Aveva ragione Marx. La Storia si ripete sempre (o quasi) due volte: la prima in forma di tragedia e la seconda in forma di farsa. A che cosa mi riferisco? Agli avvenimenti del 25 luglio del 1943 e a quanto abbiamo assistito in questi giorni per la rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica, dopo svariati tentativi andati a vuoto e pretese leadership naufragate sulle bianche scogliere delle schede dello stesso colore o su quelle non ritirate o disperse in nomi improbabili.
Nel primo caso i componenti del Gran Consiglio del fascismo, preso atto della catastrofe della guerra e della crisi del regime che aveva governato l’Italia per vent’anni e del quale rappresentavano l’unico organo collegiale di rilievo politico, votarono a maggioranza, più o meno consapevoli delle conseguenze del loro gesto, per restituire in pieno (perché per una parte non l’aveva mai perso) il bastone del comando al re, cioè alla massima carica dello Stato, che era rimasto quasi sempre silente in quegli anni, pur conservando in pieno le sue prerogative istituzionali, e chiedendogli di rimettere a posto i cocci che loro stessi avevano contribuito a rompere.
Nel secondo caso, i cosiddetti ‘grandi elettori’, vale a dire i componenti dei due rami del Parlamento, più i rappresentanti delle regioni, hanno trascinato per alcuni giorni le votazioni per il nuovo Capo dello Stato lanciando decine di nomi dati in pasto ai media, proclami di vittoria smentiti dopo un minuto o veti fragilmente fermissimi per approdare alla fine al punto di partenza. A quel punto, preso atto della loro impotenza e del fatto che il kingmaker, o presunto tale, era nudo, si sono presentati a braccia alzate (con l’eccezione dell’unica forza di opposizione, Fratelli d’Italia) al Presidente uscente e più che riluttante di fronte alla prospettiva di continuare il cammino lungo la via crucis dei mesi precedenti, supplicandolo di continuare la penitenza e di togliere le castagne dal fuoco nel quale sempre i cosiddetti ‘grandi elettori’ si stavano bruciando.
Questi i fatti. La morale è ovvia: la fine di una classe politica e la mancanza di una vera leadership. Leader non ci si proclama: o lo si è o non lo si è. E le sue caratteristiche (idee, forza, determinazione, carisma ecc.) sono arcinote: delineate per la prima volta da Machiavelli nel Principe e formalizzate scientificamente da Max Weber nelle sue opere. La Storia ce ne fornisce lunghi elenchi, sia di veri che di presunti. In questo caso ne avevamo solo di presunti.
Un consiglio modestissimo e certo non richiesto al nuovo/vecchio Presidente. Quando sarà entrato nuovamente in carica, nella pienezza dei suoi poteri, e avrà reinsediato il nuovo/vecchio governo, compia un gesto eclatante, anche più forte di quello compiuto un anno fa chiamando alla guida del governo Mario Draghi: sciolga le Camere e indica nuove elezioni, nella speranza che tutti i leader che hanno fallito non si ripresentino e che la stagione dell’uno vale uno sia definitivamente tramontata e possa cominciare quella del merito e della competenza. Quando il nuovo Parlamento sarà entrato in funzione, avrà nominato i presidenti delle due Camere ed eletto il nuovo governo, completi l’opera dimettendosi e metta il nuovo Parlamento di fronte alla responsabilità di eleggere un nuovo Capo dello Stato, in attesa di un cambiamento della Costituzione che consenta agli Italiani di eleggerlo direttamente. Sarebbe un gesto destinato a lasciare un segno nella Storia!