di Monaldi & Sorti dal Messaggero del 8 luglio 2021
Secondo il best seller di Barbero, il grande Dante Alighieri cercò moglie solo dopo la morte di Beatrice. Ma il più quotato biografo del Poeta demolisce la tesi: le nozze furono combinate dai parenti. Quando i promessi sposi erano ancora bambini.
È stato uno dei saggi di maggior successo dell’ultimo anno: con il suo Dante (Laterza), Alessandro Barbero, brillante conferenziere e divulgatore storico, popolarissimo su YouTube, docente di Storia all’università di Torino, ha rivoluzionato alcuni tratti tradizionali del Poeta. Il più importante: il matrimonio di Dante (nato nel 1265) e della consorte Gemma Donati non sarebbe stato combinato dalle famiglie quando i due erano fanciulli, come buona parte della critica ha sempre ritenuto, ma molto più in là, dopo i 25 anni, cioè dopo la morte di Beatrice. Una tesi seguita anche dalla biografia di due quotati medievisti, Giuliano Milani ed Elisa Brilli, uscita quest’anno (Vite nuove. Biografie e autobiografie di Dante, Carocci). Ma altri agguerriti dantologi già danno battaglia, riaprendo una querelle che tocca le basi stesse della poetica dantesca.
Non sono infatti paturnie da eruditi: è in ballo la vicenda interiore, sentimentale e letteraria, del padre della lingua italiana. Si tratta di decidere se Dante si sposò prima o dopo la morte dell’adorata Beatrice (1290), e quando formò la sua non piccola famiglia (4 figli, di cui uno ‘emerso’ dagli archivi solo nel 1921, e forse illegittimo). Non a caso sono stati versati fiumi d’inchiostro (anche con taglio psicoanalitico) sull’importanza cruciale e il significato delle figure femminili nell’universo dantesco: dalla madre che lo lascia orfano a soli cinque anni, fino alla misteriosa Beatrice. Senza la quale, si sa, non c’è salvezza né Paradiso.
Il popolare Barbero era alla sua prima opera su Dante, un libro agile, dalle non molte pagine. Del Sommo Poeta si occupa invece da quasi un quarto di secolo un personaggio lontano dai riflettori, ma ben sotto alle lampade dei tavoli d’archivio. Non è italianista né docente universitario, eppure è il più rigoroso biografo di Dante Alighieri. Giuseppe Indizio, nativo di Ivrea, trapiantato a Napoli e poi a Milano, 49 anni, è tutto meno che il classico prodotto del milieu accademico-letterario: formazione da economista, dopo aver vinto il concorso per la Bocconi (1990); poi rapida carriera come dirigente assicurativo. Secondo Marco Santagata, decano dei dantisti moderni, Indizio è «un pioniere», «una figura fuori dal coro», che «ha la capacità di vedere ciò che sfugge agli specialisti»; «un ferratissimo e competente studioso, di grande onestà intellettuale», che «non ha maestri da ossequiare o scuole a cui adeguarsi», e che «fa giustizia di molti luoghi comuni». Pubblicò il primo saggio ad appena 27 anni, da assoluto outsider e senza laurea in lettere, su Studi Danteschi (la principale rivista del settore). Oggi è uno degli studiosi più citati, e viene invitato in venerandi atenei come Pisa e Roma.
Alla ricerca della verità storica
Indizio ha due idiosincrasie: i luoghi comuni ormai arrugginiti, e i falsi scoop per la sete di nuovo a tutti i costi. Le nostre strade si sono incrociate mentre scrivevamo il primo volume della nostra trilogia teatrale dantesco-shakesperiana per Solferino editore: terminavamo proprio con le nozze di Dante, che torneranno nel secondo volume con un’ampia appendice. Adesso, in un articolo per la Rivista Internazionale di Diritto Comune dell’Università di Trento (che abbiamo potuto leggere in anteprima), Indizio rimette a posto parecchie pedine nell’affollata scacchiera del best seller di Barbero.
«L’unica traccia d’archivio sulle nozze con Gemma Donati», spiega il dantista-manager, «sono gli estremi dell’atto notarile in cui si fissava la dote della sposa, il cosiddetto instrumentum dotis. La data è il 9 febbraio 1277, quando però Dante, nato nel 1265, e la sua promessa sposa erano ancora due teneri fanciulli. Inoltre il notaio, nella breve notizia di questo documento riportata in un altro atto (l’originale è perduto) ha sbagliato l’indizione, cioè il numero romano da I a XV che veniva accoppiato ad ogni anno: per il 1277 doveva essere V, e non VI».
Gli errori del notaio
Qui si è inserito Barbero: secondo lui il documento non è solo un atto dotale, ma un vero e proprio atto di matrimonio, che «all’epoca era celebrato dal notaio in casa della sposa, e non certo dal prete in chiesa». E poiché secondo Barbero i matrimoni tra bambini (impuberes) a quel tempo praticamente non esistevano, il notaio deve aver sbagliato macroscopicamente l’anno: quello reale potrebbe essere il 1293, quando l’indizione tornava a quadrare. Nozze spostate, quindi, verso i 28 anni di Dante.
Barbero si richiama a Boccaccio: l’autore del Decameron, nel suo racconto della vita di Dante, dice che il poeta venne indotto al matrimonio da parenti e amici dopo la morte di Beatrice, per consolarsi dal lutto. «Boccaccio ne sa più di noi», assicura Barbero, e pertanto il matrimonio di Dante ragazzino è «del tutto escluso». Anzi, era addirittura «illegale».
Per le sue tesi ‘revisioniste’ Barbero si richiama anche a uno studio «molto approfondito» della medievista francese Isabelle Chabot (2014), secondo la quale le nozze tra fanciulli erano rarissime, limitate alla grande nobiltà, e il matrimonio si celebrava in casa della sposa alla presenza di un notaio, non davanti alla Chiesa.
Ma pensare che un notaio professionista confonda più facilmente 1277 con 1293, invece che VI con V, è cosa ardita. E infatti Indizio ha notato che nello stesso anno 1277 Manetto Donati, padre di Gemma e ‘promesso’ suocero di Dante, compare in un altro documento notarile a fianco dei parenti del poeta. «Perché inserirsi in una questione legale nel parentado di Dante, se il matrimonio sarebbe arrivato solo dopo 16 anni?», obietta il dantista-manager. «Il matrimonio sembra chiaramente deciso nel 1277; sarà stato così precoce per qualche ragione, forse perché Dante proprio allora era divenuto orfano anche di padre. Se vi fossero altre ragioni non lo sapremo mai: purtroppo in questo campo la scarsità di documenti è drastica».
La tradizione del tempo
Inoltre, spiega Indizio, l’atto dotale non aveva nulla a che vedere con il matrimonio. Già san Tommaso insegnava che il sacramento del matrimonio consiste unicamente nell’espressione dei voti nuziali da parte dei coniugi. «Il resto», dice Indizio, «promessa di matrimonio, caparra, atto dotale, cerimonia nuziale, incluso l’intervento del sacerdote, erano adminicula matrimonii. Orpelli». L’atto dotale serviva solo a formalizzare gli accordi patrimoniali tra le famiglie, che negoziavano le nozze al posto dei figli. Che per la consacrazione nuziale basti l’accordo tra le volontà degli sposi, è un tema con cui noi stessi ci siamo confrontati nel primo tomo della nostra fatica shakespeariana su Dante.
Lo sposo e la sposa, legandosi per diventare padre e madre, sono investiti d’una dignità che si potrebbe definire seconda solo al Creatore: non a caso il quarto comandamento, “Onora il padre e la madre”, è il primo dopo i tre dedicati a Dio. Per questo motivo le nozze sono l’unico dei sette sacramenti che ci si amministra da sé. Sono gli sposi stessi i ministri della propria unione. Il sacerdote era presente in qualità di testimone. Non lo leggiamo forse anche nei Promessi Sposi? Renzo e Lucia, per sposarsi validamente, devono solamente fare in modo che il vile don Abbondio sia presente, e non fugga, mentre loro si scambiano il giuramento nuziale.
Gli sposalizi tra bambini poi, già prima di Dante, erano tutt’altro che rari, argomenta Indizio. Ne parlano numerosi testi e provvedimenti di legge, dove si dibatteva perfino se fossero valide le promesse di matrimonio pronunciate da bambini sotto i 7 anni. Per quanto ne sappiamo, Dante e Gemma, giovanissimi al momento dell’instrumentum dotis, potrebbero essersi sposati (ovvero pronunciato i voti matrimoniali) anni dopo, verso il 1285-90, con Dante quindi sui 20-25 anni. Marco Santagata proponeva un Dante sposo appena maggiorenne, nel 1283-85. Per il contratto dotale comunque si può lasciare tranquillamente la data del 1277, come ha fatto gran parte degli studiosi.
Verificare le fonti
Non è tutto: la francese Chabot, osserva Indizio, quando parla del matrimonio tra Dante e Gemma fanciulli, «si guarda bene dal negare ogni veridicità all’evento, viste le enormi perdite documentali incorse e l’estrema penuria di informazioni sicure». E – aggiungiamo noi – anche gli studi citati dalla Chabot sono basati su dati scarsissimi, che non consentono alcuna conclusione certa: appena 37 contratti matrimoniali, di due soli notai fiorentini. Un po’ poco, anzi pochissimo (la popolazione di Firenze oscillava allora attorno ai 100 mila abitanti). A Barbero insomma pare mancare sia il garante, che il garante del garante.
Dire infine che Boccaccio «ne sa più di noi», come fa Barbero, è sicuramente d’effetto. Ma – nostra osservazione – l’autore del Decameron nella sua biografia di Dante si comporta «con libertà e anzi fantasia», e sovente le sue notizie «vanno prese con beneficio d’inventario»: così il filologo Stefano Carrai, docente alla Normale di Pisa. Altri due specialisti, Maurizio Fiorilla e Monica Berté, avvertono: «Boccaccio riporta informazioni scorrette su fatti biografici o storici e utilizza come fonti sia la tradizione orale sia le opere dei rispettivi protagonisti». Insomma, non necessariamente «ne sa più di noi».
Ma conoscendo il pepato temperamento di Barbero, è possibile che la querelle non si fermi qui.