di Tullio Fazzolari da STARTMagazine del 3 dicembre 2022
“Leadership. Sei lezioni di strategia globale” di Henry Kissinger (Mondadori, 600 pagine, 28 euro) fa pensare istintivamente a qualcosa di mezzo secolo fa che non ha a che fare con il libro ma con l’autore. Nel 1973, dopo la guerra del Kippur, Kissinger, all’epoca segretario di Stato degli USA, ottenne subito il ritiro degli israeliani dal Sinai avviando quel processo di pacificazione conclusosi poi con gli accordi di Camp David durante la presidenza Carter. E per questo gli fu assegnato il premio Nobel per la pace. Di analoga abilità diplomatica oggi non s’intravede neppure l’ombra. A distanza di quasi dieci mesi dall’inizio della guerra in Ucraina nessuno è ancora riuscito ad aprire un negoziato e nemmeno a ottenere una vera tregua. Soltanto chiacchiere e armi.
L’incapacità dei politici e dei diplomatici di oggi (nessuno escluso) avrà sicuramente valide spiegazioni. Ma leggendo “Leadership” nasce il sospetto che tra le cause delle loro lacune ci sia anche una sorta di inferiorità culturale. E’ come se non avessero studiato la storia delle relazioni internazionali ignorando gli insegnamenti delle precedenti esperienze. Kissinger invece continua ad approfondire le vicende del passato nonostante i suoi novantanove anni e lo fa con l’approccio del professore universitario che, in fondo, è il suo vero mestiere. Le sei lezioni di “Leadership” raccontano le storie di altrettanti statisti che hanno avuto un ruolo fondamentale nella seconda metà del XX secolo. In qualche modo colpisce che tra i prescelti ci sia un solo presidente degli Stati Uniti d’America e, soprattutto, che sia proprio Richard Nixon di cui Kissinger fu il più autorevole consigliere per la politica estera. Ma lo stupore diminuisce se si accantona per un momento lo scandalo Watergate e si guardano i risultati a livello internazionale: dalla fine della guerra in Vietnam all’apertura del dialogo con la Cina popolare passando per gli accordi che consentivano l’emigrazione dall’Unione Sovietica.
Altri statisti raccontati da Kissinger sono sicuramente meno controversi. Konrad Adenauer è il cancelliere della ricostruzione della Germania sconfitta che si trasforma in potenza economica e protagonista dell’unificazione europea. Se quella di Adenauer viene definita la “strategia dell’umiltà” quella di De Gaulle è invece la “strategia della volontà” in due fasi cruciali della storia della Francia combattendo contro l’occupazione nazista e poi, da presidente della repubblica, rinnovando le istituzioni, mettendo fine alle disastrose guerre coloniali e arrivando a restituire alla Francia la sua grandeur. Risultato non dissimile da quello ottenuto per il Regno Unito da Margaret Thatcher con la sua “strategia della determinazione” che chiude un lungo periodo di declino e consente alla Gran Bretagna di tornare a essere protagonista sulla scena internazionale. Da osservatore attento Kissinger non dimentica un altro statista di cui s’è parlato abbastanza poco: Lee Kuan Yew che ebbe il coraggio di far uscire Singapore dalla federazione malese e trasformarla con la “strategia dell’eccellenza” in una città-stato fra le più ricche del mondo. “Leadership” narra sei storie che sono altrettante biografie ma la conclusione a cui si arriva in fondo è una sola: non si va da nessuna parte se non si ha strategia degna di questo nome.