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“I Romani arrivarono in America. E tornarono pure”

Arriva in questi giorni in libreria la seconda edizione del saggio di Elio Cadelo, “Quando i Romani andavano in America”, con la prefazione dell’astrofisico Giovanni Bignami, (Edizioni Palombi, p.310, 19 euro). La prima edizione è andata esaurita in soli due mesi così l’editore Palombi ha deciso di pubblicare una nuova edizione più ampia della precedente. Infatti, oltre ad un indice analitico e a nuove immagini alla nuova edizione sono state aggiunte nuove prove che confermano che i Romani visitarono l’America.

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di Lena Stamati, da AgenziaRadicale

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Il saggio, scritto da Elio Cadelo, caporedattore e inviato speciale del Giornale Radio Rai, affronta con rigore scientifico un tema che ha appassionato nei secoli. Furono, infatti, proprio gli antichi navigatori a misurare le proprie conoscenze scientifiche sfidando gli oceani per arricchire sia il loro sapere, sia i loro commerci.

Il saggio di Elio Cadelo si legge come un romanzo d’avventura: tutto d’un fiato. Capitolo dopo capitolo, si vedono crollare tutte le idee preconcette sull’antichità e anche gran parte delle nozioni scolastiche circa le conoscenze scientifiche del mondo antico.

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Innanzi tutto, testi alla mano di Plinio, Cicerone, Plutarco, Lucrezio, Tolomeo, Seneca, Diodoro Siculo, e quant’altri, Cadelo spiega che gli antichi Romani, ma anche i Greci, gli Indiani ed i Babilonesi, erano al corrente che il mondo fosse una sfera che “galleggiava” nell’universo. E tutti, anche prima che Aristotele lo scrivesse, erano certi che si potesse raggiungere l’India navigando verso Ovest. Nella letteratura antica non c’è traccia della credenza di un mondo piatto. Abbiamo incontrato Elio Cadelo e gli abbiamo posto alcune domande sul suo ultimo lavoro.

Come spiega il successo del suo libro?

Credo che alla base del successo di vendite ci siano due ragioni. La prima è che negli ultimi anni il mondo accademico sta affrontando il tema della navigazione nel mondo antico e di conseguenza anche delle scoperte geografiche dei Romani. Infatti, sono in corso diversi censimenti da parte degli archeologi. Uno riguarda la catalogazione delle monete romane scoperte in tutto il mondo. La seconda è quella della catalogazione delle diverse imbarcazioni nel mondo antico per conoscerne le capacità di navigazione. La seconda ragione sta nel fatto che di questo tema se ne è sempre parlato, ma non è stato mai approfondito. Il mio saggio affronta in maniera comprensibile anche per un vasto pubblico un tema spinoso e complesso che ridisegna tutta la storia dall’antichità ad oggi.

Lei, nel suo libro, sostiene che gli Antichi Romani scoprirono l’America, ma ne avevano i mezzi e le capacità?

Non, non è esatto. Il libro si intitola “Quando i Romani andavano in America” in quanto i Romani andarono e tornarono dal Nuovo Continente, ma non sapevano che si trattava di una nuova terra. Erano convinti che si trattasse delle coste orientali dell’India, errore che rimarrà fino a Colombo. Anche se molti scienziati Greci avevano teorizzato che tra l’India e l’Europa doveva esserci un continente che divideva l’oceano in due, i Romani, al contrario, erano conviti della veridicità di quanto affermato da Aristotele e cioè “che si potesse raggiungere l’India navigando verso Ovest”.

E per quanto riguarda le loro capacità nautiche?

Recenti scavi archeologici hanno dimostrato che sia i Greci sia i Romani avevano navi foderate di piombo per proteggerle dai molluschi che divorano il legno in mare. Questo dimostra che si trattava di navi che rimanevano per lungo tempo in mare e quindi dovevano avere una certa affidabilità. Inoltre tutti i popoli antichi possedevano carte stellari che in realtà erano carte nautiche che servivano per mantenere la rotta e carte geografiche molto affidabili.

Ma nell’antichità si pensava che il mondo fosse piatto…

E’ un’affermazione priva di alcun fondamento. Non c’è traccia nella letteratura latina, ma anche in quella greca, di un mondo piatto, al contrario, Cicerone, Plinio, Tolomeo, Seneca, Strabone, Plutarco, Diodoro Siculo e Giulio Cesare, solo per citarne alcuni, erano certi che il mondo fosse sferico – che fosse una sfera perfetta – e che ruotasse intorno al Sole. D’altro canto, spiegano molto bene che il giorno e la notte dipendono dal fenomeno di rotazione. Quello che è interessante sono invece le diverse spiegazioni date per comprendere il fatto che l’acqua degli oceani rimanesse allo stesso livello tutta intorno a questa “palla” che ruotava su se stessa nello spazio.

E le Colonne d’Ercole?

E’ un altro mito che non ha alcun fondamento di verità. Per fare un esempio riportato nel libro, Giulio Cesare fece una importante battaglia navale contro i Veneti (cioè i Galli) in pieno oceano Atlantico al largo delle coste francesi. La descrizione è puntuale. La flotta romana era comandata dall’ammiraglio Bruto ed era forte di 240 navi, la flotta dei veneti era forte di 220 navi più grandi di quelle romane. Vinta la battaglia Cesare chiede rinforzi a Roma per conquistare la Britannia e da Roma gli viene inviata una flotta che trasportava due legioni, cavalli compresi. Tutto questo è descritto nelDe Bello Gallico senza alcuna enfasi perché era cosa normale andare oltre lo stretto di Gibilterra.

Ma non furono i Romani i primo a superare le Colonne d’Ercole?

E’ giusto. Le Colonne d’Ercole furono superate dai Fenici, dai Cartaginesi, dagli Etruschi, dai Greci, dagli Egiziani e così via. Insomma tutti i popoli che abitarono il Mediterraneo si spinsero, per curiosità o per necessità al di làdelle Colonne d’Ercole. Non dobbiamo dimenticare che le coste Atlantiche dell’Europa erano abitate da popoli marinari ed i Veneti ne sono una prova.

Ma dalle coste dell’Europa all’America il viaggio è lungo.

Non tanto. Vede, i Romani avevano un porto commerciale in India, Arikamedu, dove ogni anno, in età Imperiale, approdavano 150 navi mercantili scortate da navi militari romane. Sulla tomba di Augusto, a Largo Augusto Imperatore a Roma, è scritto: “Incrementò i traffici con l’India”. Ma navi romane giunsero in Cina. Sappiamo che San Paolo andò in Cuna a predicare il Cristianesimo, e a Canton è stata trovata un’agenzia di cambio del II secolo d.C.. Sappiamo che navi romane giunsero in Indonesia dove si procuravano il pepe (che valeva più dell’oro) e spezie. Ma tracce della presenza romana sono state trovate in Corea, in Nuova Zelanda, e sappiamo che raggiunsero l’Australia.

Sì, ma l’America è lontana…

Certamente, ma vediamo cosa sappiamo ancora dei viaggi della marina Imperiale. E’ certo che circumnavigarono l’Africa e a Nord sottomisero le Orcadi e si spinsero fino in Islanda. Tiberio, per esempio navigò con la sua flotta lungo tutto il mar Baltico. Sappiamo che avevano un porto alle Isole Fortunate (le Canarie) e a Madeira. Ora, dato che erano a conoscenza che il mondo è sferico e che navigando lungo un parallelo si deve giungere dalla parte opposta allo stesso luogo, cosa li doveva fermare?

Ma ci vogliono prove, non si può costruire una tesi solo con prove indiziarie.

Nel libro ci sono una quantità impressionante di prove, cominciando dalla copertina in cui è raffigurata una statua romana del III secolo con un ananas in mano. E rimanendo sull’ananas ne ho trovate raffigurate a Pompei, una a Roma, e così via. Insomma da sole sarebbero sufficienti a dimostrare che tra le due sponde ci furono contatti, anche se non continui. Ci sono brani della letteratura del ‘500 in cui si parla del ritrovamento di tombe romane in America, e sono descritte puntualmente. Poi abbiamo la presenza del mais prima che Colombo lo importasse ufficialmente. Plinio ne parla e dice che era molto coltivato nella pianura Padana. Ma poi c’è la prova principale che è il planisfero di Claudio Tolomeo nel quale dimostrò che è rappresentata la costa del Sud America e che la città di Cattigara (che significa porto dei cinesi) era frequentato perché da lì si importava l’oro da tutto l’Oriente ma anche dal Mediterraneo ed è proprio Tolomeo a indicarci la rotta per giungere in America da quella parte.

Quindi, l’America era nota anche ad altri popoli antichi?

In conclusione si può dire che l’America era nota a tutti. I polinesiani ci andavano spesso ed hanno lasciato tracce genetiche evidenti ancor oggi. I cinesi e gli indiani la raggiunsero da Oriente, e da occidente sicuramente i Fenici, i Greci, i Cartaginesi e i Romani e forse anche dagli Etruschi. D’altro canto come avrebbe potuto l’Imperatore Giulianoaffermare che “l’Oceano Atlantico è più grande del Mar Mediteranno, ma al pari di esso è stato completamente esplorato ed è sotto il dominio di Roma”?

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Firenze alla scoperta del Nuovo Mondo

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Inserito su www.storiainrete.com il 13 ottobre 2009

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