Laddove il muro non aveva ancora sostituito la barriera di filo spinato, si radunavano le famiglie di Berlino ormai divise. Quarta parte del racconto di Pierluigi Mennitti.
di Pierluigi Menniti da StartMag del 15 agosto 2023
In una sola notte, dunque, furono tranciati di netto legami familiari, affetti, amicizie, abitudini e interessi economici. La guerra fredda raggiunse forse il suo momento più drammatico. Lo sgomento e lo sdegno, a Occidente, furono enormi. L’emozione e la paura, a Berlino, raggiunsero i livelli di guardia. Mentre ad Ovest manifestazioni di protesta spontanee e organizzate si succedettero una dietro l’altra, a Est la popolazione cadde in uno stato di frustrazione e apatia.
Le cronache dei giornalisti che visitarono in quei giorni Berlino Est riportarono impressioni di sconforto e di terrore: un angoscioso silenzio s’impadronì dell’altra metà del cielo. Lungo il nuovo confine della città, laddove il Muro non aveva ancora sostituito la barriera di filo spinato, si radunavano le famiglie ormai divise per un ultimo saluto.
Ma lentamente, a Ovest come ad Est, la popolazione toccò con mano quanto le regole della guerra fredda, del mondo bipolare e delle sfere di influenza pesassero sulle speranze di un rapido ricongiungimento. Tutti guardavano agli Alleati occidentali, speravano in un atto di forza che spazzasse via il Muro, ma nessuno, a Washington, a Londra e a Parigi voleva rischiare un terzo conflitto mondiale. Quanto era accaduto a Berlino, nella notte tra il 12 e il 13 agosto, riguardava in fin dei conti i sovietici e un loro Stato satellite. Nessuno dei tre punti essenziali di Kennedy era stato violato. Il presidente della nuova frontiera poteva tranquillamente continuare a veleggiare a bordo della sua barca negli Usa.
Nella calcolata assenza del cancelliere Konrad Adenauer, che non intendeva drammatizzare ulteriormente la situazione, toccò al borgomastro Willy Brandt affrontare l’emergenza, dando voce alla rabbia dei berlinesi dell’Ovest e gestendone le emozioni nel quadro di un delicato equilibrio internazionale. Gli americani spedirono a Berlino, il 19 agosto, il vice-presidente Lyndon Johnson e, qualche giorno più tardi, l’eroe del ponte aereo, il generale Clay. Il tutto si risolse con un rafforzamento del contingente militare occidentale.
Solo due anni dopo, nel giugno 1963, il presidente degli Stati Uniti Kennedy giunse in visita a Berlino Ovest, accompagnato dal cancelliere Adenauer. Fu un trionfo. La popolazione berlinese, ancora traumatizzata dagli avvenimenti, seguì numerosissima la processione presidenziale tra la Porta di Brandeburgo, il Checkpoint Charlie e il palazzo comunale di Schöneberg (il municipio di Berlino Ovest), dove Kennedy, di fronte a centinaia di migliaia di persone pronunciò la famosa frase: “Ich bin ein Berliner”. Oltre due decenni dopo, un altro presidente americano, Ronald Reagan, fece vibrare le corde dell’emozione. Era il giugno 1987, in piena era gorbacioviana, in un momento foriero di grandi cambiamenti. In un discorso davanti alla Porta di Brandeburgo, profeticamente Reagan si rivolse al suo collega sovietico: “Presidente Gorbaciov se ami la libertà, vieni qui e tira giù questo Muro”.
La storia del Muro è una storia di sentimenti, di emozioni e anche di cifre non sempre concordanti. Nei ventotto anni della sua esistenza, 5.043 persone riuscirono a fuggire nella Berlino occidentale, spesso ricorrendo a mezzi fantasiosi e a trovate geniali. 3.221 persone fallirono la fuga e furono arrestate al confine, 150 morirono nel tentativo di raggiungere la libertà, in maggioranza sparate dalle guardie di confine, i Vopos. Infine, 118 furono ferite da colpi di arma da fuoco. Sono numeri che variano da ricerca a ricerca e molti di essi rischiano di rimanere sconosciuti nella loro entità per sempre. Quelli che abbiamo riportato restano, dunque, puramente indicativi.
Lo scrittore tedesco Peter Schneider, in un romanzo di successo del 1982 pubblicato anche in Italia, “Der Mauerspringer” (Il saltatore del Muro), racconta la storia surreale di uomini che si fanno beffa del Muro saltando, ripetutamente e per i più stravaganti motivi, l’insormontabile confine tra le due Berlino. Di Mauerspringer, la storia del Muro è piena. Il museo Haus am Checkpoint Charlie, che si trova sulla Friedrichstrasse, al confine fra i quartieri Kreuzberg e Mitte, proprio nel punto in cui sorgeva il gabbiotto delle forze militari occidentali, espone nelle sue sale alcuni dei mezzi utilizzati in quegli anni per superare la frontiera. Mongolfiere, teleferiche improvvisate, auto con doppio fondo, tunnel sotterranei, travestimenti, tutto venne sperimentato nel tentativo estremo di scappare. Una voglia di Occidente che non risparmiò neppure le truppe tedesco-orientali chiamate a sorvegliare il filo spinato dei primi giorni.
Una delle foto più famose ritrae il diciannovenne Conrad Schumann, ancora in divisa e con il fucile sulle spalle, che salta la barriera di ferro all’altezza della Bernauer Strasse il 15 agosto 1962, approfittando di un momento di distrazione dei suoi commilitoni. La cifra dei disertori oscilla tra le duemila e le 2.700 unità. Resteranno nella storia il giovane austriaco che noleggiò, in un concessionario della Kurfürstendamm, una spider talmente bassa da passare sotto le sbarre di uno dei punti di passaggio controllati, facendo così fuggire fidanzata e suocera rimaste all’Est. I contorsionisti che riuscirono a comprimersi nei bagagliai della Bmw Isetta, la monoposto ritenuta tanto piccola da non aver bisogno di essere perquisita. I quattro travestitisi da soldati russi, con tanto di uniformi rappezzate in casa, che oltrepassarono il confine salutati con rispetto dai Vopos. I 57 abitanti di un condominio nella Bernauer Strasse che scapparono attraverso un cunicolo sotterraneo faticosamente scavato nottetempo per sei mesi. I tanti che sfidarono le pallottole dei militari di confine, attraversando a nuoto fiumi e canali o approfittando di buchi nella rete quando ancora la fortificazione non era stata completata.
Rimarrà nella storia anche il diciottenne Peter Fechter che, nel tentativo di ricongiungersi alla sorella rimasta a Berlino Ovest, tentò con un amico, il 17 agosto 1962, una fuga quasi impossibile. Giunti a ridosso del Muro, quasi all’altezza del Checkpoint Charlie, i due giovani furono rapidissimi nello scavalcare la prima barriera metallica, assai abili nel correre velocemente attraverso gli altri ostacoli, ma non altrettanto fortunati una volta arrivati di fronte all’ultimo ostacolo: il Muro. Ventuno colpi di pistola furono sparati da due guardie di frontiera accortesi della fuga e, mentre il suo amico riuscì a superare indenne anche l’ultimo ostacolo, Peter Fechter crollò colpito a morte nella striscia di nessuno. Crepò dissanguato, mentre i soldati americani dall’altro lato osservavano impietriti e impotenti e una folla di berlinesi occidentali urlava inutilmente la propria rabbia. Passò più di un’ora prima che il suo corpo, ormai esanime, fosse recuperato dai Vopos.
Anno dopo anno, con il perfezionamento del Muro, i tentativi di fuga si faranno più rari, ma non cesseranno mai del tutto, fino ai giorni immediatamente precedenti la caduta. L’ultima vittima fu Winfried Frendenberg, caduto nel marzo 1989, qualche mese prima l’inizio della svolta.
(4.continua. La prima, la seconda e la terza parte si possono leggere rispettivamente qui, qui e qui)