Come ogni anno l’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura) annuncia i nuovi “Patrimoni dell’Umanità”: quei siti che ospitano beni artistici, architettonici, archeologici o paesaggistici la cui importanza è riconosciuta a livello mondiale. Ai siti fisici da qualche anno si sono aggiunti anche i cosiddetti patrimoni immateriali.
Per l’Italia due nuovi ingressi: il complesso dei portici di Bologna e gli affreschi di Padova. Quest’ultima definizione include la cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto e i cicli che altri autori hanno realizzato nel Duomo e nalla basilica di Sant’Antonio. Ai due nuovi patrimoni dell’umanità tutti italiani si aggiunge anche Montecatini Terme come sito europeo nell’ambito del riconoscimento alle Grandi città termali europee. E l’ampliamento dell’area riconosciuta “patrimonio dell’umanità” per il centro storico di Firenze. I nuovi riconoscimenti portano l’Italia nuovamente alla guida della classifica con 58 siti riconosciuti dopo un periodo in cui il primato era condiviso con la Cina.
Chi entra… e chi esce
Ma per chi segue le vicende del patrimonio architettonico, urbanistico e artistico più negletto, ovvero quell’Ottocento e del Novecento la vera notizia che arriva dalla 44a sessione del World Heritage Committee dell’UNESCO non è tra i nuovi ingressi. Bensì tra le rimozioni dalla lista di Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Ad essere cancellata dal prestigioso elenco la città Liverpool. Certo per molti anche il fatto che la città portuale dell’Inghilterra fosse stata insignita del prestigioso titolo di patrimonio dell’umanità è una notizia di per sè.
Liverpool patrimonio dell’umanità?
Liverpool, naturale sbocco sul mare per le aree industriali di Manchester e Sheffield, era stata iscritta come patrimonio mondiale nel 2004, come “Città marittima mercantile”, secondo i seguenti criteri.
- Criterio (II): “Liverpool è stato un centro importante nello sviluppo di tecnologie e metodologie innovative nella costruzione dei docks e nella gestione dei porti nei secoli XVIII e XIX. Ha così contribuito alla costruzione dei sistemi mercantili internazionali in tutto il Commonwealth britannico“.
- Criterio (III): “La città e il porto di Liverpool sono una testimonianza eccezionale dello sviluppo della cultura mercantile marittima nei secoli XVIII e XIX, contribuendo alla costruzione dell’impero britannico. Fu un centro per il commercio degli schiavi, fino alla sua abolizione nel 1807, e per l’emigrazione dal nord Europa verso l’America“.
- Criterio (IV): “Liverpool è un esempio eccezionale di città portuale mercantile nel mondo, che rappresenta il primo sviluppo del commercio globale e dei collegamenti culturali in tutto l’impero britannico“.
Quello della città marittima mercantile di Liverpool è un’area molto vasta di 136 ettari. Area fatta di vaste aree portuali dismesse su cui insistono elementi di archeologia industriale e diversi edifici realizzati tra Ottocento e Novecento, simbolo del potere economico, marittimo e industriale dell’Impero britannico.
Patrimoni dell’umanità in pericolo
La rimozione dalla lista del Patrimonio Mondiale non è un fulmine a ciel sereno: già dal 2012 il complesso urbanistico di edifici e aree portuali di Liverpool era stato classificato come “Patrimonio dell’umanità in pericolo”. Il motivo risiedeva nel progetto urbanistico da 5.5 miliardi di sterline denominato Liverpool Waters e che nella sua prima versione prevedeva almeno una decina di grattacieli tra i 100 e i 150 metri, e una torre da 200 metri.
“Patrimonio dell’umanità in pericolo” è una definizione generica in cui l’UNESCO classifica tutti i siti considerati a rischio. Nell’elenco compaiono oltre 50 siti patrimonio dell’umanità. Naturalmente molte delle situazioni di pericolo sono legate a scenari di guerra: come i siti archeologici di epoca romana in Siria e Libia. O i tre siti presenti in Mali (tra cui Timbuctù) simbolo della storia e architettura dell’Africa occidentale.
Ma tra i pericoli per un “Patrimonio dell’Umanità” non ci sono solo le potenziali distruzioni associate alle guerre. Per l’UNESCO i rischi possono essere molteplici, come la questione delle grandi navi da crociera a Venezia che è stata più volte paventata come possibile motivazione di una sua iscrizione nell’elenco a rischio. Iscrizione definitivamente tramontata proprio con la delibera dell’ultima riunione plenaria della commissione UNESCO.
Patrimoni in pericolo e sviluppo immobiliare
Altro rischio è quello dello sviluppo immobiliare proprio come nel caso di riqualificazione dell’area dei docks di Liverpool. Quando i 136 ettari dell’area urbana di Liverpool sono stati inseriti nel patrimonio UNESCO erano stati definiti dei limiti di massima riguardo lo sviluppo immobiliare consentito. Specialmente per quanto riguarda l’altezza degli edifici. Si legge dal sito dell’organizzazione: “Al momento dell’iscrizione, il Comitato del Patrimonio Mondiale ha richiesto che l’altezza di qualsiasi nuova costruzione nella proprietà non dovrebbe superare quella delle strutture nelle immediate vicinanze; il carattere di qualsiasi nuova costruzione dovrebbe rispettare le qualità dell’area storica, e le nuove costruzioni al Pier Head non dovrebbero dominare, ma completare gli edifici storici Pier Head. C’è bisogno che la conservazione e lo sviluppo si basino su un’analisi delle caratteristiche del paesaggio urbano e che siano limitati da regolamenti chiari che stabiliscano le altezze prescritte degli edifici“.
Inoltre l’inserimento di un sito nel patrimonio UNESCO può prevedere la creazione di aree cuscinetto a ulteriore tutela. Nel caso di Liverpool tale area cuscinetto è di 750 ettari. Nemmeno così vasta in rapporto al sito. Si pensi a Castel del Monte in Puglia: il sito è di 3 ettari mentre l’area cuscinetto è di più di 10.000 ettari. Cento chilometri quadrati intorno al castello. Nel caso di patrimoni dell’umanità costituiti da aree estese o all’interno di un tessuto urbano complesso ovviamente non è sempre stato possibile definire a priori una buffer zone da parte dell’UNESCO.
Duomo di Colonia e Valle dell’Elba
Quindici anni fa ci fu il caso del duomo di Colonia, nella valle del Reno in Germania. Simbolo dell’architettura gotica, completata nel 1880 dopo una travagliata costruzione durata sei secoli, sopravvissuta ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, era stata iscritta Patrimonio dell’Umanità nel 1996. Pochi anni dopo un progetto urbanistico che prevedeva la costruzione di grattacieli a ridosso della cattedrale fece giudicare il sito come patrimonio a rischio a partire dal 2004. La situazione si risolse nel 2006 con la decisione della autorità locali di limitare le cubature intorno alla chiesa e realizzando intorno ad essa una zona cuscinetto. Zona cuscinetto di 2,58 ettari sancita ufficialmente dall’UNESCO nel 2008.
Sempre dalla Germania nello stesso periodo il caso di primo sito in Europa a perdere il titolo di patrimonio dell’Umanità. Si tratta della valle dell’Elba intorno a Dresda, eletta a patrimonio mondiale nel 2004 e classificata come patrimonio in pericolo già due anni dopo nel 2006. Pericolo sempre legato a una questione paessaggistica: la realizzazione del ponte di Waldschlösschen necessario a decongestionare il traffico di Dresda. Il progetto del ponte, avviato nel 1996, dopo varie vicissitudini compresi un referendum e un pronunciamento di un tribunale amministrativo, entrambi a favore del ponte. Nel 2007 veniva avviata la costruzione del ponte e due anni dopo l’UNESCO revocava a la valle dell’Elba il titolo di patrimonio mondiale dell’umanità. Primo caso in Europa, e il secondo al mondo dopo quello del “Santuario dell’Orice d’Arabia” in Oman (l’orice è una specie di antilope). Patrimonio dell’umanità dal 1994 fino alla perdita della qualifica nel 2007 per la decisione del governo locale di ridurre l’area destinata a riserva.
Vienna, altro patrimonio in pericolo
Più noto tra i casi di patrimonio mondiale dell’umanità in pericolo per questioni paesaggistico-immobiliari quello del centro storico di Vienna. Un’area di 371 ettari al centro della capitale austriaca è classificata come “patrimonio dell’Umanità” dal 2001. Ma dal 2017 è finita classificata tra i patrimoni a rischio. Oggetto del contendere il progetto di ampliamento e sopralevazione dell’hotel InterContinental di Vienna.
Ci siamo occupati dell’InterContinental e della sua sopraelevazione che l’avrebbe portato da 39 metri di altezza a 75 metri (poi ridotti a 66 metri per provare a placare l’ira dell’UNESCO) in chiusura del capitolo 10 di Iconoclastia, «Autodistruzione for dummies». La vicenda di Vienna aveva avuto ampia eco sulla stampa italiana grazie all’articolo «Vienna e la tentazione dell’oblio: caffè, fontane e monumenti abbattuti per far posto ai grattacieli» firmato dal duo di scrittori Monaldi & Sorti uscito su La Stampa nel novembre 2018. Scrivevamo su Iconoclastia a commento proprio di questo articolo: «Sensazionalista nel titolo, perché ancora non si demolivano monumenti, si “raddoppiava” un grattacielo esistente, ma non nell’analisi, perché l’analisi di Monaldi e Sorti è una fotografia di quello che sta accadendo.» Inserendo anche questa vicenda nel “calderone”1 della cancel culture.
Grattacieli vista docks
Liverpool e la sua recente revoca dello status di patrimonio dell’umanità sembra replicare la vicenda di Vienna su più ampia scala. Non si tratta di distruzioni o sventramenti a essere messo a rischio è il Panorama. Panorama che non è quello di una cattedrale gotica o del barocco viennese. Bensì quello di un complesso di archeologia industriale come i resti dei docks di Liverpool e dell’immagine di rappresentanza del potere mercantile-marittimo dell’impero britannico, le Three Graces di Pier Head: l’edificio delle assicurazioni Royal Liver, la sede della compagnia di navigazione Cunard, e l’edificio dell’autorità portuale. Tutti realizzati tra il 1903 e il 1911. Panorama a cui è associato il contesto e la leggibilità delle strutture architettoniche.
Di fatto nessun edificio è a rischio. I singoli edifici e le strutture che fanno parte della ormai ex area UNESCO restano comunque oggetto di tutela secondo la legislazione britannica. Sia gli edifici principali, che i resti di archeologia industriale come i muri di recinzione dei docks sono classificati come Grade I e Grade II. Quello che si perde è la loro visione di insieme. Come si legge in questo articolo del 2012 del The Guardian, e risalente al periodo in cui Liverpool fu inserita tra i patrimoni a rischio, si andrebbe a compromettere il ruolo preminente dei tre edifici di Pier Head di fatto oscurandone la vista sul lato nord con complessi di edifici e grattacieli. Sebbene il numero e l’altezza delle torri sia stato via via ridotto, è stata comunque avviata la costruzione delle tre Infinity Waters, poste più all’interno rispetto alla linea dei docks, la cui costruzione si è interrotta nel 2020 per una serie di indagini per frode intorno alle società coinvolte nel progetto. E il The Lexington nel Princes Dock poco meno di 500 metri in linea d’aria dalle Three Graces. Una volta completato sarà alto 112 metri, superando i 98 metri delle torri del Royal Liver Building, il più imponente delle Three Graces di Liverpool.
Un nuovo stadio per l’Everton
Se i grattacieli si sono in parte ridimensionati, sia per le variazioni del progetto, sia per i lockdown del 2020 e del 2021 che hanno “ridotto” la fame di uffici, sulla questione del watefront di Liverpool si aggiunge anche il nuovo stadio per l’Everton nell’area semiabbandonata del Bramley-Moore Dock. Progetto che vede la realizzazione di un nuovo stadio da quasi 53.000 posti a sedere, e il pensionamento della storica struttura dell’Everton, Goodison Park, da poco meno di 40.000 posti.
Il nuovo stadio, a differenza dei grattacieli come il The Lexington realizzati nei docks immediatamente a nord del Pier Head, insiste su un’area più a nord a quasi due chilometri in linea d’aria dalle Three Graces. E lo stadio sorgerebbe in una zona in stato di semiabbandono, il Bramley-Moore Dock. Nell’area ad essere classificati come monumento storico secondo la normativa britannica, sono il muro di cinta dell’area e i resti di una torre idraulica. E più a sud l’imponente torre orologio denominata Victoria Tower. Ma il Bramley-Moore Dock è di fatto un’area già spianata, su cui non insistono altri manufatti. Il panorama oscurato dallo stadio sarebbe quello intorno a queste due torri.
Leggibilità di un panorama
Ma talvolta il problema non è solo l’altezza. Come detto il panorama è fatto anche di leggibilità delle strutture che lo compongono. E secondo più di un commentatore le Three Graces sono già compromesse. Lo fa il critico specialista di architettura e design Oliver Wainwright sul The Guardian con una foto e una didascalia che sono tutto un programma…
Le Three Disgraces, le tre disgrazie, è riferito ai tre edifici del complesso Mann Island Buildings e al Museo di Liverpool. Tutti edifici realizzati tra il 2008 e il 2011. Wainwright si era già scagliato contro la struttura del Museo di Liverpool fin dal suo completamento. Inoltre il complesso del Mann Island Buildings nel 2012 era tra i finalisti della poco ambita Carbuncle Cup (carbuncle è letteralmente carbonchio ma è in uso come frase idiomatica nel senso figurato di pugno in un occhio), premio goliardico assegnato dalla rivista Building Design. Premio assegnato ai più brutti edifici realizzati nel Regno Unito.
Sulla stessa linea di Wainwright si inseriscono altri commentatori come il politico locale laburista Phil Davis o il giornalista Ian Jack che commentano come i nuovi progetti immobiliari abbiano alterato gli elementi propri e caratteristici di aree come quella di Livepool. Jack cita apertamente l’elefante della stanza dell’architettur contemporanea: il problema non è tanto nello sviluppo urbanistico di per sè, ma nel fatto che venga declinato unicamente con grattacieli tutti uguali e privi di qualsivoglia genius loci. Scrive Jack a proposito di Liverpool: “il tentativo di trasformare il suo grandioso lungomare edoardiano in una versione da città giocattolo di Shanghai è finito questa settimana, come molti avevano previsto, con la sua cancellazione dall’Unesco come patrimonio mondiale“.
I panorami di grattacieli ormai sono tutti uguali e privi di qualunque speficità (tranne poche felici eccezioni, tra cui il complesso di piazza Gae Aulenti a Milano). Con uno skyline di grattacieli si trasforma un luogo con una sua tipicità in un luogo neutro. Negando proprio la tipicità che gli ha permesso di essere ascritto a patrimonio dell’umanità. E pare che nella città di Bath, diventata patrimonio dell’umanità nell’ambito delle città termali europee come Montecatini Terme, siano già sulla strada di Liverpool. Nemmeno il tempo di diventare patrimonio UNESCO che già si vuole ampliare l’ex Royal National Hospital for Rheumatic Diseases, progettato nel 1738 da John Wood il vecchio, con un ampliamento e sopralevazione. Per adesso il progetto è fermo e verrà probabilmente ridimensionato viste le polemiche. Ma la strada sembra tracciata anche per Bath.
In realtà, a parte pochi come Jack e Wainwright sembrano accorgersi del problema. Da Liverpool si insiste che il patrimonio storico e architettonico è ampiamente tutelato. E anche dalle associazioni per la tutela britanniche l’atteggiamento sembra piuttosto remissivo e incapace di rendersi conto del vero problema, che non è la tutela del singolo edificio. Riprendiamo da Wikipedia una rassegna: “Tra i gruppi di conservazione la decisione dell’UNESCO è stata accolta con reazioni contrastanti. Gavin Davenport, presidente della Merseyside Civil Society, è stato critico nei confronti della decisione UNESCO suggerendo che l’ente venisse nel Merseyside per vedere i cambiamenti descritti come positivi. Historic England, che si oppose alla costruzione dello stadio sui moli, ha ribadito di essere deluso dalla bozza dell’UNESCO quando fu pubblicata, ribadendo un mese dopo la sua posizione, affermando che il patrimonio di Liverpool rimane importante a livello internazionale. D’altra parte, il direttore della Victorian Society era “rattristato, ma non sorpreso” dal voto e ha suggerito che i commenti dei funzionari del governo locale di conservazione a costo di rigenerazione erano una falsa dicotomia, pur sperando che la decisione non abbia un ulteriore impatto sul patrimonio. Save Britain’s Heritage ha criticato il mancato intervento del governo britannico a Liverpool quando l’UNESCO ha minacciato la rimonzione. L’associazione ha dichiarato: “Crediamo che il governo britannico, come firmatario del trattato delle Nazioni Unite sul patrimonio, avrebbe potuto e dovuto fare di più per rendere chiaro il caso della permanenza dello status di Liverpool – e dare garanzie all’UNESCO che il patrimonio internazionale è al sicuro nelle mani della Gran Bretagna attraverso un rafforzamento delle protezioni del patrimonio e della pianificazione.”
Insomma, a leggere sembra la solita dicotomia tra sviluppo a tutti costi e assolutisti conservatori dello status quo. A mancare da questo dibatitto, a parte i già citati Jack e Wainwright, è il contesto. Ormai il mondo è pieno di panorami fatti di grattacieli e di edifici sghembi a imitazione di Zaha Hadid e similari. Continuare a concepire lo sviluppo urbano e le riqualificazioni solo in quella direzione, contribuirà solo a oscurare le specificità di un luogo. Oscuramento che alla fine realizza una cancellazione.
Ed è bene ricordare che il problema della cancel culture nei confronti dei fenomeni storici di cui, più volte, ci siamo occupati deriva proprio dall’incapacità di leggere e capire il contesto di un’opera e del suo autore. La cancellazione opera in mancanza del contesto. Ecco perché è giusto preservarlo, ed ecco perché continuiamo ad ascrivere tutti questi fenomeni nel “calderone” della cancel culture.
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1 – “Calderone” secondo la felice definizione di Cinzia Sciuto. Obiettivamente molte notizie vengono ascritte acriticamente al “calderone” della cancel culture. La giornalista di MicroMega nel convegno “Cancellare la Cancel Culture?” organizzato dall’Università di Verona online il 13 maggio 2021 in quell’ottica distingueva tra gettare tutte queste notizie intorno alla Cancel Culture in un calderone, od operare di setaccio, optando per questa seconda opzione. Vedi anche Cinzia Sciuto, Contro il dogmatismo della Cancel Culture, in MicroMega, 04 – 2021.
Ma chi scrive, studiando il fenomeno dei nuovi iconoclasti da prima che si diffondesse la fortunata etichetta della cancel culture, ritenendo che fenomeni diversi per origine e contesto siano accomunati da analoghe traiettorie che finiscono tutte per cancellare testimoninanze del passato (specialmente di quello sedimentatosi tra XIX e XX secolo) è giunto alla conclusione che si possa continuare a osservare questi fenomeni nel “calderone” della cancel culture.