di Domenico Bonvegna da Destra.it del 18 settembre 2023
Jean Dumont (1923-2001) plurilaureato, insieme a Regine Pemoud e a Philippe Ariès incarna la scelta – tipicamente francese – di svolgere la professione di storico al di fuori delle università, a contatto diretto e spesso itinerante con gli archivi. Per oltre quarant’anni, in qualità di direttore editoriale, ha curato collane storiche presso importanti editori francesi. In questa veste ha pubblicato – ma spesso anche ideato, commissionato, rivisto, annotato – oltre mille opere storiche, diventando un punto di riferimento imprescindibile per tre generazioni di cultori francesi della materia. Maestro capace di suscitare e di organizzare intorno a se il lavoro degli storici, Jean Dumont viene considerato uno storico di fama mondiale per le sue ricerche sulla vita religiosa soprattutto dei secoli dal ‘500 al ‘700 in Spagna, nelle colonie spagnole e in Francia. Convinto della necessità di diffondere capillarmente la cultura storica e di sfatare i luoghi comuni propagati dalle ideologie.
Il testo dell’infaticabile ricercatore francese risponde ad una serie di domande. Il cosiddetto Nuovo Mondo, all’arrivo dei conquistadores spagnoli, era una sorta di paradiso terrestre? Sono attendibili le denunzie storiche mosse dal grande accusatore Bartolomeo de Las Casas? Gli Indios vennero massacrati e maltrattati dai cattolici come avvenne nel caso degli Indiani d’America per mano dei protestanti? I Sovrani cattolici (in particolar modo Isabella di Castiglia) e la stessa Chiesa dell’epoca, si disinteressarono della sorte di quelle genti, travolte da una Conquista ingiusta e spogliatrice? Le encomendias servirono all’asservimento degli indigeni o alla loro protezione?
L’autore, smonta larga parte delle accuse contenute nella famigerata “Leggenda Nera” antispagnola ed anticattolica e sfata il mito che il nuovo mondo fosse, all’arrivo dei conquistadores, una sorta di paradiso terrestre: basti pensare che alla vigilia della scoperta, nel 1487, gli Atzechi sacrificarono ventimila prigionieri in occasione dell’inaugurazione di un nuovo tempio. Ricorda come sia stato proprio Cortés, superata la prima fase della Conquista, a promuovere la protezione degli indiani e che le cause del primo regresso demografico delle popolazioni indigene non sono imputabili a massacri indiscriminati o a maltrattamenti, ma ai virus del morbillo e del vaiolo, di cui gli europei erano portatori sani e di cui gli indios non possedevano gli anticorpi; se vi furono uccisioni o maltrattamenti (isolati), questi furono prontamente repressi dietro le denunzie della Chiesa cattolica e per iniziativa dei Sovrani spagnoli, autori di una rigorosa legislazione a tutela degli indigeni (meno fortunati furono i nativi del nord America, identificati come il diavolo dai protestanti).
Dunque, il libro di Dumont ci racconta una “bella lezione di storia”, che sapientemente illustra una meravigliosa pagina del cristianesimo di cui i cattolici dovrebbero tornare a sentirsi fieri.
Il testo è sapientemente prefato dal compianto professore di Storia Medievale, Marco Tangheroni, che ringrazia il coraggioso editore controcorrente che ha deciso di pubblicare l’opera. In conclusione della sua prefazione, auspica che il libro possa avere,“ampia diffusione nella cultura italiana, ancora largamente egemonizzata da posizioni neoilluministe, neomarxiste, disordinatamente ecologiste e terzomondiste. E in particolare in quella cattolica tuttora infestata da complessi di inferiorità e subalternità nei confronti di queste posizioni”. Prima di passare al giudizio storico è opportuno vedere che cosa scrive la “Commissione teologica internazionale”, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, L’Osservatore Romano, Documenti, supplemento a L’Osservatore Romano n.10, 10 marzo 2000, p.5, n.4).
La Chiesa non entra nel merito delle vicende storiche ma si limita a dire che: «l’individuazione delle colpe del passato di cui fare ammenda implica anzitutto un corretto giudizio storico, che sia alla base anche della valutazione teologica. Ci si deve domandare: che cosa è precisamente avvenuto? Che cosa è stato propriamente detto e fatto? Solo quando a questi interrogativi sarà stata data una risposta adeguata, frutto di un RIGOROSO GIUDIZIO STORICO, ci si potrà anche chiedere se ciò che è avvenuto, che è stato detto o compiuto può essere interpretato come conforme o no al Vangelo, e, nel caso non lo fosse, se i figli della Chiesa che hanno agito così avrebbero potuto rendersene conto a partire dal contesto in cui operavano. Unicamente quando si perviene alla certezza morale che quanto è stato fatto contro il Vangelo da alcuni figli della Chiesa ed a suo nome avrebbe potuto essere compreso da essi come tale ed evitato, può aver significato per la Chiesa di oggi fare ammenda di colpe del passato».
Allora quale è stata la vera storia del Vangelo nelle Americhe? Certamente molti conquistadores si macchiarono di gravi colpe e ci furono anche preti e vescovi complici di diverse nefandezze. Non bisogna dimenticare che la colonizzazione del Sud America è una storia di uomini e ogni storia di uomini è fatta di luci ed ombre. Tuttavia gli aspetti positivi superarono quelli negativi. Scrive Giovanni Paolo II: “- senza dubbio in questa evangelizzazione, come in ogni opera dell’uomo, vi sono stati esiti e sbagli, – luci ed ombre -, però, – più luci che ombre -“– (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica I cammini del Vangelo, 29 giugno 1990, n.8). A proposito dell’evangelizzazione dell’America Latina, il Papa nel suo secondo viaggio apostolico in Argentina ha detto: “Negli uomini e nelle donne di questa terra, nei suoi costumi e nel suo stile di vita, perfino nella sua architettura, si scoprono i frutti di quell’incontro di due mondi che ebbe luogo quando giunsero i primi spagnoli ed entrarono in contatto con i popoli indigeni che vivevano in questa regione […] Da questo incontro fruttuoso è nata la vostra cultura, vivificata dalla fede cattolica che, fin dall’inizio, si è radicata molto profondamente in queste terre”.
Gli spagnoli, pur con tutti i loro difetti umani, hanno liberato gli indios da regimi che si possono considerare fra i più sanguinari e schiavistici della storia. Innanzi tutto bisogna sapere che gli Aztechi e gli Incas non erano pacifiche popolazioni locali ma erano essi stessi degli invasori che provenivano da altre terre.
Gli aztechi erano un popolo bellicoso e crudele che aveva a sua volta distrutto la popolazione dei toltechi, degli zapotechi e quanto rimaneva dei maya. Gli aztechi tennero sempre in schiavitù gli indios dell’America centrale, essi avevano una macabra religione che si basava sui sacrifici umani di massa. Per gli aztechi il sangue umano era il nutrimento che bisognava offrire agli dei per continuare a garantire il funzionamento del mondo. Sostanzialmente era un popolo sempre in guerra, proprio perché avevano necessità di procurarsi nuovi schiavi da sacrificare agli dei. Un codice azteco racconta che nel 1487 furono sacrificati 20.000 prigionieri in occasione dell’inaugurazione di un nuovo tempio dedicato al dio colibrì. Ogni primo mese dell’anno uccidevano moltissimi lattanti e poi li divoravano. Come ha ben raccontato Mel Gibson nel film “Apocalypto”. Il rito sacrificale tipico consisteva nel portare le vittime in cima alle piramidi. Qui veniva strappato il cuore ancora pulsante e i corpi venivano precipitati dalle piramidi. I corpi venivano scuoiati, con le pelli venivano fatti abiti per la casta sacerdotale mentre le altre parti del corpo venivano mangiate: dopo il pasto si ubriacavano.
Anche i Maya, in quanto a crudeltà, non sono stati da meno: essi praticavano sacrifici umani in relazione con i cicli del calendario, anche loro strappavano il cuore e procedevano allo scorticamento del cadavere come atto magico per appropriarsi dell’anima. Mentre gli Incas erano amerindi di stirpe Quechua della regione di Cuzco. Essi avevano invaso e sottomesso tutti i popoli delle Ande – l’attuale Perù, la Bolivia, l’Ecuador, il Cile, l’Argentina – e per ragioni economiche avevano deportato intere popolazioni in luoghi lontani. Sia gli Aztechi che gli Incas erano dei regimi collettivisti e razzisti. Tutta la vita privata era strettamente controllata dallo Stato – compreso i vestiti -, il matrimonio era controllato dalle autorità per evitare contaminazioni razziali e per assicurare la purezza del popolo. La posizione della donna nell’impero Incas era ancora più tragica. Ogni anno le bambine di nove anni di età venivano valutate dai funzionari imperiali: Quelle scelte – chiamate elette – erano prelevate ed educate in case speciali. Esse venivano divise in tre categorie. Un primo gruppo: dovevano restare vergini, impiegate nel culto del dio sole – vergini del sole -. Un secondo gruppo: donne che venivano divise tra i funzionari imperiali in qualità di prostitute. Il terzo gruppo era destinato ai sacrifici umani. Mentre nelle tribù indie vicine, la donna godeva di indipendenza.
Pertanto di fronte a questi regimi potenti e sanguinari ben consolidati, come hanno fatto gli spagnoli a farli crollare. Attenzione tra il 1509 e il 1559, gli spagnoli che raggiunsero le indie furono in tutto poco più di 500. Come poterono poche decine di soldati far crollare degli imperi? Le poche armi non funzionarono quasi mai a causa del clima umido che neutralizzava le polveri, i cavalli non potevano essere utilizzati nell’assalto a causa delle foreste. La verità è che gli spagnoli ebbero l’appoggio determinante degli indios che li accolsero come liberatori e si unirono a loro per rovesciare la schiavitù azteca e Incas.
Dunque scrive Dumont: “l’insediamento spagnolo non fu affatto ricevuto come una ‘aggressione’ da un gran numero di popoli indigeni […] Quando Cortes sbarca con la sua ridottissima truppa sulla costa di Vera Cruz, viene presto accolto come un alleato dai Cempoaltechi, appartenenti alla grande civiltà totonachi, creatori dell’arte più pura e più moderna dell’antico Messico”. A poco a poco anche altre popolazioni si schierano con Cortes, come i Tlaxcaltechi, che poi saranno i veri vincitori dell’impero azteco: essi entreranno a fianco di Cortes in Città del Messico. Inoltre anche le popolazioni del sud, gli Zapotechi di Oaxaca, accolgono gli spagnoli come ospiti e benvenuti. Alla fine molti storici messicani, possono sostenere, che la Conquista fu opera, “meno di Cortes, che non dei gruppi indigeni, stanchi della tirannia azteca e desiderosi di scuotersela di dosso, i quali si gettarono nelle braccia degli spagnoli”. Addirittura Alfredo Chavero, scrive: “non fu un gruppo di europei ad operare la Conquista, ma gli Indiani stessi”. Un fatto indiscutibile è che nei tre secoli di presenza spagnola mai ci furono rivolte contro gli spagnoli da parte degli indios. La morte di milioni di persone nella popolazione indigena ci fu ma non fu dovuta alle armi degli spagnoli ma alle nuove malattie infettive portate dagli spagnoli: il morbillo e il vaiolo. Inoltre gli spagnoli si sposarono con le donne indigene, creando così la popolazione meticcia. Infatti i cattolici spagnoli non esitavano a sposare le indigene perché la teologia cattolica le riteneva esseri umani a pieno titolo. Nel Nord America, invece, la colonizzazione protestante aborriva le unioni miste e i frutti degli incroci razziali venivano emarginati: la teologia protestante, infatti, considerava l’indiano inferiore in quanto predestinato ad esserlo (è lo stesso meccanismo che ha portato nel Sudafrica all’apartheid e in Australia alla quasi estinzione degli indigeni). Inoltre, nel Nord America la colonizzazione protestante ha effettivamente sterminato le popolazioni locali (il massacro sulla frontiera dell’Ovest nel XIX secolo).
E allora perché è nata la Leggenda nera della conquista spagnola? Lo storico Pierre Chanu, calvinista e liberale, sostiene che è stata l’America protestante a crearla, probabilmente per liberarsi dal suo crimine. Il primo scritto utilizzato in funzione strumentale dagli olandesi e dagli inglesi, per costruire il mito del massacro degli indios da parte degli spagnoli, fu quello del frate cattolico Bartolomeo de Las Casas. Bartolomeo fino a 35 anni aveva praticato, prima della conversione, la schiavitù degli indios nei suoi possedimenti delle Antille. Lo scritto di Bartolomeo è frutto di un’esaltazione mistica e di un desiderio di espiazione. Bartolomeo, in modo del tutto ingenuo e infantile, dice che tutti i popoli delle Indie sono naturalmente buoni e pacifici, addirittura privi di ogni forma di aggressività. Le civiltà costruite da questi popoli sarebbero tutte perfette e paradisiache, comprese quelle sanguinarie degli aztechi e degli Incas. Pertanto, Il male non esisterebbe presso quei popoli ma solo nell’animo degli europei. Bartolomeo, con il suo scritto, è il primo a gettare le premesse di quella favola illuminista che darà origine al mito del buon selvaggio.
Il libro di Dumont indugia molto sul francescano, gli stessi Re spagnoli, Ferdinando e Isabella, hanno concesso piena libertà di manifestare la propria visione utopistica. Isabella scrisse nel suo testamento una supplica al Re e alla principessa sua figlia affinché gli indios fossero sempre trattati con umanità, rispettati nelle loro persone e nei loro beni e affinché fosse riparato ogni eventuale danno che avessero ricevuto.
Lo storico protestante nord-americano William Malty ha scritto che nessuna nazione eguagliò la Spagna cattolica nella preoccupazione per le anime dei suoi sudditi. A questo proposito c’è un altro francescano che potrebbe essere considerato il vero paladino degli indios, quel fra Toribio de Benavente, detto “Motolinia”, poco conosciuto.
Anche in Perù avvenne la stessa cosa con Pizarro e i suoi spagnoli, le popolazioni indigene come i Canari taglieggiati dagli Incas si allearono con gli spagnoli ed entrarono a Quito.
Un’appassionata adesione di massa. Insomma Dumont può scrivere che “la pretesa ‘aggressione culturale’ cristiana era di fatto un apporto da lungo tempo atteso, anche se inconsciamente”. Occorre riflettere molto sull’evangelizzazione dei popoli indigeni. Fu una vera epopea, “quasi dappertutto si ripete la sete indiana di cristianesimo; dappertutto investe le moltitudini e travolge la prudenza che i religiosi vorrebbero mantenere nell’amministrazione del battesimo”.
Gli stessi accomodanti francescani cercarono prima di battezzare, di fornire una preliminare istruzione. “Gli indiani furono – salvo rarissime eccezioni – battezzati a “uno a uno’ […]”. Il francescano Torquemada, afferma che, “spesso i preti non riuscivano più a sollevare la brocca con la quale battezzavano, tanto erano stanche le loro braccia”. Addirittura uno studioso francescano rileva che gli indios in massa, importunavano i frati, “venivano a reclamare il battesimo”.
E’ l’”ora di Dio”, secondo il gesuita padre Plaza, gli indiani si appassionano talmente che accorrono ad ascoltare più di una predica nello stesso giorno, girando di parrocchia in parrocchia. La sete indiana del cristianesimo, esplode in ogni città, in ogni villaggio. Nasce una nuova alleanza nella gioia. Lo -cattolica che nasce immadiatamente dopo la Conquista, come modello storico delle civiltà Arnold Toynbee, ha considerato “la civiltà indo-cattolica che nasce immediatamente dopo la Conquista, come il modello mondiale della felice fusione di due civiltà”. Lo storico ha sviluppato questa tesi dopo aver visitato le innumerevoli opere d’arte, “sovrabbondanti di luce e di gioia, contrariamente alla sinistra arte azteca, forniscono – proprio attraverso la gioia – la prova irrefutabile della liberazione umana portata dalla Conquista e dall’evangelizzazione”.
E’ una bella lezione di Storia, l’auto evangelizzazione degli indiani. Il libro di Dumont prosegue ad evidenziare l’opera luminosa della stupefacente arte indo-cristiana, fino a parlare di una vera e propria età dell’oro. Non posso dilungarmi troppo.
Prima di concludere il testo fa riferimento alla “Verità della Madonna di Guadalupe”, apparsa immaculada incinta a Juan Diego nel 1531, “Dio ha fatto ciò che non ha fatto per nessun’altra nazione”. La Vergine Maria ha voluto mettere il suo sigillo alla scoperta, alla conquista e all’evangelizzazione di quelle nuove terre. Una storia che va affrontata e raccontata bene per capire come la Provvidenza non manca di entrare nella Storia dell’uomo. Il testo di Dumont si arricchisce con un saggio su “Santa Isabella la Cattolica”, un processo di riabilitazione della regina spagnola, un processo che non va avanti proprio perché si tratta di una regina, “politicamente scorretta”, anche questa storia merita attenzione da parte nostra. Lo faremo in qualche altra occasione.