Gli eventi e la loro immagine: come il cinema ha cambiato la percezione della Storia

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di Alberto Scuderi per www.storiainrete.com del 23 giugno 2025

Il Novecento è stato il secolo del cinema e, più in generale delle immagini, che hanno rivoluzionato la realtà stessa delle cose. Giampiero Frasca, docente e critico cinematografico, in Schermi del Novecento. La storia del XX secolo vista attraverso il cinema (Lindau, 2025), sostiene che “le immagini poste a fianco degli eventi hanno mutato completamente il modo di relazionarsi a essi”, nel senso che ne hanno diffuso una forma considerata attendibile e oggettiva dalla maggior parte della gente comune.

Questa nuova fruizione, di conseguenza, ha permesso ad ogni spettatore di sentirsi testimone diretto, se non protagonista, della grande Storia (un cambio di prospettiva che si è avuto a partire dalla Guerra del Golfo del 1991, «il primo evento a entrare nelle case di ogni singolo individuo per permettere di vivere “in diretta” le operazioni belliche»). Il cinema, tuttavia, non è e non può essere, data la sua natura finzionale, una “prova” di ciò che racconta. Fornisce nel migliore dei casi informazioni utili per la comprensione dei fatti, dal punto di vista di un singolo individuo, ovvero l’autore (il quale a sua volta è il terminale di spinte sociali e politiche provenienti dall’ambiente) che quei fatti li sta interpretando qui e ora. Con tutte le implicazioni ideologiche del caso.

In un’epoca come quella attuale, in cui ciò che non si vede non esiste, o non viene creduto, e gli individui concorrono da sé alla creazione di immagini e narrazioni con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, risulta dunque ancor più necessario lo studio del racconto cinematografico. Il presente saggio, attraverso il contributo di esperti quali Paola Brunetta, Vincenzo Chieppa, Manuela Russo, Andrea Santimone e Simone Tarditi – coordinati dal già citato Frasca -, analizza e commenta gli avvenimenti del Novecento e al contempo fornisce «delle proposte di osservazione e studio per accompagnare i programmi negli istituti secondari di primo e secondo grado». Difatti le vicende, ancorché inquadrate nel loro contesto di riferimento, seguono l’ordine cronologico di un qualunque manuale di Storia in uso nelle scuole italiane (del resto, il curatore è da tempo che mostra interesse verso il mondo della scuola: si veda a riguardo Il cinema va a scuola del 2011).

L’approccio innovativo di utilizzare le immagini in movimento come lente interpretativa degli eventi, considerando ogni film un documento filtrato e insieme un discorso sociale, permette al lettore di riflettere su come la storia sia stata narrata e su quanto il cinema abbia influenzato la sua rappresentazione. Significativo, in tal senso, è l’esempio dello sbarco in Normandia, oggetto di tre film dallo stile differente, usciti curiosamente a 18 anni di distanza l’uno dall’altro: Il giorno più lungo, girato da un pool di registi (1962), Il grande uno rosso di Samuel Fuller (1980) e Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg (1998).

Ebbene, nel primo caso (produzione inglese, americana e tedesca) l’arrivo degli Alleati in Francia è icastico, messo in scena con una carrellata unica che rende il tutto perfettamente naturale. La pellicola diretta da Fuller, invece, desacralizza, spoglia l’operazione militare a partire da un utilizzo del montaggio più “problematico”. Infine, con Spielberg lo sbarco diventa uno spettacolo splatter (arti che si staccano, sangue ovunque etc.), un evento tutt’altro che epico, anzi tragico e violento. Raccontato con un approccio impensabile solo qualche anno prima, anche per via di un orizzonte del visibile (leggi sensibilità) frattanto cambiato radicalmente.

Alle vicende e ai film internazionali sono dedicate alcune delle pagine più dense del volume. Come, ad esempio, il capitolo sulla seconda rivoluzione industriale, che in Edison. L’uomo che illuminò il mondo, diretto nel 2017 da Alfonso Gomez-Rejon, emerge quale evento di passaggio e acceleratore della modernità. Oppure quello sul nazismo, dove a fronte di una cinematografia piuttosto scarsa, per difficoltà narrative evidenti, s’impongono due lavori di notevole fattura: la miniserie televisiva Il giovane Hitler (2003) e il ben più celebre La caduta. Gli ultimi giorni di Hitler (2004), con Bruno Ganz nei panni del dittatore. Infine, sulla fine del comunismo e la caduta del muro di Berlino, due momenti di svolta raffigurati in Good Bye Lenin! di Wolfgang Becker (2003), un film in cui commedia e dramma si mescolano ad arte e “la Storia che irrompe preponetemene nella vita delle persone è rappresentata per mezzo di una vicenda intima e personale in cui il quotidiano (la storia di Alex e di sua madre) si intreccia con l’evento epocale (il crollo del muro di Berlino, il collasso della DDR, la riunificazione delle Germanie)”. Per quanto riguarda l’Italia, la filmografia legata a momenti decisivi della storia del Novecento è vastissima. Citiamo solo alcuni titoli. Uomini contro di Francesco Rosi (1970) e La grande guerra di Mario Monicelli (1959) sulla Prima guerra mondiale. La marcia su Roma di Dino Risi (1962), Il federale di Luciano Salce (1962) e Il conformista di Bernardo Bertolucci (1970) dedicati al fascismo. Per non dire delle tante pellicole che hanno indagato il boom economico, quali Una vita difficile (1961)e Il sorpasso (1962) del già citato Risi, uno dei registi più acuti nell’analizzare la “mutazione antropologica” a cavallo tra gli anni ’50 e ‘60, e Il boom di Vittorio De Sica su sceneggiatura di Cesare Zavattini (1963). Qui la cinematografia italiana, forse come nessun’altra forma di espressione artistica coeva, aveva utilizzato il miracolo economico quale “dispositivo narrativo per portarne alla luce i limiti e le contraddizioni”. Cosa che in parte, seppure in un contesto diverso, gli accadrà di fare qualche anno dopo con il racconto degli anni di piombo. Stagione dalla lunga e altissima conflittualità sociale, culminata con l’uccisione del leader democristiano Aldo Moro nel 1978, la cui figura è al centro di Buongiorno, notte di Marco Bellocchio (2003), liberamente tratto dal libro di memorie Il prigioniero scritto da Anna Laura Braghetti, ex brigatista coinvolta in prima persona nel rapimento, insieme alla giornalista Paola Tavella. Con tutta probabilità – rispetto a Il caso Moro di Giuseppe Ferrara (1986) e Piazza delle cinque lune di Renzo Martinelli (2003) – il film più incisivo e potente sul tema, capace di assumere il punto di vista dei rapitori (in particolare di Chiara, la protagonista), mettendone in risalto l’imbarazzo morale e i tanti dubbi che accompagnarono la loro scelta. In generale, se sul terrorismo rosso i titoli si sprecano, sul terrorismo nero esistono quasi esclusivamente documentari, e non di facile reperibilità. Di film a soggetto “va segnalato Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana (2012), incentrato sull’attentato di Piazza Fontana (12 dicembre 1969 n.d.r.), opera del gruppo di estrema destra Ordine Nuovo”. Troppo poco per una pagina di storia così importante. Forse abbastanza per un paese come il nostro. Talvolta incapace, in questo come in altri casi, di fare i conti con il proprio passato. 

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