Estratto dell’articolo di Fabrizio Peronaci per www.corriere.it da Dagospia del 19 settembre 2024
Nella lunga sequenza di sangue e misteri che racconta la Roma più nera, il caso Montesi anticipò temi, suggestioni e italici vizi oggi ancora attuali. Una ragazza 21enne di famiglia semplice, bellissima, trovata morta sulla spiaggia dei romani. Gonna, scarpe e reggicalze spariti. Indizi contraddittori, investigatori in affanno. Sullo sfondo festini sessuali con la partecipazione di personaggi importanti.
Anche se tanto tempo è passato, l’affaire Montesi – ambientato a metà degli anni ’50, in un’Italia bigotta, misogina e assetata di gossip fino all’isteria – resta il cold case numero 1. Chi fu il responsabile della morte di Wilma? Come credere alla tesi di un malore durante un pediluvio? Quali verità inconfessabili intralciarono le indagini?
Un movente sfuggente. La scena criminis contaminata. Paparazzi scatenati. Testimoni reticenti o in cerca di un palcoscenico. Un cortocircuito mediatico-politico-giudiziario senza precedenti. Dopo Wilma, la narrazione dei grandi delitti è cambiata, intrecciandosi spesso con il racconto del potere, dei suoi abusi e degli intrighi. E a far da spartiacque c’è ancora quel 18 settembre 1954, esattamente settant’anni fa, quando il ministro Attilio Piccioni fu costretto a dimettersi a furor di popolo.
Il ritrovamento del corpo sulla spiaggia
A dare l’allarme, la mattina della vigilia di Pasqua, è un operaio che sta facendo colazione in riva al mare. È l’11 aprile 1953, un sabato: sulla spiaggia di Torvajanica viene trovato il corpo senza vita di Wilma Montesi, 21 anni, ragazza romana di modeste origini, figlia di un falegname, che abita con la famiglia in via Tagliamento (quartiere Trieste). La giovane è scomparsa da due giorni. Il corpo è prono, immerso in acqua dalla parte della testa. Parzialmente vestita, gli abiti zuppi. La vittima non indossa scarpe, gonna, calze e reggicalze. Introvabile anche la borsa.
Chi era Wilma Montesi? Il cinema e il fidanzato poliziotto
Ragazza riservata e gentile, Wilma Montesi ha avuto qualche esperienza nel mondo del cinema (aveva preso parte ad alcuni film come comparsa). Era fidanzata con Angelo, un agente di polizia in servizio a Potenza, e stava preparando il corredo in vista delle nozze, già fissate per il Natale del 1953.
Il delitto trova subito grande spazio sui giornali (diventerà il primo grande caso mediatico del dopoguerra). Anche se l’accesso alla camera mortuaria è vietato, un cronista del Messaggero riesce a intrufolarsi e la descrizione della giovane senza vita è talmente precisa che la mattina successiva il padre, Rodolfo Montesi, la riconosce dopo aver letto l’articolo e si presenta alle autorità per il riconoscimento del cadavere.
Il pomeriggio della scomparsa: «La Magnani non mi piace»
Nel pomeriggio del 9 aprile, giorno della scomparsa, la mamma di Wilma l’aveva invitata a uscire con lei e la sorella Wanda per andare al cinema a vedere il film La carrozza d’oro. La ragazza però aveva declinato, dicendo che non amava Anna Magnani e che preferiva fare una passeggiata. Per cena non si era presentata a casa. La madre, nel rientrare dopo il cinema, si era stupita nel trovare sul tavolo i documenti della figlia e un braccialetto di scarso valore, che solitamente indossava, dono del fidanzato. La portiera dichiarò di averla vista uscire attorno alle 17,30.
L’autopsia: scivolata in acqua per un malore
Gli esami sul cadavere svolti presso l’Istituto di medicina legale di Roma chiarirono che Wilma era morta per effetto di una «sincope dovuta a un pediluvio» e che poco prima aveva mangiato un gelato. Incrociando tali informazioni con quanto dichiarato dai genitori, secondo i quali la figlia soffriva da giorni di una fastidiosa irritazione ai talloni, si arrivò a una prima ricostruzione: Wilma per alleviare il dolore si era seduta sulla battigia, immergendo i piedi in mare dopo essersi tolta le scarpe e sfilata la gonna. Poco dopo però era stata vittima di un malore, aveva perduto i sensi ed era annegata in pochi centimetri d’acqua.
L’autopsia certificò anche che la ragazza era vergine e non aveva subito violenza, circostanza successivamente contestata in quanto, secondo una consulenza, la presenza di sabbia nelle parti intime poteva essere spiegata solo con un tentato stupro. La polizia non aveva dubbi: l’incidente causato dal malore fu considerato più che plausibile e il caso si chiuse. Escluso il suicidio, di cui pure a caldo si parlò, perché Wilma non aveva manifestato alcuna propensione in tal senso.
I primi dubbi e la vignetta con il piccione
Per la polizia caso risolto, per la stampa no. I giornali continuarono a pubblicare articoli nei quali si sposava la tesi dell’insabbiamento a favore dei colpevoli, da rintracciare in un giro di potenti dell’epoca. La voce era che Wilma fosse morta nel corso di uno dei tanti festini tenuti da tempo in una villa di Capocotta, ai quali erano soliti partecipare politici e notabili della Democrazia cristiana.
Il Merlo, giornale dell’opposizione di destra, pubblicò una vignetta che fece scalpore: un piccione con un reggicalze appeso al becco. Palese il riferimento a Piero Piccioni, pianista e compositore, figlio del ministro degli Esteri Attilio, che aveva fatto ritrovare gli indumenti mancanti della Montesi. Attilio Piccioni era un alto notabile democristiano, in corsa per la successione a De Gasperi.
Il coinvolgimento del figlio del ministro
Ad accusare Piero Piccioni, stando al giornale L’attualità, è l’aspirante attrice Adriana Concetta Bisaccia, secondo la quale Wilma Montesi sarebbe morta in una villa non distante dalla spiaggia in cui era stata trovata. La ragazza avrebbe partecipato a un festino caratterizzato dall’abuso di alcol e droghe, organizzato dal marchese Ugo La Montagna. Wilma, morta accidentalmente, sarebbe stata allontanata dalla villa e scaricata in riva al mare, per evitare guai alle personalità che prendevano parte alle serate orgiastiche.
Già dalla tarda primavera del 1953 le ripercussioni del caso Montesi cominciarono a minare la stabilità del governo. Il presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, a fine luglio non ottenne la fiducia in Parlamento. Si aprì quindi una crisi complicata, che sarebbe stata risolta solo a fine anno con la formazione del governo Fanfani, nel quale Attilio Piccioni venne confermato al ministero degli Esteri.
Il «cigno nero» e la riapertura del caso
La pista dei festini, nonostante la pioggia di smentite provenienti dai piani alti della politica, prese corpo. L’ex amante del marchese La Montagna, la giovane contessa Augusta Moneta Caglio, ribattezzata da Camilla Cederna nei suoi resoconti «il cigno nero» per i capelli scurissimi e il collo sproporzionato, mise a verbale dettagli imbarazzanti: nella villa di Capocotta si organizzavano serate hot alle quali Wilma Montesi era presente. La corte d’appello di Roma, in base alle nuove risultanze, nel marzo 1954 riaprì ufficialmente il caso. La contessa Moneta Caglio è morta nel febbraio 2016, a 86 anni […]
Le dimissioni del ministro, l’arresto di suo figlio
Ormai il giallo Montesi era deflagrato. Il 18 settembre settembre 1954, 70 anni fa, Attilio Piccioni si dimise da ministro degli Esteri e dai suoi incarichi nel partito. Perché? Evidentemente sapeva che qualcosa stava per accadere. Pochi giorni dopo, infatti, il figlio Piero venne arrestato e richiuso a Regina Coeli con l’accusa di omicidio colposo e uso di sostanze stupefacenti.
Nel 1955, al termine di un’inchiesta che appannò l’immagine della polizia (il questore Saverio Polito fu accusato di aver insabbiato verità scomode), si aprì il processo. A difesa di Piero Piccioni, davanti alla Corte, si presentò la sua fidanzata, Alida Valli. La famosa attrice dichiarò che il figlio del ministro quella notte era con lei. Il verdetto sarà di assoluzione per Piccioni e gli altri imputati, mentre gli accusatori verranno condannati per calunnia.