Oggi si ergono a paladini delle minoranze e parte migliore d’America, ma nel passato dei Democratici ci sono razzismo e supremazia bianca
di Matteo Bellini da Nuovo Atlantico Quotidiano del 25 giugno 2022
Divide et impera, anche se le intenzioni appaiono le migliori agli occhi del grande pubblico. È questa la strategia, spesso vincente, del Partito Democratico statunitense. Un partito la cui storia è pressoché ignorata, anche dagli stessi americani, ma che viene ugualmente percepito come la forza politica a cui appartiene la parte migliore d’America.
Un passato ingombrante ma rimosso
La percezione collettiva è dunque sproporzionata rispetto al retaggio che li ha contraddistinti per più di un secolo. Oggi sono i paladini dei diritti civili, ma non è sempre stato così. La vocazione progressista è arrivata in corso d’opera e non alla nascita del partito, che risale al 1828 all’epoca del presidente Andrew Jackson (1829-1837).
Duecento anni fa, i Democratici imbracciavano la bandiera razziale, rendendosi protagonisti indiscussi delle pagine più oscure della storia americana. I mali endemici del razzismo e della supremazia bianca tanto denunciati dai progressisti odierni erano ideologia portante del vecchio Partito Democratico.
Ci permettiamo dunque di far conoscere questo passato ingombrante dell’attuale sinistra liberal, abile ad incolpare la controparte per errori storici che portano la sua firma. Si ripete spesso, con ragione, che non si può giudicare il passato con gli occhi del presente, ma è altrettanto vero che ergersi a unici depositari del rispetto delle diversità quando si predica da un pulpito insanguinato, è alquanto paradossale.
La guerra civile
All’epoca della guerra civile (1861-1865) l’abolizionismo era di casa nel Partito Repubblicano, così come lo schiavismo lo era tra i Democratici, prettamente dominanti al Sud. Le piantagioni e le terre del King Cotton erano territorio Democratico, fulcro del vero razzismo sistematico.
Lo stesso Andrew Jackson possedeva schiavi, così come James Polk e altri eminenti esponenti del partito. Come se non bastasse, va ricordato che a liberare gli schiavi, concedendo loro diritti di cui erano privi, sono stati i Repubblicani di Abraham Lincoln, con un’unanime opposizione da parte dell’altro schieramento.
La segregazione e il primo gun control
Agli albori della Ricostruzione (1865-1877), i Democratici faticavano ad accettare la fine della schiavitù, decidendo così di perpetrare l’odio razziale con la segregazione e le Jim Crow Laws nei territori del Sud dove nacque, tra l’altro, il Ku Klux Klan. Lo storico Eric Foner affermò infatti che il KKK “was a military force serving the interests of the Democratic Party”.
Incredibile a dirsi, ma anche le prime leggi sul controllo delle armi avevano alla loro base un movente dichiaratamente discriminatorio. Anche se alcune tracce di gun control si riscontravano già in epoca prebellica, le prime normative arrivarono dopo la guerra civile, quando il Sud a maggioranza Democratica decise di introdurle per impedire l’autodifesa degli afroamericani da poco liberi dalle catene, ma comunque costretti alla segregazione.
Senza colpevolizzare tutti i suoi singoli membri, si può affermare senza titubanze che il Partito Democratico era la sede preminente della superiorità bianca, come spiegò nel 1906 l’allora senatore del South Carolina Benjamin Tillman:
Un’altra cifra del Partito era, ieri come oggi, l’affiliazione agli interessi consolidati di certi gruppi, opponendosi all’enfasi individualista posta dai Repubblicani. I Democratici hanno da sempre fatto confluire le esigenze e le richieste delle categorie da loro rappresentate, primi fra tutti gli schiavisti e in seguito le forze dei grandi centri urbani.
La presidenza Wilson
Arriviamo ora al 1913 e all’inizio della presidenza di Woodrow Wilson, oggi ricordato come il padre del moderno Big Government. Razzista e accentratore, Wilson condusse l’America verso una massiccia espansione dello Stato centrale e delle sue facoltà, inaugurando l’attitudine Democratica di calpestare a piacimento i dettami della Costituzione.
Pochi sanno che Wilson reintrodusse la segregazione nell’esercito e all’interno del governo stesso, nominando eminenti razzisti all’interno della sua amministrazione (W. G. McAdoo, J. Daniels, A. Burleson, J. McReynolds). Inoltre, sostenne apertamente il lungometraggio razzista “Birth of a Nation” di David Griffith, inneggiante il KKK e il suo valore salvifico contro i pericoli rappresentati dall’uomo nero.
Agli inizi del Novecento, il Clan riacquistò vigore aumentando i suoi iscritti e rendendosi protagonista di linciaggi e atti di ultraviolenza disumani, il tutto con il bene placido di gran parte dell’establishment Democratico.
L’eugenetica
Tra gli enormi scheletri nell’armadio, vi è anche l’infame passato eugenetico. La Progressive Era aveva contaminato tutto lo schieramento politico, ma era più forte fra i Democratici. Tra le ideologie dominanti vi era l’eugenetica, basata su una forte visione collettivista tale per cui la società era legittimata a migliorare la qualità genetica dell’essere umano, il più delle volte depurandola dai corpi estranei.
Un passato da cancellare
Ieri come oggi, l’attaccamento alla razza non cessa di connotare le scelte politiche del partito dell’asinello. Il razzismo che ha storicamente macchiato gli Usa proviene da quella che oggi è la sinistra protettrice delle minoranze suscettibili.
In questo modo si comprende ancor di più perché la cancellazione del passato è avallata da molti Democratici: gran parte delle statue abbattute, delle bandiere sostituite e dei simboli rimossi hanno impresso il loro marchio e portano i nomi dei loro vecchi rappresentanti, siano essi governatori, senatori o presidenti.
Un partito dal passato scomodo il cui approccio alla politica era all’insegna di memorie divisive e affiliazioni alle cause più deprecabili di un’intera epoca.