di Luciano Garibaldi da Storia in Rete n. 171
Sicuramente uno dei capitoli più infami e insieme misteriosi della Seconda guerra mondiale. Purtroppo, ne furono vittime non meno di due milioni di combattenti (in massima parte giovani e giovanissimi) che non avevano mai voluto sottomettersi alle dittature comuniste insediatesi al potere nelle loro terre natali. Si trattò di una coltellata mortale inflitta dai vincitori britannici a quei nemici speciali che, arrendendosi ad essi, si erano fidati del loro tanto strombazzato ma inesistente senso dell’onore. Per rispondere alla sua domanda, mi rifaccio ad un importante libro storico presto finito nel dimenticatoio: «In terra di nessuno», scritto molti anni fa per l’editore International Communications dall’ambasciatore Alessandro Cortese De Bosis, divenuto illustre storico dopo una vita in diplomazia.
Partiamo dunque dalla precisa ricostruzione storica di Alessandro Cortese De Bosis, il quale inizia spiegando che quell’operazione (cioè l’ordine di riconsegna all’URSS e alla Jugoslavia dei prigionieri cosacchi, ucraini, tatari, e poi cetnici e ustascia che avevano combattuto a fianco della Germania nazionalsocialista) fu denominata ufficialmente Keelhaul (giro di chiglia, riferimento alla vecchia pena comminata nelle marinerie dell’epoca della vela, quasi sempre mortale), ma fu ben presto ribattezzata, dagli stessi soldati inglesi, «operazione kill all» (ammazza tutti), dal momento che tutti intuivano perfettamente la tragica sorte che avrebbe atteso quei poveretti al loro rientro in Jugoslavia e in Urss: la morte.
Dopo avere ricordato che proprio a lui, nella sua veste di ufficiale del Regio Esercito alleato degli anglo-americani, toccò in sorte di accompagnare un treno carico di prigionieri (ex combattenti arruolatisi nelle divisioni SS, accompagnati dalle loro donne e dai loro bambini) da Napoli a Riccione per consegnarli al comandante inglese di quel campo, che a sua volta li avrebbe avviati al confine jugoslavo, Cortese De Bosis così scrive nel suo libro: «Secondo certe fonti storiche, gli Alleati decisero e attuarono l’accordo segreto di Mosca tra Eden e Molotov sul rimpatrio forzato degli ex cittadini sovietici prigionieri del tedeschi, sia perché temevano che, in caso di diniego, Stalin avrebbe ritardato il rientro dei prigionieri Alleati liberati dai russi nei campi nazisti dell’Est, sia perché Londra e Washington sospettavano che Stalin, di fronte ad un rifiuto di queste ed altre “concessioni”, avrebbe tardato ogni decisione di entrare in guerra contro il Giappone. Queste due tesi risultarono però entrambe infondate. E per quanto riguarda la seconda, è da dire che l’operazione rimpatrio, o “keelhaul”, durò più di un anno dopo Hiroshima e la resa del Giappone».
L‘autore ricorda poi, molto opportunamente, che fu un discendente di Lev Tolstoi, il capitano britannico Nikolaj Tolstoi, a cercare di far luce su questa storia con il suo libro «The secret betrayal» («Il tradimento segreto»). Esistono rarissimi precedenti di rimpatrio forzato di rifugiati stranieri in Europa: il patto Ribbentrop-Molotov del 1939, che prevedeva la consegna reciproca ai due governi dei dissidenti politici che avevano trovato ospitalità nei due Paesi (il che accadde ai danni degli ebrei tedeschi rifugiatisi in URSS e consegnati ai nazionalsocialisti a Brest-Litovsk, sul nuovo confine fra i due imperi); e l’armistizio franco-tedesco del 1940 con cui il generale Keitel impose al generale francese Weigand la consegna di tutti i profughi antinazisti, ebrei e non, che si erano rifugiati in Francia. Il generale Weigand protestò ma dovette cedere. Quando uscì il libro di Tolstoi, questo fu il commento di Alexander Solgenitsin: «Finalmente la storia di un crudele tradimento, da parte dell’Occidente, di milioni di infelici è venuta alla luce. Più di trent’anni sono trascorsi da quei fatti e la loro rivelazione non può più salvare nessuna di quelle vittime. Ma può costituire un avvertimento per il futuro». Diamo ancora la parola a Cortese De Bosis: «L’operazione “keelhaul” ebbe inizio a Napoli il 14 agosto 1945: 498 profughi di Bagnoli giunsero a Riccione. In quei giorni pensai che anche in passato vi erano stati esempi di sudditi ribelli al dispotismo del proprio sovrano e che andavano a combattere nelle file di eserciti stranieri contro l’oppressore. Ma ben diversa, almeno in un precedente importante, fu poi la loro sorte, da quella che toccò agli avversari di Tito e di Stalin.
Prendiamo i combattenti lombardi, polacchi e magiari arruolatisi volontari nell’esercito piemontese durante la Prima guerra d’indipendenza, e rientrati nei territori austriaci dopo l’armistizio di Vignale del 26 marzo 1849. Ebbene, il testo dell’armistizio diceva: “Il maresciallo conte Radetzky s’impegna, a nome di Sua Maestà l’Imperatore d’Austria, affinché venga accordata piena e intera amnistia a tutti i detti militari i quali rientreranno negli Stati di Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica”. Altri tempi!». Certamente. Altri tempi. Anzi, tempi da rimpiangere. In proposito, caro Franco, vorrei ricordare quanto ho potuto ricostruire nel mio libro «La pista inglese» sulla vera storia della morte di Mussolini e di Claretta Petacci. Le carte del Duce, che dimostravano gli accordi segreti tra lui e Churchill nel tentativo di una pace separata con gli Alleati in vista di un fronte comune contro l’avanzata dell’Armata Rossa, furono tutte recuperate dal premier inglese grazie a palate di sterline versate ai detentori del carteggio, cioè i comunisti che avevano catturato Mussolini e gli avevano sottratto la preziosa borsa di pelle marrone. È tutto dimostrato nel mio libro, grazie anche alla coraggiosa e limpida testimonianza di Massimo Caprara, ex segretario di Togliatti. Ciò che non è dimostrato, ma è più che logico, è il seguente evento. I comunisti, Togliatti in testa, fecero una copia delle carte e si affrettarono a consegnarla al loro padrone Stalin. Stalin andò su tutte le furie, minacciando sfracelli. Poi, non potendo ottenere di più, chiese che, in cambio del suo silenzio sul tentato tradimento di Churchill, gli inglesi gli consegnassero gli ucraini, i cosacchi e le loro famiglie, e consegnassero alla belva jugoslava Tito i cetnici (monarchici serbi), gli ustascia (fascisti croati) e i domobranzi (fascisti sloveni). Tito e Stalin erano ancora alleati, all’epoca. E assieme lavorarono per liquidare tutta quella gente.