Da qualche tempo vado ripetendo ai miei giovani colleghi storici che, anche in Paese a democrazia avanzata come il nostro, il discrimine tra la libertà di ricerca e di espressione intellettuale e la possibilità di usufruire pienamente di quella libertà si muove su margini che, a volte illecite pressioni di carattere ideologico, rendono molto stretti. L’elenco di casi addebitabili a questo fenomeno, che qualcuno ha definito con il termine di «censura democratica», è molto lungo, infatti, e a esso oggi posso aggiungere una mia recente disavventura editoriale.
di Eugenio Di Rienzo da «il Giornale» del 19 luglio 2016
Avvicinato, nei mesi scorsi, dall’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi) per redigere un articolo su Obama e la Russia, all’interno di un volume dedicato appunto a fare un bilancio della Presidenza Obama, che sarà edito da Mondadori, ho accettato volentieri quella proposta e ho redatto il mio lavoro che, dopo qualche limatura, è stato approvato dal curatore dell’opera e inviato alla stampa. Qualche giorno fa l’Ispi mi ha comunicato che il mio contributo, già in bozze, non poteva essere più pubblicato perché connotato da sentimenti smaccatamente filorussi e eccessivamente antiamericani. Sentito il curatore per avere qualche spiegazione di tale irrituale modo di agire, questi mi ha espresso il suo rammarico per quella decisione e il suo dispetto per un’azione “piovuta dai piani alti dell’Ispi” che di fatto lo esautorava del suo legittimo diritto di decidere sul merito scientifico di quanto si doveva pubblicare. Questi i fatti che meritano, credo, qualche considerazione.
Posso magari concordare sulle mie simpatie per la Federazione Russa, ma devo aggiungere che esse sono le stesse che hanno animato, dopo l’insorgere della crisi ucraina, Henry Kissinger, l’ex ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock, Doug Bandow, già Special Assistant di Ronald Reagan per la politica estera, e tanti analisti americani che scrivono su giornali e riviste specializzate, come «The Washington Post», «Foreign Affairs», «International Affairs», «Stratfor Global Intelligence». Tutte queste voci sono state concordi nel criticare la politica di confronto/scontro con la Russia inaugurata dall’amministrazione Usa in quest’ultimo biennio e nel definire il processo di allargamento della Nato verso est, iniziato con George W. Bush e proseguito da Obama, un errore fatale che potrebbe sconvolgere ulteriormente il già precario equilibrio politico mondiale.
Se il mio articolo è dunque filorusso (accusa che respingo) sicuramente non si può dire che sia antiamericano (a meno di non volere accusare anche Henry Kissinger di antiamericanismo). Evidentemente l’Ispi, che lautamente finanziata dal pubblico erario si è recentemente trasformata nel think tank privilegiato del nostro Ministero degli Esteri, ha scelto di essere più realista del re. Ma se l’intento dell’Ispi era operare una beatificazione in vita del primo Presidente afro-americano della storia, perché, prima, rivolgersi proprio a me, che nel mio saggio del 2015 dedicato al conflitto russo-ucraino (Rubbettino Editore) non avevo risparmiato dure critiche alla politica della Casa Bianca e poi respingere al mittente il mio saggio?
La risposta a questa domanda è forse in un documento citato nel mio lavoro rifiutato. Un documento poco divulgato anche all’estero, che portavo per la prima volta alla conoscenza del pubblico italiano. Si tratta della fedele trascrizione del colloquio svoltosi durante il summit di Malta (2-3 dicembre 1989) tra il primo Bush e Gorbaciov. In quell’occasione, il Presidente Usa forniva le più ampie garanzie all’ultimo Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica che mai gli Usa avrebbero approfittato del disfacimento del sistema socialista in Europa orientale per danneggiare i vitali interessi strategici della Russia. Un impegno che prima Bush figlio e poi Obama hanno ridotto, invece, a carta straccia facendo penetrare il dispositivo Nato tanto profondamente verso il cuore del territorio russo quasi quanto fece Hitler con le armate del Terzo Reich durante il secondo conflitto mondiale. Questo e qualcosa in più si potrà leggere nel mio saggio, che rigettato dall’Ispi, verrà ora pubblicato dall’«Acropoli». La bella e libera rivista diretta da Giuseppe Galasso che ha anche il grande merito di essere consultabile gratuitamente on line all’indirizzo http://www.lacropoli.it/.