che si sarebbe ritirato se l’Italia fosse stata esclusa.
Poche settimane prima del lancio della moneta unica, si legge ancora sul Times, Stephan Freiherr von Stenglin, attaché finanziario dell’ambasciata tedesca a Roma, mandò un messaggio “drammatico”: “Sorge la domanda se un paese con un rapporto di indebitamento estremamente alto non rischi di mettere a rischio il successo dei suoi sforzi di consolidamento, danneggiando di conseguenza non solo se stesso, ma anche l’unione monetaria”. Conclude il Times: “Era un altro avvertimento inascoltato da parte del cancelliere tedesco”.
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Inserito su www.storiainrete.com il 12 maggio 2012