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ATLANTE – Addio Gorbaciov: la via dell’Inferno lastricata di buoni propositi

Si è spento ieri Michail Sergeevic Gorbaciov. Fu l’ultimo segretario generale del PCUS e accompagnò l’URSS dai tentativi di riforma (la “perestroika”) alla sua dissoluzione.

Gli storici dibatteranno a lungo sul fatto che Gorbaciov possa essere stato un reale patriota sovietico o un agente del globalismo filoamericano. Realisticamente la sua azioni si concretizzò nel collasso dell’Unione Sovietica del quale approfittò Washington rimangiandosi le promesse di mantenimento dello status quo strategico nel Vecchio Continente in cambio della riunificazione delle due Germanie.

Gorbaciov e Reagan, i protagonisti della fase finale della Guerra Fredda sembravano aver inaugurato una nuova fase della politica mondiale. Nella seconda metà degli anni Ottanta non c’era opera di fantascienza, fantapolitica o anche semplice attualità futuribile che non scommettesse su una “alleanza sovieto-americana”.

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Poi a Reagan – giunto nel 1988 al termine del suo secondo mandato – successe il suo vice, George Bush. Inizialmente la musica sembrò la medesima: il 3 dicembre 1989, George Bush senior e Michail Gorbaiov posero formalmente fine alla Guerra Fredda nello storico summit di Malta. Il presidente americano sembrava aver mantenuto la sua amministrazione nel solco della politica reaganiana, assicurando il suo interlocutore che l’Europa orientale non sarebbe stata fagocitata dalla NATO. Nel giro di pochissimi mesi il deep state USA ha spinto l’amministrazione di Washington a rimangiarsi la parola e a inaugurare quel venticinquennio di violento e tracotante espansionismo iniziato con la guerra in Iraq, primo atto di forza della cosiddetta “comunità internazionale” portato avanti nonostante l’opposizione dell’URSS.

Un copione che sarebbe sanguinosamente proseguito con le “imprese” in Serbia (vero e proprio redde rationem fra Washington e Mosca per mostrare all’ex “amico” del Cremlino che nel mondo c’era un solo capo) e di nuovo Iraq, Afghanistan, Libia e Siria (per citare solo le maggiori operazioni USA o “alleate”).

Contemporaneamente l’Alleanza Atlantica si è fagocitata una dopo l’altra le ex nazioni del Patto di Varsavia, approfittando anche dell’odio delle popolazioni dell’Europa orientale verso i regimi comunisti o i russi. Un odio che è stato rinfocolato anche grazie all’opera di organizzazioni “no profit” che hanno promosso il primo capitolo della cosiddetta “cancel culture”, vale a dire la distruzione delle vestigia del quarantennio sovietico allo scopo di scavare solchi, creare narrazioni sbilanciate ed estremistiche del bilancio storico di quei decenni e manipolare le coscienze collettive dei popoli esteuropei.

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Questo piano inclinato, le cui conseguenze vediamo oggi nel conflitto russo-ucraino e nei tentativi di allargarlo (Iddio non voglia) ad altri ex paesi del Patto di Varsavia, è stato imboccato dalle politiche gorbacioviane. Probabilmente le intenzioni dell’ultimo GenSek di Mosca sono state oneste, di sicuro sono risultate utili a chi s’è dimostrato più furbo di lui.

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