Alcuni giorni fa – domenica 20 luglio – il supplemento culturale de “Il Sole 24 Ore” ha recensito, a firma di Sergio Luzzatto il volume che raccoglie il lungo carteggio tra due autorevoli intellettuali italiani, schierati sul fronte dell’antifascismo: Giorgio Levi della Vida e Luigi Salvatorelli. Già dal titolo – «Lettere di chi non si piega» – l’articolo ha inteso sottolineare l’impegno e il rigore morale dei due, “sorvolando” , specie nel caso di Levi della Vida, sul lungo lavoro svolto – ovviamente prima delle Leggi razziali ma comunque molto dopo la Marcia su Roma – dallo stesso all’interno di una delle opere culturali più importanti degli anni Venti e Trenta, quell’Enciclopedia Treccani che sotto la direzione di Giovanni Gentile rappresentò uno dei maggiori vanti in ambito culturale e accademico del Regime di Mussolini. Su Levi della Vida il prof. Aldo Mola, presidente del Comitato scientifico di “Storia in Rete”, ha scritto questo breve ma denso commento. (SiR)
di Aldo A. Mola
La pubblicazione del carteggio tra Giorgio Levi della Vida e Luigi Salvatoelli (La pazienza della storia. Carteggio, 1906-1966, a cura di Maurizio Martiano, Atti della Accademia Nazionale dei Lincei, vol. 31, fasc.3, Roma, Ed. Scienze e Lettere, 2013) richiama l’attenzione sul rigore scientifico e sulla moralità civile di uno tra i massimi orientalisti non solo italiani della prima metà del Novecento. Di famiglie ebraica “assimilata” e a sua volta non osservante, Levi della Vida (Venezia, 1886 – Roma, 1967) fu nella dozzina di docenti universitari che rifiutarono di pronunciare la nuova formula di giuramento dal 1931 imposto a tutti i pubblici dipendenti, docenti universitari inclusi: essere fedeli non solo al re e ai suoi successori (ovvero allo Stato) ma anche al fascismo, cioè a un “regime” ideologico, per quanto caleidoscopico. Invitato da Giovanni Gentile nel 1927 a collaborare all’ Enciclopedia Italiana, Levi della Vida vi scrisse dal primo volume (tra i suoi contributi più importanti vanno ricordati la voce “Storia degli Arabi”, con alcune righe di grande attualità sulla operosa convivenza tra islamici, ebrei e cristiani in varie aree del Mediterraneo e specialmente in Andalusia) e la sezione Ebrei nella storia per la voce Ebrei, comparsa nel vol. XIII, pubblicato nel 1932.
Nei ricordi (pubblicati postumi con l’opinabile titolo «Fantasmi ritrovati») Levi della Vida raccontò di quanto avrebbe voluto rinfacciare a Benedetto Croce (ma non lo fece) per il sostegno dato al governo Mussolini anche dopo l’assassinio di Matteotti, di quanto altrettanto avrebbe voluto fare con Giovanni Gentile (che pure l’aveva chiamato a collaborare alla “Treccani”), di quanto ritenesse politicamente inetti Giovanni Amendola e lo stesso Claudio Treves, socialista, tutti convinti che Benito Mussolini fosse solo una meteora. E, ciò che più conta, nei suoi ricordi Levi della Vida, guardando al quindicennio 1923-1938, sottolinea la totale sottovalutazione dell’antisemitismo latente in alcune frange del movimento fascista, nel quale penetrarono rivoli del nazionalismo e, soprattutto, del clericalismo integralista Ottocentesco, enunciato in tanti documenti di Pio IX, Leone XIII, Pio X e infine formulato nel Codice di diritto canonico di Benedetto XV (1917). Mussolini se ne avvalse non perché ci credesse ma perché gli faceva comodo. Era una delle tante frecce della sua faretra, a lungo foraggiata anche da chi fascista non era ma considerò necessaria la sua opera normalizzatrice.
Messe alle spalle le ovvie considerazioni sul pregio scientifico della collaborazione di Giorgio Levi della Vida all’Opera diretta da Gentile, la domanda che oggi (o da decenni) lo storico deve porsi (su temi contigui lo ha fatto da anni Paolo Simoncelli in saggi esemplari) è: quale percezione il lettore dell’ Enciclopedia Italiana poteva/doveva trarre dalla lettura delle “voci” curate da Giorgio Levi dalla Vida? Anzitutto l’ammirazione per il popolo ebraico, la sua storia (lì identificata con la religione), la sua plurimillenaria civiltà. Altre sezioni della voce, firmate quasi esclusivamente da ebrei, arricchivano il panorama. Il lettore ne traeva insomma la certezza che l’ebraismo era tutt’uno con la grande storia dell’umanità, e in specie con quella dell’Italia dallo Statuto Albertino e dall’unificazione nazionale in specie. Chi acquistava l’Enciclopedia non sapeva che il suo massimo finanziatore, Ernesto Treccani, dalla voce Concepimento aveva tratto le informazioni sommarie per evitare di mettere incinte le fanciulle “facilone” che si faceva procurare, come si legge in una informativa mandata a Mussolini. Ne cavava solo che Italia ed Ebrei erano tutt’uno, plasmati dalla storia.
Poi venne altro e lo sappiamo. Lasciata la cattedra nel 1931 Levi dalla Vida venne assunto alla Biblioteca Vaticana su interessamento del futuro cardinale Tisserant e vi lavorò senza intralcio alcuno. Nel 1935 nell’ Enciclopedia comparve la sua voce Semiti: esemplare. Figurò tra i collaboratori del vol. XXIV per la sezione semistica. Non compare tra i collaboratori del XXXV volume (ed. 1937) solo perché esso non incluse alcuna voce di sua competenza. Nel 1939 migrò negli Stati Uniti per mettersi al sicuro dalle leggi razziali. Nel 1945 tornò in Italia e gli fu proposta la direzione dell’Enciclopedia. Nel 1946 ripartì per gli USA e rientrò definitivamente in Patria nel 1948 e riprese le lezioni all’Università di Roma. Nel 1949 l’Istituto per l’Enciclopedia Italia ristampò l’Opera di Giovanni Gentile. Presidente era Gaetano De Sanctis, romanista. Ne 1931 anche lui aveva lasciato la cattedra per non prestare giuramento secondo la nuova formula.
Così gli italiani poterono constatare quanto fosse stato grande il monumento culturale costruito da Giovanni Gentile in quindici anni di lavoro frenetico. Va aggiunto che il redattore per la Storia delle religioni era Raffalele Pettazzoni, antico massone, iniziato nella loggia “ VIII agosto” di Bologna. Conclusione: non le “folle oceaniche” (che, come del resto oggi, non passavano certo il tempo a sfogliare la Treccani) ma proprio i colti avevano motivo di sentirsi rassicurati su un Regime, come quello mussoliniano, il cui capolavoro vedeva in prima linea uno studioso illustre quale Giorgio Levi della Vida proprio sui temi più “sensibili”. E’ il caso di ricordarlo come nota a piè di pagina del suo carteggio con Salvatorelli. In privato si confidavano l’avversione per il “Regime” ma il cittadino comune leggeva avidamente le voci “Arabi”, “Ebrei”, “Semiti” (come quelle di Giorgio Levi della Vida) e migliaia di altre, espressione di cultura eccelsa. Apprendeva e non immaginava che di lì a poco (dieci anni, più o meno) i loro autori si sarebbero proclamati antifascisti da sempre.
Aldo A. Mola.