La guerra portata dall’estremismo islamico in Europa non è «asimmetrica» solo in senso militare. Lo è anche in senso culturale. A svantaggio di noi europei e a vantaggio dei jihadisti. Loro ci comprendono, se non altro, conoscono i nostri punti deboli. Noi non li comprendiamo.
di Angelo Panebianco dal Corriere della sera del 12 gennaio 2015
Un segno di questa incomprensione è il fatto che tanti europei mostrano di condividere una falsità, ossia che chi uccide in nome di Dio non sia un «vero credente». Dimenticando che gli uomini si sono sempre ammazzati fra loro in omaggio a un Dio o a un pugno di Dei. È vero che gli europei non sono più disposti a farlo. Ma ciò dipende anche dal fatto che sono tanti gli europei che non credono più in Dio: l’Europa è infatti il più secolarizzato continente del mondo. Chi non crede in Dio fatica a capire gli assassini in nome di Dio, gli sembrano marziani, alieni. Sulla durata ed esiti di un conflitto che tutti temiamo lungo e sanguinoso (quante cellule pronte a colpire esistono già in Europa?) inciderà l’andamento delle guerre in atto fra l’estremismo islamico e i suoi nemici – musulmani e occidentali – in tanti scacchieri del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia: eventuali dure sconfitte militari dell’estremismo islamico nei diversi scacchieri potrebbero gradualmente indebolire la sfida jihadista qui in Europa mentre, per contro, i successi militari potrebbero ulteriormente aggravarla. Ma durata ed esiti del conflitto saranno anche influenzati da quanto accadrà dentro le comunità musulmane europee.
Si tratta di capire se il finto unanimismo di cui quelle comunità si servono oggi come un paravento verrà messo da parte ed emergeranno le divisioni: fra quelli che potremmo definire i «contaminati» (da noi, dalle nostre libertà) da una parte e gli «incontaminati» (i puri), dall’altra. La condanna generica dei jihadisti di Parigi, il mantra secondo cui essi avrebbero danneggiato prima di tutto l’islam, le posizioni, insomma, su cui si sono ora attestati i rappresentanti delle comunità islamiche europee, nascondono anziché chiarire, tentano di occultare contiguità e continuità culturali. Così facendo, alimentano ancora una volta l’ambiguità e costringono persone accumunate dalla fede musulmana ma con atteggiamenti, presumibilmente, fra loro diversi, sotto una stessa etichetta.
Se crediamo sul serio che l’Occidente, con la separazione fra religione e politica, con i suoi diritti, con l’uguaglianza formale, con le libertà (individuali), rappresenti un modo di vita più attraente di altri per molti uomini che ne sperimentino i benefici, allora dobbiamo credere che diversi musulmani viventi da tempo in Europa abbiano trovato il modo di fare convivere pragmaticamente la loro fede con le libertà occidentali. Nonostante la loro religione non abbia mai fatto i conti con la modernità (come il presidente egiziano Al Sisi ha denunciato nel suo dirompente discorso all’Università di Al Azhar), questi sono i musulmani «contaminati» dal nostro modo di vivere ma che non per questo rinunciano a pregare nella religione dei loro padri. Ma il guaio è che essi devono fare i conti con un’altra parte, numerosa, e anche assai bene finanziata dalle petro-monarchie e da altri regimi musulmani: gli «incontaminati», i portavoce di un islam puro, iper tradizionalista, antioccidentale, nelle varianti (fra loro antagoniste) wahabita e dei Fratelli musulmani. È qui, fra gli «incontaminati», che si trovano i predicatori che alimentano atteggiamenti di rifiuto della cultura occidentale anche quando si accompagnano a un provvisorio rispetto delle nostre leggi. È qui il brodo di coltura da cui emergono anche le frange estreme jihadiste. Sono questi i musulmani che pensano che un giorno in Europa dovrà essere riconosciuto un ruolo pubblico alla sharia , alla legge islamica.
La distinzione contaminati/ incontaminati qui utilizzata non ha nulla a che fare con quella, fasulla, fra islam moderato e immoderato. Chi usa quest’ultima divisione, in realtà, cade nella trappola concettuale in cui vogliono farlo cadere i fondamentalisti. Si finisce infatti, quasi sempre, per chiamare «moderato» un wahabita o un fratello musulmano solo perché prende le distanze dall’azione sanguinaria dei jihadisti del momento. Perdendo così di vista le continuità culturali, la comune lettura iper tradizionalista dei testi sacri.
L’«islamicamente corretto» in cui continuano a indulgere tanti europei non è solo patetico. È pericoloso. Fornisce alibi quando non se ne dovrebbero più fornire. E non aiuta le comunità musulmane a fare esplodere al loro interno il confronto aperto e duro fra le diverse componenti. Se i musulmani che vogliono integrarsi in Europa riuscissero a prevalere sui tradizionalisti anti occidentali, allora, nonostante la cupezza del presente, potremmo pensare con un po’ più di fiducia e di ottimismo al futuro. Se invece continueranno a prevalere i finti unanimismi, le ambiguità, le ipocrisie, i guai potranno soltanto aumentare. E perderemo tutti.