Un lavoro di ricerca di Simone de Bartolo dedicato al grande disegnatore e pubblicitario barese
di Renato de Robertis da Il Barbadillo del 21 Luglio 2024
Ci sono immagini che restano negli occhi. Per sempre. Negli occhi di tutti. Ci sono figure che riferiscono la voglia di fare, la gioventù, gli entusiasmi di un tempo lontano. Ci sono soprattutto estetiche che sopravvivono ai contesti storici di appartenenza. Una figurazione può celare le idee di un artista, anche quelle politiche. Ma poi, basta un’ immagine ritrovata per intravedere il destino di un popolo, il senso del futuro, il gusto del passato. Questo percepiamo osservando un manifesto di Gino Boccasile, incontrando la sua creatività di molti decenni fa. Furono gli anni Venti, gli anni Trenta, gli anni dopo la guerra in cui gli occhi degli italiani erano “spalancati sul futuro.” Ricordate la canzone Serenella di Amedeo Minghi? E chi non ricorda le icone di Boccasile: la Signorina Grandi firme, i bambini che protestano con “Vogliano il formaggino MIO”, le donne che brindano o fanno spumeggiare il petto su un piatto di pasta.
L’esperienza di Gino Boccasile rivive nell’ultima ricerca di Simone de Bartolo. Lo storico dell’arte barese, pugnace per creatività, pubblica “Gino Boccasile. Il pubblicitario di Mussolini dal ventennio al dopoguerra.” Il suo lavoro minuzioso mantiene il carattere prevalente dei suoi precedenti libri, ossia la catalogazione attenta e lo sguardo analitico sull’opera d’arte.
Quando osserviamo un manifesto di Gibì, si apre una porta del tempo. Ed eccoci negli anni Trenta. Orribili quegli anni!, scriveva Alberto Arbasino. Invece straordinari e internazionali ripete Vittorio Sgarbi oggi. Sbocciava la pubblicità italiana. De Chirico era il pittore più importante in Europa; lo scrivevano in tanti e senza riverenze per Picasso il cannibale. Il Futurismo, il sarfattiano Novecento, les magnifiques italiens a Parigi, il creare partendo dal passato, così Martini, Sironi, Campigli, Guidi, Carrà, Morandi; e tutti invogliati da una modernità diversa e concreta. Adesso la modernità realistica di Boccasile merita una retrospettiva nazionale e un neo-accertamento critico. Proprio con questa intenzione procede de Bartolo rileggendo i caratteri dell’immensa produzione di Gibì; arrivando sino ai manifesti del dopoguerra che rappresentano dei riassunti storiografici delle ferite d’Italia.
Nel ventre degli anni fascisti o nel biennio della guerra civile, l’oggettività di Boccasile precorreva il neo-realismo mediante la “vividezza delle immagini e la dinamica dei personaggi.” I suoi manifesti, quelli dei vinti, quelli del 1948, ricompaiono e li sentiamo quasi silenziosi. In questi c’è il silenzio di pochi soggetti raffigurati, il silenzio di un gesto: un americano porta via una venere latina; un anziano garibaldino piange; il volto di un soldato rimane nell’ombra; cioè: con un gesto colpire l’animo del pubblico. Ancora una volta è la filosofia della comunicazione. È il comunicare concisamente un popolo. Ed è, specialmente, il racconto della bellezza femminile, le ragazze di Boccasile. Sempre così vere. Che portano sul volto la sincerità del sorridere. Gibì fece divenire famose le signorine della porta accanto, disegnate con forme sensuali. Per questo, tante volte, il Vaticano urlava allo scandolo e qualche ministro democristiano ammoniva. Tuttavia il grande pubblicitario non si fermava, ripartiva con un altro progetto.
I svolgimenti socio-cultuali, che attraversarono questa creatività, sono ben analizzati da de Bartolo. Il quale, pagina dopo pagina, compara stili pubblicitari, insegue le vicende personali di disegnatori, anatomizza l’immaginario collettivo, celebra i maestri mitici della réclame, Dudovich, Mauzan, Mosca, sino a Testa. Infine ritroviamo la frase di Harm Wulf, una frase intelligentissima, questa, “Gino Boccasile merita di essere conosciuto perché ha insegnato l’arte di comunicare con il disegno e perché i suoi manifesti hanno parlato meglio di molti scrittori del suo tempo”.