Angelo Del Boca, il giornalista e storico scomparso lo scorso 6 luglio a 96 anni, è colui cui si deve in gran parte la demolizione dell’immagine retorica degli italiani brava gente sostituita con quella altrettanto farlocca degli italiani assassini puri e semplici, non è mai stato uno storico (addirittura il più grande studioso del colonialismo italiano, per wikipedia, un accademico, per il Manifesto) ma un cronista ed inviato, prima per la Gazzetta del Popolo e poi per il Giorno, quotidiano dell’IRI, dove come ricorda Giampaolo Pansa, era soprannominato il Centauro per il doppio passato di ufficiale volontario nel battaglione Intra della Monterosa e poi di disertore e partigiano. La narrazione postbellica che vorrebbe Del Boca arruolatosi solo perché i fascisti avrebbero preso in ostaggio il padre è una menzogna: semplicemente era contro la legge, né casi simili si sono mai verificati nella RSI nemmeno nei confronti delle famiglie di generali o politici, figuriamoci nei confronti di un diciannovenne figlio di un artigiano di nessuna importanza: tutte storie quindi, per meglio “purificare” il passato del giornalista novarese.
Abbiamo detto che Angelo Del Boca non fu mai uno storico, qualunque cosa ne dicano i suoi apolegeti. Dello storico gli mancavano il metodo e la capacità critica, l’obiettività – vedremo come lo abbia ammesso anche lui -, la selettività nel pubblicare documenti e, negli ultimi anni, le incongruenze nei propri scritti probabilmente dovute all’età assai avanzata. Va detto subito che la maniera in cui Del Boca riscritto la realtà della storia coloniale italiana è grottesca anche se purtroppo oggi ormai mainstream malgrado gli eccellenti studi in proposito pubblicati dagli Uffici storici di Esercito e Aviazione. Durante gli anni Sessanta Angelo Del Boca iniziò a pubblicare resoconti sui gas utilizzati dagli italiani in Abissinia, esagerando notevolmente l’impatto delle armi chimiche sia sull’esito della guerra che sugli eserciti e sulla popolazione abissini, che espone nel suo primo lavoro, La guerra d’Abissinia, del 1965. Da allora Del Boca si dedicò all’esposizione dei crimini, veri o presunti, dell’imperialismo italiano, con una voluta selezione di documenti, dei quali pubblicava solamente quelli più favorevoli alle proprie tesi. Scrive al proposito Ferdinando Pedriali, storico aereonautico e coautore della 2° edizione de I gas di Mussolini (Roma 2007):
I dati di Del Boca sono enfatizzati e volutamente esagerati. In passato Del Boca ha avuto un mio lavoro, dove era riportato l’ordine dato ai bombardieri di non lanciare iprite su un villaggio vicino ad un obiettivo strategico. Del Boca cancellò il paragrafo. Badoglio era convinto che l’ipritizzazione bloccasse il traffico militare su guadi e sentieri. Pura fantasia. Dopo le prime esperienze gli etiopici impararono a scansare le zone ipritate, la cui efficienza si riduceva velocemente per il calore e l’aria asciutta dell’altopiano etiopico. I negatori delle atrocità etiopiche, Del Boca docet, dovrebbero vedere (se ancora esistono) negli archivi militari e dello stato le raccappriccianti fotografie, prese all’epoca, di militari e civili italiani evirati e mutilati. Io ne ho viste alcune. (Ferdinando Pedriali[1])
Insomma, Pedriali oltre a confermare la selettività delle fonti usata da Del Boca riferisce di una alterazione volontaria di un documento perché smentiva le tesi di crudeltà verso i civili. Un’accusa molto seria vista anche la fonte. In particolare, anche se non era vero, Del Boca si attribuì il merito di aver parlato per primo dell’uso dei gas in Etiopia, presentato in modo apocalittico, con sterminio di decine di migliaia di civili (i gas non vennero mai usati contro le popolazioni civili, e il numero massimo delle vittime dei gas non supera probabilmente i 500). Anche l’autoreferenzialità, da primo della classe oseremmo dire, è caratteristica di Del Boca, il quale giunse a scrivere, parlando del proprio libro del 1965, che avrebbe a suo dire suscitato
Ampi consensi da parte della stampa democratica [sic, per di sinistra e d’area comunista] e, di riscontro, la violentissima reazione degli ambienti nazionalfascisti.
Si tratta di un passaggio autoreferenziale davvero inconsueto, per di più nel testo e non in una nota a piè di pagina, la cui lettura è assai istruttiva. Naturalmente Del Boca non cita le critiche alla sua metodologia di ricerca ed alla selettività sulla scelta delle fonti e del loro utilizzo. Come detto Del Boca ha cercato di rivendicare una sua primogenitura nell’avere scritto del loro utilizzo, facendo promozione di sé stesso. Esemplare in proposito è una lunga divagazione pro domo sua, inserita in quello che dovrebbe essere un libro di storia, in cui Angelo Del Boca parla a lungo di sé stesso, sostiene che ciò che definisce segreto delle armi chimiche sarebbe durato quasi ottant’anni (il libretto in cui dice questo è stato pubblicato nel 1996, la guerra d’Etiopia si è svolta nel 1936: come avrebbe fatto il silenzio, anche a prendere per buone le affermazioni di Del Boca, a durare ottanta anni?) e che egli avrebbe combattuto una personale guerra culturale contro legioni di avversari, fra cui la stampa fascista e della lobby colonialista ovvero presunti fogli fascisti e nostalgici [ossia Il Reduce d’Africa, periodico dell’Ass. Naz. reduci e rimpatriati d’Africa, ndA]. È quantomeno sorprendente che Del Boca, giornalista ed inviato speciale di testate nazionali (di proprietà pubblica, come il Giorno) con convinzioni politiche dichiaratamente di sinistra, lamentasse d’essere stato contestato da piccole e deboli testate di reduci (sic!) oppure da presunte istituzioni dello Stato (che sono lasciate innominate …)[2]
Dal 1945 al 1996, quindi per tutto il periodo in cui lo scrittore piemontese si presenta come impegnato in una supposta lotta eroica per la verità storica, i neofascisti hanno avuto un consenso politico pari a circa il 5% dell’elettorato e sono stati parimenti del tutto marginali, se non emarginati, nel giornalismo e nell’editoria, per non parlare delle istituzioni politiche. È noto che per lunghi decenni nelle cattedre di storia contemporanea dell’università si era – e lo è tuttora – imposta una egemonia nel senso gramsciano marxista e che nel giornalismo è accaduto lo stesso. Pertanto, se (ripetiamo, se) di contrasto si può parlare, allora vi è stato fra una sparuta ed emarginata cerchia di fascisti ed un apparato politico, editoriale e mediatico apertamente ed accesamente antifascista, di cui Angelo Del Boca era parte e da cui era appoggiato, come dimostra l’attenzione che gli è stata concessa da giornali nazionali, televisioni, uomini politici etc[3].
Infine non si può non riportare una frase quantomeno strana del giornalista novarese:
Da Mussolini a Badoglio, da De Bono a Graziani, da Lessona a Pirzio Biroli, da Geloso a Gallina, da Tracchia a Cortese, tutti i maggiori responsabili dei genocidi [sic!] africani sono rimasti impuniti, quando non hanno ottenuto un supplemento di onori e prebende anche dall’Italia repubblicana e democratica,
Come tutti sanno Mussolini non solo è rimasto impunito anzi probabilmente ha ricevuto un supplemento di onori e prebende dall’Italia democratica… come De Bono (che sicuramente non può esser associato a qualsivoglia crimine di guerra, visto che al tempo del suo comando non vennero effettuati attacchi con aggressivi chimici né bombardamenti su obiettivi non militari) che solo la propaganda dei giornali fascisti e colonialisti può sostenere sia morto fucilato a Verona nel 1944… Del resto, fu lo stesso Del Boca a dichiarare che a costo di presentare una visione distorta della storia, di essere decisamente schierato dalla parte degli etiopi, preferendo denunciare i crimini italiani e sottostimare quelli del nemico:
Lo ammetto, nelle mie ricostruzioni sulla guerra in Africa orientale mi sono schierato dalla parte degli etiopi. Sono da sempre un nemico del colonialismo e mi sembrava giusto sottolineare soprattutto le nostre responsabilità di Paese cosiddetto civile rispetto a popolazioni che avevamo aggredito con estrema violenza. Inoltre avevo un’enorme ammirazione per il negus Hailé Selassié e questo mi confortava nell’idea che bisognava evidenziare in primo luogo i crimini italiani[4]
Confessiamo che voler sottolineare le nostre responsabilità di Paese cosiddetto civile rispetto a quelle etiopiche ha per noi un sapore piuttosto improntato ad un paternalismo veterocolonialista, se non razzista: sembrerebbe quasi sottintendere come i crimini etiopici siano più giustificabili in quanto commessi da incivili, insomma… In un’intervista al giornale comunista Il manifesto in cui Del Boca viene definito addirittura accademico, si legge:
In Etiopia, Del Boca, incontra più volte l’imperatore Hailé Selassié, «Mi raccontò delle cose che non aveva mai raccontato a nessuno… Era un uomo molto fragile, quando gli toccavo le mani avevo sempre paura di romperle, tanto erano fragili». (G. Bocchi, “Angelo Del Boca, partigiano dalla parte della Storia”, Il manifesto 15/08/ 2020).
Solo chi non conosca minimamente quale fosse il rigidissimo protocollo della corte imperiale etiope – in cui il contatto fisico con l’imperatore era assolutamente bandito – potrebbe davvero bersi la favola di un qualsiasi Del Boca che tocca le mani del Negus Negast. Più possibile che il contatto con il Negus si sia limitato ad una stretta di mano, venendo poi infiorettato dall’immaginifico accademico novarese. Gli italiani commisero sicuramente molti crimini di guerra, ma questi non possono e non devono essere usati come alibi per esaltare chi commise crimini ben più gravi contro i civili, ed in tempo di pace, opprimendo, sfruttando e condannando a morire di fame migliaia di persone, barricandosi dietro il mito dell’oppressione colonialista e dei gas di Mussolini. E’ importante dunque riportare letteralmente quanto scrive un autore britannico, Frank Joseph, non certo un simpatizzante dell’Italia fascista, nel suo lavoro sulle guerre di Mussolini a proposito dell’autocrazia del Negus:
Sotto il suo dispotismo [di Hailè Selassiè, ndA] morirono molti più etiopi – oltre due milioni – rispetto ai 15.000 caduti durante la conquista del loro paese a metà degli anni ’30.[5].
Per fare un confronto, le vittime della brutale rappresaglia italiana dopo il fallito attentato a Graziani del 19 febbraio 1937 furono, secondo le varie valutazioni, tra 1400 e 3.000 (ovviamente la più alta è di Del Boca) mentre, la repressione del colpo di stato del dicembre 1960 contro il Negus portò all’esecuzione di oltre 5.000 persone, molte delle quali impiccate pubblicamente e lasciate esposte per giorni, nella sola Addis Abeba.
A proposito di genocidi africani: l’autocrazia di Selassiè prima ed il governo marxista-leninista poi provocarono nei cinquant’anni che vanno dal 1950 al 1991(dalla restaurazione del regime negussita al seguito delle salmerie britanniche sino alla caduta del regime comunista del Derg) e nelle sole Etiopia ed Eritrea circa 4.500.000 morti[6], un numero dieci volte superiore a quello delle vittime di tutta la storia del colonialismo italiano nei sessant’anni dal 1882 al 1943, che Del Boca stesso calcola in 450.000 fra etiopici, somali, libici ed eritrei; quindi in tutte le nostre colonie e non nel solo Corno d’Africa, in massima parte in tempo di guerra e non in tempo di (presunta) pace. Ma questo Del Boca non lo ha mai scritto.
[1] Pedriali, https://www.indygesto.com/indybooks/4664-gas-italiani-tutte-le-bufale-di-angelo-del-boca. Si tratta probabilmente dell’ ordine di operazione, indirizzato in data 23 gennaio 1936 dal Comando Aeronautica dell’Eritrea al 9° Stormo Disporre lancio iprite su tutti i guadi del torrente Ghevà […] dovrà essere risparmiato l’abitato di Mai Ghibbà
[2] Del Boca, “Una lunga battaglia per la verità”, in Del Boca, I gas di Mussolini, Roma 2007, pp. 17-24,e citazioni a p. 21, 22 e 24.
[3] https://www.indygesto.com/indybooks/4664-gas-italiani-tutte-le-bufale-di-angelo-del-boca
[4]Del Boca, dichiarazione rilasciata ad A. Carioti, “Etiopia, l’ esercito corregge gli storici «Sottovalutate le atrocità degli abissini». Del Boca: è vero, stavo dalla loro parte”, Corriere della sera, 6 gennaio 2011. Alla figura del Negus Del Boca ha dedicata un’agiografia romanzata (Del Boca, Il negus, Milano 1995).
[5] Joseph Mussolini’s War, London 2010, p.139 dell’ed. digitale.
[6]Cifra approssimata per difetto, che comprende le vittime delle repressioni, delle guerre civili, della lotta contro i patrioti eritrei e tigrni, delle carestie e delle deportazioni di popolazioni civili.