HomeBlogAncora sul 25 aprile. Riflessioni su una palude ideologica da cui uscire

La Locanda di Granito

Ancora sul 25 aprile. Riflessioni su una palude ideologica da cui uscire

Non c’è dubbio alcuno che il #25aprile 1945 (come data simbolo) fu una sconfitta. Vero è che si possono anche celebrare le sconfitte, se rappresentano un punto di svolta epocale, per esempio i serbi celebrano la battaglia dei Campi del Merlo, che fu una sconfitta.

Non si può però dimenticare che l’Italia da quella sconfitta ha saputo risollevarsi, anche bene, gestendosi al meglio quei pochi scampoli di libertà che i “liberatori” le hanno graziosamente riservato (e che – come detto – si son ripresi con gli interessi dalla fine della Guerra Fredda in poi).

Ma questo avvenne non perché l’Italia del dopoguerra fosse “antifascista”, ma anzi perché chiuse un capitolo (insieme al suo contrario) e guardò avanti. Il segreto del successo dell’Italia del boom fu proprio NON aver fatto i “conti col fascismo” (nel senso auspicato dai Saint-Just fuori tempo massimo tipo Pertini o Secchia) e aver invece ricucito bene o male (ripeto bene o male) gli strappi di una guerra civile, tenendosi una bella fetta delle realizzazioni giuridiche, sociali e organizzative e del capitale umano lasciato dal Regime (un tesoretto che s’è andato lentamente consumando, e che con la sua fine ha visto l’inizio della fine della parabola ascendente dell’Italia. Fra i più grandi guasti dell’Italia repubblicana rispetto a quella fascista va proprio imputato il non aver mai saputo creare un capitale umano dello stesso valore di quello creato dal Fascismo e dalla sua onda lunga postbellica. Questo sempre con buona pace dei Pertini di cui sopra, che avrebbero voluto fare un lago di sangue dei “fasisti”…).

Sicuramente l’Italia rinata da quella batosta era infinite volte meglio di quella attuale. Sicuramente quell’Italia, alle prese con problemi concreti, come un milione di profughi da colonie perse e terre invase dai “liberatori”, macerie da spalare, morti da piangere, prigionieri da reclamare indietro, conti da pagare coi “liberatori” eccetera aveva ben poco tempo da dedicare ai grilli per la testa dei Pertini. Sicuramente dunque quell’Italia era anche MOLTO MENO “antifascista” dell’attuale, non foss’altro perché chi più chi meno, il 99% della popolazione era stato “fascista” e aveva la “coscienza sporca” oppure era sufficientemente adulto da non rinnegare un passato che – per l’appunto – era passato. Non a caso, chiuso il triennio della rivoluzione istituzionale (trattati di pace, referendum istituzionale, costituzione), i leader della “repubblica nata dall’antifascismo” decisero che al netto del Fascismo come organizzazione politica antidemocratica, era legittimo che i gli ex fascisti come italiani anche loro potessero tornare ad avere un ruolo attivo nel tessuto nazionale (in teoria almeno, nella pratica poi la cosa andò diversamente).
L’antifascismo dunque finì in soffitta come i fucili nascosti dal PCI per la rivoluzione che mai ci fu. E fu bene così per un paese che grazie a quella lunga tregua d’armi durata un ventennio è riuscito ad ascendere a potenza economica mondiale.

L’antifascismo, dunque, messo già in naftalina a canne dei mitra ancora fumanti, dovrebbe finire in un museo come il fascismo. E la gente dovrebbe essere finalmente lasciata libera di dare il giudizio STORICO che più preferisce su una stagione chiusa quando i nonni di chi scrive non erano manco sposati fra loro. Il mondo, cari tutti, è andato parecchio avanti nel frattempo.

E d’altronde, l’attuale antifascismo è nient’altro che cosplay di adolescenti o adulti con la sindrome di Peter Pan. Sarebbe un bel passo avanti se da baracconata con parrucche fosforescenti e armi di gommapiuma stile LuccaComics si facesse uno sforzo di realismo e di maturità e lo si trasformasse finalmente in rievocazione storica.

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