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Sparta docet: «Il coraggio è il sentimento più forte e più antico dell’animo umano»

Un romanzo storico sulla battaglia delle Termopili del 480 a.C. spiega le tecniche con cui gli Spartani si addestravano a dominare la paura. Un viatico in tempo di fobie da epidemia

In tempi di isolamento forzato, più o meno costituzionalmente corretto, a seconda delle opinioni, una rilettura può rappresentare una buona soluzione, in particolare se ci rimette in mano un libro a cavallo tra il romanzo storico e il saggio, così elevata è la preparazione scientifica dell’autore. È la scelta è tanto più indovinata se il testo affronta come uno dei suoi temi centrali la paura, phobos (come la chiamavano i Greci, lasciandoci in eredità questo termine come «fobìa» e i suoi infiniti composti), e l’addestramento fisico e mentale per vincerla: un tema di assoluta attualità nel momento in cui siamo assediati da una epidemia presentata dalle autorità e dai media in termini tali da incutere una paura generalizzata.            

Le porte di fuoco
di Steven Pressfield
Rizzoli
pp. 450, € 11,00

Il libro di cui si parla allora è «Le porte di fuoco» di Steven Pressfield: la più appassionante ricostruzione della preparazione e dello svolgimento della battaglia delle Termopili, visti naturalmente dalla parte degli Spartani e dei Trecento che andarono a immolarsi per fermare le armate persiane di Serse e dare il tempo alla Grecia di prepararsi alla difesa dall’invasore. Senza entrare nella ricostruzione della storia, fin troppo nota, ci si limiterà a riflettere sull’importanza che a Sparta veniva data al tema della paura e alle considerazioni che uno degli ufficiali spartani più esperti, Dienece, svolge sull’argomento, sollecitando i guerrieri più giovani a rifletterci per essere poi preparati ad affrontarla quando essa si presenterà inevitabilmente al momento della battaglia. «Gli spartani – racconta Xeone, voce narrante del romanzo, sopravvissuto ferito alla battaglia e prigioniero di Serse – hanno una disciplina che si chiama phobologia, la scienza della paura», che si compone di 28 esercizi, ciascuno dei quali riguarda un particolare nesso del sistema nervoso: si va dalle ginocchia alle cosce, dai polmoni al cuore ecc. fino ai fondamentali muscoli del trapezio, che collegano le spalle al collo. Vi sono poi i nessi relativi al volto: la mascella, l’occhio e i muscoli intorno alle orbite, detti phobosynactyeres, accumulatori di paura. «La paura – spiega Xeone a Serse – ha origine nella mente, ma deve essere combattuta nel corpo». Infatti quando si impadronisce del corpo può iniziare quello che si definisce phobokyklos, una spirale di paura, che può portare a un vero e proprio accesso di terrore. «Basta porre il corpo in uno stato di aphobia, assenza di paura, e la mente si adegua immediatamente», secondo gli spartani, che si esercitano fin da piccoli, sotto la guida dei loro mentori, negli esercizi per far defluire dal corpo la paura e riconoscerla negli occhi degli avversari. Questo è l’allenamento che spiega la tranquillità con cui le schiere spartane affrontano lo scontro in battaglia, convivendo con «la paura della morte che è insita nelle nostre stesse cellule e ci accompagna tutta la vita». Ma Dienece vuole andare oltre nell’educazione dei suoi giovani sottoposti, interrogandosi su quale sia il contrario della paura in positivo, insomma il vero coraggio, e non accontentandosi della semplice aphobia.

Una prima risposta per trovare il coraggio di combattere la paura è quella di cercarlo in una paura più grande, la paura del disonore nei confronti della città, della famiglia, dei compagni d’arme. Insomma combattere la paura con una paura più grande. Ma questa risposta non lo soddisfa. Occorre cercare «qualcosa di più nobile, una forma più alta di mistero, pura, infallibile». E questa risposta non possono darla gli dei immortali, perché la radice della paura è nella carne mortale che è loro estranea. Omero, prosegue Dienece, dice che Achille possedeva la vera andreia, termine che esprime la quintessenza del coraggio, della virilità della forza, ma essendo invulnerabile, in realtà non può diventare, secondo Dienece, esempio di un coraggio assolutamente puro. Così come non può diventare modello di andreia Polinice, il più valoroso degli spartani, perché «lui non combatte per paura del disonore, ma per avidità di gloria»: un’aspirazione meno meschina della paura del disonore, ma non sufficiente per diventare esempio di vera andreia. La conclusione è che nei mortali la vera andreia è occasionale, riservata a brevi momenti di eroismo di uomini particolari, tra i quali Dienece cita il fratello Iatrocle, morto in battaglia, e lo stesso Leonida: momenti di «autentica luce durante i quali si combatte non come un uomo ma come un dio». Ma questi sono casi e momenti eccezionali. Quello che si può chiedere all’uomo è il coraggio di prepararsi a convivere con la paura della morte, come fanno gli spartani, e a controllarla perché non si trasformi in panico. In fondo è quanto scrive Albert Camus nella sua breve «Esortazione ai medici della peste» del 1941, ripubblicata in questi giorni da Bompiani. «La prima cosa è che non abbiate mai paura. Dovete fortificarvi contro l’idea della morte e conciliarvi con essa, prima di entrare nel regno della peste. Se trionferete qui, trionferete ovunque e vi vedranno tutti sorridere in mezzo al terrore». Proprio come sorridevano gli Spartani alle Termopili.

da “Storia in Rete” n. 172 – giugno 2020

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