Al servizio segreto di Sua Maestà Carlo II. “Spycraft”, lo spionaggio nel XVII secolo

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Di Peter Davidson, da Library Review di giugno 2024, traduzione SiR

Nel XVII secolo, gli Uffizi offrivano ai visitatori una gamma di reperti molto più varia rispetto a oggi, tra cui armi create da qualche lontano predecessore del Q Branch. Il viaggiatore scozzese James Fraser, in visita a Firenze negli anni ’50 del Seicento, descrisse ciò che vide: “Una rarità, cinque canne di pistola unite insieme da nascondere nel cappello, che sparano tutte insieme mentre saluti il tuo nemico e gli dai l’addio… un’altra pistola con diciotto canne per sparare disperatamente e spargere proiettili in una stanza appena entri.”

Spycraft: Tricks and Tools of the Dangerous Trade from Elizabeth I to the Restoration
di Nadine Akkerman & Pete Langman
Yale University Press pp. 317, £ 20,00

Non si può andare molto lontano nell’Europa divisa dell’epoca moderna senza imbattersi in qualche esempio delle molte attività segrete raccontate in questo libro geniale e straordinariamente leggibile. Lo spirito dell’epoca è catturato in un verso straordinario della poesia “Carattere di un ambasciatore” del poliedrico diplomatico olandese Constantijn Huygens, che definisce gli ambasciatori “spie onorevoli”.

Una pagina inaspettata del libro di Nadine Akkerman e Pete Langman è dedicata agli inchiostri invisibili trovati nei documenti di famiglia di un gentiluomo cattolico del Lancashire. Gli autori rivolgono la loro attenzione anche ai testi e agli oggetti fatti uscire di nascosto dal castello di Fotheringhay, nonostante gli sforzi dei carcerieri di Maria, regina di Scozia. Uno di questi, un trittico in miniatura d’oro e smalto, è l’orgoglio della collezione del mio college (lo si può vedere al museo Ashmolean di Oxford, dove è in prestito). La nobildonna Anne Vaux, che lo fece uscire di nascosto dal castello, appare in “Spycraft” come vittima di un audace e perfettamente eseguito inganno da parte del luogotenente della Torre di Londra, dove il suo amico Henry Garnett, un prete gesuita, era imprigionato. Comunicavano con inchiostri invisibili su carte avvolte attorno a un paio di occhiali (un indizio!) o pezzi di “pane biscottato”, ignari che tutte le loro comunicazioni fossero intercettate, con gli inchiostri invisibili resi leggibili e ogni lettera (sigilli, calligrafia e messaggi invisibili inclusi) sostituita da falsi realizzati dal maestro falsario Arthur Gregory.

Gli autori esaminano naturalmente la lotta all’ultimo sangue tra Maria e il maestro delle spie di Elisabetta I, Francis Walsingham, “uno degli episodi più famosi della storia guidati dalla crittografia”. Il primo round del loro scontro, che coinvolgeva le incriminanti “lettere del cofanetto”, era già passato. La lotta finale coinvolse l’agente doppio di Walsingham, Gilbert Gifford (che si assicurava che il suo padrone vedesse le lettere di Maria prima del suo alleato, l’ambasciatore francese), il decifratore di Walsingham, Thomas Phelippes, e i segretari di cifra di Maria, Gilbert Curle e Claude Nau.

Phelippes, grazie a una precedente perquisizione delle stanze della regina, aveva in mano la chiave della cifratura. Doveva solo decifrare le lettere di Maria a gran velocità e aspettare il momento opportuno. Sul pacchetto contenente la lettera incriminante finale, disegnò una forca per indicare il probabile destino dei suoi rivali crittografi.

Ci viene mostrata la lettera nella lettera della valorosa Brilliana Harley, in cui dichiarazioni segrete possono essere estrapolate da una comunicazione apparentemente innocua sovrapponendo una griglia. Viene presa in considerazione la fascinosa pratica del “letterlocking” – l’uso di dispositivi anti-intercettazione: triangoli di carta infilati attraverso le pagine piegate; striscioline di carta tagliate dal bordo piegato di una lettera intrecciate attraverso piccoli tagli nelle pagine. Ci vengono mostrati straordinari esempi di scrittura in miniatura e di scrittura su tessuto nascosta nei vestiti per eludere le perquisizioni.

Ci viene offerto un conciso resoconto dei travestimenti e introdotto a una delle imposture più strane dell’epoca: l'”ambasciatore” completamente fasullo della corte di re Giacomo che viaggiò per l’Europa con credenziali false nel 1604, finché non fu catturato dai cauti calvinisti di Heidelberg.

L’indagine comprende l’arte più oscura del pericoloso mestiere dello spionaggio: l’assassinio. Gli autori ci presentano la pistola corta o “dag” (la versione deluxe è una pistola nascosta in un libro di preghiere) prima di considerare quella che sembra essere l’arte meno precisa: l’avvelenamento. Gli antidoti ampiamente creduti dell’epoca – bezoari e corni di narvalo – ovviamente non funzionavano. L’avvelenamento sembra essere stato generalmente un’impresa poco scientifica, senza la consapevolezza che il composto velenoso in alcune preparazioni fosse volatile o distruttibile dal calore (molti rospi e ragni morirono invano). Credo, nonostante l’ingegnosità degli autori, che possiamo ora scagionare il virtuoso carlista Sir Kenelm Digby dall’accusa di aver avvelenato sua moglie, poiché la sua ricetta per il vino di vipera non include tra gli ingredienti le parti velenose del serpente.

Purtroppo, molti individui altrettanto innocenti accusati di avvelenamento non furono scagionati. Il libro è ricco, come si dice, di molte caratteristiche speciali, tutte dimostrative dell’arguzia oltre che dell’erudizione degli autori. C’è una mappa del “mondo sotterraneo” di Londra, che traccia accuratamente prigioni, residenze e alloggi di individui noti per essere stati coinvolti nel pericoloso mestiere, oltre a luoghi di consegna delle lettere, farmacisti che vendevano sostanze tossiche e tribunali dove i praticanti finivano se i loro nemici (o colleghi) non li eliminavano prima. Oltre a un indice di nomi e luoghi e un indice di oggetti (che di per sé è una lettura eccellente), c’è un “*”index occultus” di alias e nomi in codice. Inoltre, c’è un’appendice che fornisce lezioni pratiche sullo spionaggio rinascimentale: istruzioni per falsificare sigilli, creare cifrari e codici, usare ruote cifranti, gestire inchiostri invisibili (non confondere le soluzioni rivelatrici!) e riferimenti a risorse video per piegare e “bloccare” le lettere.

Con un enfatico avvertimento di non provare nulla di tutto ciò a casa, c’è una sezione sui veleni, con una nota su quelle sostanze erroneamente credute antidoti. Che questo libro sia un monito: non dare acido nitrico al gatto; non essere crudele con i rospi nel tentativo di estrarre il loro veleno. La storia più profonda che “Spycraft” traccia è il modo in cui i servizi di intelligence, inizialmente gestiti su base improvvisata, con agenti, falsari, avvelenatori e crittografi acquistati (e quindi fortemente dipendenti da denunce di cittadini, agenti doppi e pura fortuna), si svilupparono in unità di controspionaggio integrate con continuità nella conoscenza e propri archivi.

Questo non significa che alcuni degli operativi freelance del periodo precedente non fossero abili, spietati ed efficaci. Ma la loro conoscenza e le loro competenze specialistiche tendevano a morire con loro, e le reti di solito si dissolvevano alla morte (o caduta in disgrazia) di un magnate o maestro delle spie. Appena fuori dal periodo di questo libro, che termina con la restaurazione di Carlo II, si trovano i due grandi sviluppi che cambiarono il gioco dello spionaggio. Uno è l’emergere dell’unità di intelligence o “cabinet noir”, un ufficio governativo dedicato alla raccolta e al confronto delle informazioni, spesso attraverso l’intercettazione e la decodifica delle lettere inviate tramite il sistema postale. Il secondo è la crescita di una forma di codifica che superava persino un sofisticato cifrario di sostituzione.

Questo traguardo della crittografia, apparentemente ideato dal poliedrico gesuita Athanasius Kircher come parte di un’iniziativa di pace per permettere ai principi di comunicare in sicurezza, riduceva tutte le lingue a una sola lingua abbinando parole e frasi latine chiave a un lessico codificato numericamente. Questo permetteva di decodificare un messaggio in una qualsiasi delle cinque lingue. Qui, in forma embrionale, ci sono gli elementi di un moderno sistema di codifica e i primi piccoli passi sul percorso che ci ha portato al dispositivo su cui sto scrivendo questa recensione. “Spycraft” è un libro eccellente, scritto in modo accessibile, profondamente ricercato, intelligentemente illustrato e immensamente leggibile. Contiene gli ingredienti per una meravigliosa serie documentaristica che illustri le tecniche attraverso cui gli individui dell’epoca moderna, tramite diverse inganni, cercarono di plasmare il corso della storia.

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