Le parole sono importanti! Così affermava Nanni Moretti nel film Palombella rossa. Parole sante! Usarle a proposito, senza ambiguità, doppi sensi e ipocrisie è doveroso e lo sarebbe a maggior ragione quando vengono utilizzate dai media. Ora, c’è una parola che ricorre quasi quotidianamente nei TG e sulla carta stampata. E questa espressione è “porto sicuro”, per indicare uno dei porti, per lo più siciliani o, talvolta, calabresi, davanti ai quali stazionano in attesa del via libera le navi delle ONG (Organizzazioni non governative) cariche migranti/clandestini/rifugiati (scegliete voi: i termini sono intercambiabili, o quasi) per sbarcare a terra i loro passeggeri.
Sgombriamo il campo dagli equivoci. Il problema migranti esiste ed è drammatico. Nessuno desidera riempire il Mediterraneo di cadaveri, ma nessuno al di fuori dell’Italia in Europa (con l’eccezione della Grecia) ha mosso un dito per tentare (tentare!) di risolvere il problema alla radice. Solo promesse e impegni non mantenuti. Quindi, va bene essere presi in giro dall’estero (anzi non va bene), ma certo non va bene prenderci in giro da soli giocando con le parole. Almeno usiamole per chiamare le cose con il loro nome. Basta parlare di porto sicuro. Quando si tratta di far sbarcare i passeggeri delle ONG (che chiamerei piuttosto Organizzazioni per la navigazione governativa, più puntuali delle linee marittime regolari) parlerei di approdo in un porto italiano e non di un porto sicuro.
Porto sicuro naturalmente suona meglio: sa di accoglienza, fine delle pene, cessato pericolo, opera di bene e via beneficando, con la benedizione per di più delle attuali raccomandazioni del Vaticano. Ma se nel Mediterraneo gli unici porti sicuri sono quelli siculo-calabresi, questo significa che gli altri porti non lo sono e quindi andrebbero chiusi. Chiudiamo quindi Marsiglia, Tolone, Barcellona e soprattutto il porto di Malta, quest’isola di furbi levantini approdati pure alla presidenza del Parlamento europeo, il cui porto non risponde neppure alle richieste di aiuto di quelli che si trovano di fronte alle sue banchine.
Insomma risparmiamoci oltre al danno anche la beffa di una parola neutra, ipocrita e rassicurante come “porto sicuro”. Chiamiamo le cose con il loro nome: porto di Lampedusa, di Agrigento, di Taranto e così via. E quando sentite parlare di “porto sicuro”, drizzate le orecchie: vi stanno prendendo in giro!