di Massimo Weilbacher da Destra.it del 26 aprile 2023
A 120 anni dalla sua nascita Josè Antonio primo de Rivera, carismatico fondatore della Falange Española e figura emblematica della spagna moderna, ha goduto del discutibile privilegio di un nuovo funerale, il quinto di una serie iniziata alle 6.20 del 20 novembre 1936 quando un plotone di esecuzione formato da anarchici della CNT e comunisti del Quinto Regimiento lo aveva fucilato nel cortile del carcere di Alicante gettando poi il suo corpo in una fossa comune.
Da lì viene esumato per la prima volta un paio di anni dopo quando, dopo la battaglia dell’Ebro, l’esito della guerra è segnato e le autorità locali cercano, prudentemente, di trovargli una sistemazione più dignitosa piazzandolo nel loculo 515 del settore 35 del cimitero municipale di Nuestra Señora del Remedio. Lì lo ritroverà, col volto stranamente quasi intatto, il fratello Miguel a guerra finita.
Dopo la vittoria i Falangisti decidono di trasferirlo al Monastero dell’Escorial, dove sono sepolti Carlo V e Filippo II. Il 19 novembre 1939 uno spettacolare corteo funebre parte da Alicante ed in 10 lunghi giorni percorreva a piedi, con la bara portata a spalle, quasi 500 chilometri salutato lungo il cammino dal “¡Presente!” di migliaia di persone, da salve di cannoni e di fucileria, lanci di fiori, cori che intonavano Cara al Sol e fiaccolate notturne.
Dopo una tappa di due giorni a Madrid per la camera ardente, allestita nella vecchia sede della Falange alla Cuesta de Santo Domingo, la salma e le migliaia di Falangisti che l’accompagnavano arrivano all’Escorial dove li attende Francisco Franco per presiedere la solenne cerimonia dell’inumazione nel luogo in cui Josè Antonio avrebbe riposato per una ventina di anni sotto una lapide davanti all’altare maggiore.
Ai primi di marzo del 1959, ultimata la costruzione del sacrario della Valle de los Caidos, Franco decide, col consenso della famiglia, di trasferirvi i resti di Josè Antonio ma con una celebrazione intima e discreta, senza troppa visibilità.
L’aria in Spagna è cambiata: il Generalissimo ha rivoltato il regime scaricando ed emarginando la Falange per abbracciare i tecnocrati conservatori dell’Opus Dei divenuti così, assieme ai militari, la colona portante del suo sistema di potere.
La vecchia guardia falangista, però, non ci sta e cerca di trasformare l’evento in una manifestazione di dissenso.
Così il 30 marzo 1959, un giorno prima dell’inaugurazione ufficiale del sacrario, la Falange replica il corteo del 1939 trasportando a spalla la bara di Josè Antonio per i 14 chilometri che separano l’Escorial dalla Basilica di Cuelgamuros, sul cui sagrato l’attendono i fratelli Pilar e Miguel Primo de Rivera e manipoli di falangisti provenienti da tutta la Spagna.
Stavolta, però, Franco non c’è. Cauto come sempre, ha escluso la stampa dalla cerimonia ed evitato di presentarsi per schivare gli imbestialiti falangisti che accolgono le autorità (l’ammiraglio Carrero Blanco e un paio di ministri) al grido di “¡Franco traidor!”.
Arriviamo così ai giorni nostri, con il governo del socialista Pedro Sanchez impegnatissimo a manipolare la storia per motivi politici alimentando, tra tombe e salme, quella che lo scrittore Javier Cercas ha definito giustamente una “lugubre industria della memoria”.
Dopo il complicato sfratto dei resti del Caudillo avvenuto il 24 ottobre 2019, il cosiddetto processo di “dignificacion y democratizacion” dalla Valle de los Caidos, ribattezzata Valle de Cuelgamuros, ha inevitabilmente preso di mira Josè Antonio che i beccamorti governativi, applicando l’apposita e Orwelliana “Legge della memoria democratica”, avrebbero voluto ricollocare in un “luogo defilato”, vale a dire un ossario comune, col divieto di apporre una lapide col nome del defunto.
Una imposizione meschina ed inaccettabile per la famiglia che, con grande dignità, ha preferito abbandonare spontaneamente il mausoleo evitando di replicare l’aspra battaglia legale che aveva accompagnato la traslazione della salma di Franco.
Una volta ottenuti la licenza edilizia per rimuovere la lapide di granito col nome di Josè Antonio, che sarà sostituita da quattro mattonelle di marmo scuro del valore di 8.360 euro, il permesso delle autorità ecclesiastiche e quello della Direzione Generale della Salute Pubblica della Comunità di Madrid i resti del Fondatore della Falange hanno potuto raggiungere la loro quinta e (almeno per ora) ultima dimora, il cimitero di San Isidro a Madrid, ricongiungendosi al resto della famiglia: il fratello Miguel, processato anche lui ad Alicante ma sopravvissuto alla Guerra Civile, la sorella prediletta Pilar, fondatrice della Sección Femenina della Falange, e Fernando Primo de Rivera fratello del padre, caduto combattendo in Marocco nel 1921.
“Un passo in più per cambiare significato alla Valle” secondo il Ministro della Memoria Democratica (Orwell, ancora lui…) Félix Bolaños.
La questione, però, è tutt’altro che chiusa e il ministro avrà ancora il suo bel daffare per rendere “dignitoso” e “democratico” il mausoleo epurando cadaveri: dopo Franco e Josè Antonio il governo ha deciso di sfrattare altri 106 caduti iniziandone l’esumazione, prima sospesa in via cautelare dal Tribunale di Madrid su richiesta delle famiglie e poi ripresa in attesa del giudizio definitivo.
I familiari di altre 261 vittime destinate allo sfratto hanno dichiarato che si opporranno alle decisioni del governo reclamando rispetto per i propri ascendenti, per ottenere il quale non esiteranno a ricorrere alla giustizia.