di Marcello Veneziani da La Verità del 16 novembre 2021
Cento anni fa, l’Italia e il mondo celebravano il sesto centenario della morte di Dante Alighieri. Anche in Russia, da poco Unione Sovietica, si celebrava Dante. Il modo più originale, sovversivo e geniale per farlo fu quello di Pavel Florenskij, filosofo, teologo, scienziato e presbitero ortodosso. Florenskij intrecciò la visione del mondo della Divina Commedia con la teoria della relatività appena scoperta da Albert Einstein. E scatenò un vero pandemonio.
Florenskij presentò il suo testo rivoluzionario, o meglio controrivoluzionario, in cui ritornava alla cosmologia di Tolomeo, di Aristotele e di Dante contro la rivoluzione copernicana e la cosmologia moderna, incrociando la vision de l’Alighieri con la fisica più moderna. Un’alleanza tra l’antico e il nuovo, oltre il passato presente.
Il suo scritto, Gli Immaginari in geometria, tradotto ora per la prima volta in Italia da Mimesis, è vertiginoso, conturbante, anche per chi non sa di geometria (lacuna che impediva l’accesso all’Accademia di Platone) e ignora la fisica. Prende le mosse dal cammino ultraterreno di Dante; un cammino che Florenskij definisce “non euclideo”, in uno spazio “ellittico” e finito, così come “il tempo è chiuso e finito in se stesso”.
Nel paragrafo finale aggiunto, dedicato a Dante, Padre Pavel difende la concezione medievale e religiosa del mondo opposta alla visione scientista e materialista del regime comunista, teorizzata da Lenin nel suo famoso saggio Materialismo ed empiriocriticismo. Da allora cominciano le persecuzioni per Florenskij, che si concluderanno con la deportazione e la fucilazione. Il governo sovietico lo accusa di antimodernismo. Il libro uscito poi nel 1922, viene censurato dalle autorità sovietiche, proprio per il riferimento alla cosmologia dantesca; Florenskij subisce perquisizioni, arresti, distruzione di archivi e libri familiari. È l’anno in cui Lenin dispone direttamente di perseguitare ed espellere filosofi e scienziati dall’Urss.
Ma Florenskij è troppo importante come scienziato, è utile al regime sovietico che gli affida il progetto di elettrificazione del Paese. Florenskij cerca invano di rassicurare i commissari sovietici con una memoria difensiva, pubblicata nel libro italiano; ma il suo vero progetto è innovare profondamente la scienza e la matematica, ma anche l’arte e la visione del mondo; e di farlo rimettendo in gioco le intuizioni teologiche e cosmologiche di Dante e della Tradizione da cui derivavano. Definisce Dante “il massimo esponente di una visione olistica del mondo, alle soglie di una nuova sintesi spirituale”; Dante giustifica in modo nuovo la visione del mondo aristotelico-tolemaica, “cristallizzata nel modo migliore e più completo nella Divina Commedia”. Dante per Florenskij, “anticipa la geometria non euclidea”, quella che “gente grossa non vede”. Il cammino di Dante e Virgilio “inizia in Italia”; i due poeti scendono nell’imbuto dell’inferno fino al cerchio più stretto dov’è il signore dell’Inferno. Scendendo mantengono la posizione verticale; ma quando raggiungono la cintola di Lucifero, “entrambi si capovolgono improvvisamente coi piedi verso la superficie della Terra”, come è descritto nel Canto XXXIV dell’Inferno. Fino a che dopo il “cammino ascoso” “intrammo a ritornar nel chiaro mondo”, e tramite un pertugio tondo “uscimmo a riveder le stelle” con i piedi per terra. Il cammino prosegue dal monte del Purgatorio fino al Paradiso, mantenendo la posizione eretta. Il viaggio dantesco per Florenskij è stato reale: “il poeta ritorna nello stesso punto da cui era partito e nella stessa posizione”. Ma questo avviene perché in quel punto si era capovolto, altrimenti sarebbe tornato al punto iniziale a testa in giù. Lo spazio dantesco è concepito “secondo il tipo di una geometria ellittica”, gettando una luce inattesa sulla visione medievale della natura e del mondo, che trova sorprendente conferma nel principio di relatività della fisica moderna, secondo cui “lo spazio dev’essere rappresentato come spazio ellittico e riconosciuto come finito”. Florenskij sostiene che “il regno immaginario è reale; Dante lo chiama Empireo” e conclude: “Attraversando il tempo, la Divina Commedia si trova inaspettatamente davanti, e non dietro, alla scienza moderna”. Non abbiamo alcuna competenza per confermare o confutare le asserzioni di Florenskij ma sono tesi affascinanti, sconvolgenti, che lo scienziato e mistico russo aveva intuito già vent’anni prima quando aveva solo vent’anni e che poi pagò duramente perché ribaltavano i canoni dominanti della scienza e del progressismo.
Nella nota difensiva scritta nel 1922, Florenskij difendeva quelle che i censori comunisti definivano “le idee indesiderabili” di Dante; e difendeva pure che le intuizioni dantesche fossero venute in sogno: “è risaputo – scrive – che la maggior parte delle grandi scoperte, tra cui anche quelle matematiche, sono state fatte in sogno”. Dante, aggiunge, “ha espresso in modo simbolico un pensiero geometrico estremamente importante sulla natura e sullo spazio”. Poi rassicurava i censori che “la mia concezione del mondo è altrettanto lontana dall’ideologia borghese rispetto a quanto non sia vicina al comunismo”, è “radicata in modo solido e concreto nella vita, fino a manifestarsi come incarnazione vivente nella tecnica”. Il realismo metafisico di Florenskij.
L’appello si concludeva chiedendo “un piccolo favore”: non tagliate il paragrafo conclusivo dell’opuscolo, dedicato a Dante. Ma la macchina infernale del comunismo si era messa in moto, Dante era il nemico della modernità scientista e materialista. Florenskij sotto Stalin fu poi spremuto come un limone come scienziato e pioniere di grandi scoperte, anche quando era prigioniero nel gulag. E nel giorno dell’Immacolata del 1937 fu fucilato. Avrebbe compiuto 56 anni, la stessa età in cui era morto Dante. Poco prima aveva scritto a sua moglie Natasa, “La vita vola via come un sogno, e non si fa in tempo a far niente prima che ti sfugga l’istante della sua pienezza”.