di Massimo Centini, per Storia in Rete
Ci sono anniversari che non possono passare sotto silenzio, anche se noi italiani siamo bravi ad avere la memori corta! Ma quello di Marco Polo (1254-1324) è un anniversario da ricordare sul piano internazionale e che la sua Venezia celebra con tutta una serie di mostre e altre manifestazioni.
Questo grande viaggiatore va ricordato soprattutto poiché il suo non fu un approccio all’Oriente mosso da esclusivi interessi commerciali – che furono certamente l’incipit della sua avventura – ma quello di un geografo, di un etnografo e di un antropologo.
All’origine una grande curiosità per l’alterità, vista come patrimonio da conoscere e da trasferire nelle terre in cui il cristianesimo aveva eletto i suoi domini come centro del mondo.
Il territorio d’indagine in cui si mosse Marco Polo era immenso: l’impero mongolo. Allora era sconfinato: basti dire che si estendeva per 24 milioni di chilometri quadrati, con cento milioni di individui, vale a dire un quarto della popolazione mondiale di allora. Fondato da Gengis Khan (1162-1227), l’impero vide la luce nel 1206 con l’unificazione di molte tribù locali – soprattutto con le popolazioni tartare – e, aspetto importante, la politica condotta dal potere mongolo favorì i contatti economico-culturali con l’Occidente e l’Oriente. Con la morte del fondatore l’impero mongolo fu suddiviso in quattro parti, ognuna delle quali aveva a capo un proprio khan.
Pur non essendo il primo occidentale a esplorare quei territori (antesignani furono: Ascelino da Cremona, Giovanni di Pian Carpine e Guglielmo di Robruck) Polo adottò un approccio da cartografo, da etnografo e da antropologo, guardando a quei mondi lontani, con un interesse che andava oltre quello eminentemente commerciale: fu molto attento a usi e costumi, puntando così l’attenzione su quegli aspetti culturali che, pur nella loro estrema differenza rispetto a quelli dell’osservante, erano comunque depositari di conoscenze e tradizioni che fanno parte dell’identità di un popolo.
Figlio d’arte verrebbe da dire, infatti il padre e lo zio, Nicolò e Matteo Polo, quando ancora Marco non aveva visto la luce, iniziarono il loro viaggio nel 1260 partendo da Soldaia sul Mar Nero espingendosi fino a Bukhara nell’odierno Uzbekistan. Giunsero alla corte del Gran Khan dei mongoli, Kubilai, in Cina che diede loro una lettera per il papa. Iniziarono quindi il viaggio di ritorno nel 1266. A Venezia Nicolò scopri di avere un figlio.
Aspettando inutilmente la nomina del nuovo papa, i Polo ripartirono con il diciassettenne Marco.
Arrivarono ad Acri e lì incontrarono il delegato papale, Tedaldo Visconti, si misero in viaggio sulla carovaniera verso al Cina, ma dovettero rientrare poiché giunse la notizia che era stato eletto il nuovo papa, lo stesso Visconti con il nome di Gregorio X (1271-1276). Fu un evento molto atteso, poiché, dopo la morte di Clemente IV (1268), vi furono quasi quattro anni di conclave
I Polo ripartirono dirigendosi alla corte di Kubilai dopo aver attraversato Persia, Asia centrale, i deserti della Cina occidentale e il Catai, seguendo quella che nei secoli successivi sarà chiamata la “Via della seta”. Nel regno del Gran Khan, i Polo vi rimasero quasi vent’anni con il ruolo di mercanti, però, stando a Il Milione, Marco ebbe anche incarichi politico-amministrativi di fiducia, fino ad assumere il titolo di governatore di una città.
Nel 1290 i polo ripresero il viaggio di ritorno e cinque anni dopo fecero rientro a Venezia.
Secondo la tradizione, Marco sarebbe stato imprigionato nelle carceri genovesi forse già dal 1296: dobbiamo infatti ricordare che Venezia e Genova erano allora in lotta per il predominio commerciale nel Mediterraneo.
Nelle prigioni genovesi dettò il resoconto dei suoi viaggio a Rustichello di Pisa (seconda metà XIII secolo-inizio XIV): vide così la luce Il Milione – o Divisament du monde.
Dopo aver riacquistato la libertà e ritornato a Venezia, si dedicò all’attività commerciale, si sposò ed ebbe tre figlie.
Il Milione si presenta come un’opera contrassegnata da un notevole sincretismo letterario, in cui traspare l’influenza di generi diversi: in alcune parti è evidente il peso dell’immaginario fantastico medievale, il altre prevale la cronaca e sono abbondanti la novellistica e la tradizione leggendaria orientale.
Si ritiene che il titolo del libro sia il risultato un’aferesi di “Emilione”, soprannome della famiglia Polo.
Moltissime le copie e soprattutto le rielaborazioni. La veste originaria sarebbe quella di due soli codici conosciuti: uno in francese e l’altro in toscano. Nel secondo sono stati effettuati tagli per eliminare le fantasie orientali e gli aspetti cavallereschi del primo, in cui invece sono enfatizzati: tale scelta letteraria potrebbe essere stata determinata dalla necessità di una trascrizione diretta a un pubblico maggiormente attratto da un’impostazione romanzesca. Sono centinaia le elaborazioni effettuate nei secoli successivi in molte lingue, moltissime varianti e inserzioni secondarie. Furono centocinquanta i manoscritti conosciuti prima della diffusione della stampa.
Vi è senza dubbio una certa enfasi nella descrizione che in alcuni casi lascia trasparire una sorta di autogratificazione, dovuta molto probabilmente alla prosa di Rustichello, comunque, possiamo credere, avallata da Marco.
Il Milione fu per molto tempo un testo di riferimento per viaggiatori, geografi e cartografi: anche Cristoforo Colombo ne ebbe una copia pubblicata ad Aversa nel 1485. Dalla metà del XV secolo, nella maggior parte dei mappamondi erano presenti i luoghi indicati da Marco Polo.
Come è facilmente intuibile, dopo il XVI secolo, Il Milione perse parte della sua rilevanza, in ragione della sempre crescenti conoscenze dei paesi lontani e la continua estensione dei confini del mondo.