La scritta “Italian Futurism 1909-1944” campeggia, in bianco su fondo azzurro, all’imbocco della rampa più famosa dell’arte moderna mondiale: il leggendario “anello” del Museo Guggenheim di New York, concepito dal talento visionario di Frank Lloyd Wright. A dialogare, in maniera mirabile e sorprendente, con l’architettura, questa volta sono le opere, altrettanto ispirazionali per quanto riguarda il ragionamento sulla dinamica e il movimento, solo per citare alcuni aspetti, del Futurismo italiano, cui il Guggenheim dedica la più grande mostra mai realizzata negli Stati Uniti, giustamente sottotitolata “Reconstructing the Universe”, ricostruire l’universo.
di Lme | TMNews da YahooNotizie del 19 febbraio 2014
L’esposizione infatti spazia attraverso l’intera parabola temporale del primo e del secondo Futurismo e accoglie una notevolissima varietà di opere diverse, di pittori e scultori ovviamente, ma anche architetti, designer, fotografi e scrittori, dal Manifesto del 1909 di Filippo Tommaso Marinetti, il primo, il vero atto di nascita ufficiale di un movimento che ancora in realtà non c’era, fino agli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. E l’universo che viene ricomposto nella mostra newyorchese è fatto certamente di dipinti e sculture, ma anche di manifesti pubblicitari, ceramiche, moda, cinema, musica, performance, poesia e pubblicazioni. A curare la mostra, insieme a un team internazionale che comprende anche validi studiosi italiani, la senior curator del Guggenheim Vivien Greene, che per descrivere Marinetti sceglie un paragone piuttosto intrigante: “Lui – ha detto a TMNews – è stato Warhol prima che ci fosse Warhol e quando ha lanciato il primo manifesto ha inventato un’avanguardia”.
Avanguardia che, accanto al visionario fondatore, vanta nomi di primissimo piano come quelli degli artisti Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Fortunato Depero, Enrico Prampolini, Carlo Carrà, Benedetta Cappa Marinetti, ma anche architetti come Antonio Sant’Elia, compositori come Luigi Russolo, ballerine come Giannina Censi e ceramisti come Tullio d’Albisola. “E’ un mito – aggiunge Vivien Greene – che il Futurismo esistesse solo negli anni Dieci, e infatti il secondo Futurismo, negli anni Venti e Trenta è stato un movimento molto ricco, ed è solo con la guerra e con la morte di Marinetti che si è chiusa questa tappa della storia italiana”. Storia che, per molti anni, ha legato al Futurismo anche giudizi politicizzati, che ne hanno limitato la complessiva comprensione e valutazione. Dal museo Guggenheim si nota come i futuristi si fecero “campioni della Modernità e dell’Insurrezione”, e dalla mostra si può rivivere la tensione che animava queste scelte estreme, scelte, per l’appunto, d’avanguardia. E circoscrivere in maniera troppo netta i movimenti d’avanguardia, anche un secolo dopo, può non essere il modo migliore per tentare di capirli. Ma se quello cui si guarda è un intero universo, allora, forse, l’operazione, nella sua vastità, presenta maggiori possibilità di successo.
In mostra, nel dinamismo del tempio dell’arte newyorchese, oltre 360 opere di più di 80 artisti. Dal 21 febbraio a 1 settembre gli americani e i turisti potranno avvicinarsi a un movimento artistico profondamente italiano, cui il palcoscenico statunitense può restituire la giusta importanza e visibilità, anche dall’altra sponda dell’Atlantico.