di Emanuel Pietrobon da InsideOver del 3 aprile 2021
Ogni nazione ha dei padri fondatori, dei profeti e degli eroi e presenta una memoria storica, collettiva e condivisa, a base di miti fondativi e leggende, che viene gelosamente custodita e trasmessa di generazione in generazione via orale e scritta. Questa memoria può essere utilizzata come un pozzo al quale attingere nel momento del bisogno, cioè quando si è alla ricerca di consigli o di chiavi di lettura utili a decifrare il presente e/o pronosticare il futuro.
Nel caso della Romania, terra dei santi (țară sfinților), contemporanei e posterità potranno vantare semper et in aeternum il possesso di un patrimonio materiale e immateriale ricevuto in eredità da avi le cui gesta li han trasformati in miti intramontabili e inarrivabili: da Decebalo, terrore dei romani, a Ștefan cel Mare e Michele il Coraggioso, registi del grande risveglio balcanico anti-ottomano, passando per il semi-leggendario Vlad III di Valacchia, meglio noto come Vlad l’Impalatore (Țepeș) o Dracula.
Sul legato effettivo di Dracula pesa come un macigno il processo di annacquamento da romanticizzazione inizialmente operato da Bram Stoker e poi proseguito nei decenni successivi dalla letteratura vampiresca ed occultista, ma la verità è che il suo vissuto è stato molto meno caliginoso e mitopoietico di quanto propagandato dalle penne dei romanzieri. Re eclettico e dotato di un ingegno fervido, l’Impalatore di ottomani ha lasciato a noi, suoi posteri, un lascito inestimabile di insegnamenti e lezioni su statismo, realpolitik, strategia e guerra psicologica.
Conoscere il nemico
Vlad Țepeș e suo fratello, Radu III il Bello, trascorrono una parte significativa della loro gioventù presso la corte di Murad II, sultano della Sublime Porta dal 1421 al 1444. Barattati da loro padre, Vlad II, nell’ambito di un accordo siglato per mantenere il trono di Valacchia, i due fratelli crescono subendo soprusi e angherie, trattati più come servi che come ostaggi, ed è in questo contesto che il tredicenne Dracula impara due tremende verità:
Il dolore è tra i migliori maestri dell’Uomo; il sangue non è indice di fedeltà
Contrariamente a Radu III, che le cronache degli storici dipingono come remissivo e condiscendente, nonché un ospite frequente e richiesto negli harem imperiali in ragione della sua bellezza, Dracula non si abitua né alla prigionia né cede alle pressioni di corte inerenti lo studio dell’islam e la venerazione del sultano ma, al contrario, approfitta degli anni ivi trascorsi per acquisire la forma mentis dei ottomani, apprendendo la loro lingua e i loro usi e costumi.
Dracula, de facto, nasce transilvano ma torna in patria per metà ottomano, forte di un bagaglio di esperienze che si sarebbe rivelato utile negli anni delle guerre contro la Sublime Porta. Curiosamente, negli anni della prigionia Dracula e Radu faranno conoscenza del futuro sultano e loro coetaneo, Maometto II, adottando nei suoi confronti un comportamento radicalmente differente: il primo desideroso di “conoscerlo” a fondo, attraverso giochi, duelli e condivisione delle concubine, e il secondo proclive a soddisfarne le “voglie” e null’altro.
Una volta rincasato e divenuto l’acerrimo nemico dell’impero ottomano, Dracula avrebbe mostrato e dimostrato a più riprese, sino al momento della morte, quanto la prigionia fosse stata sua maestra, in particolare il tempo trascorso a “studiare” il futuro sultano, ad immergersi nella cultura ottomana e a consumare i manuali di guerra e strategia dei precettori turchici.
Maometto II era un amante dei massacri e aveva trasformato le strade di Costantinopoli “in torrenti di sangue”? Dracula avrebbe basato il proprio modus operandi nei confronti degli ottomani sulla spietatezza al quadrato, ricorrendo agli impalamenti di massa e non risparmiando neanche i convogli diplomatici inviati dalla Sublime Porta e i coloni stabilitisi nei Balcani meridionali.
Gli ottomani non erano inclini ai combattimenti notturni e formulavano strategie basate sul leveraggio di artiglieria pesante e superiorità numerica? Dracula li avrebbe sorpresi nel pieno della notte, cogliendoli impreparati e obbligandoli a combattere al buio, e avrebbe annullato il vantaggio del numero e della potenza di fuoco adoperando ampiamente tattiche basate sulla terra bruciata e sul mordi e fuggi e sfruttando la conoscenza del territorio per coartarli a battagliare in “teatri termopiliani”.
Gli ottomani erano dei maestri nell’infiltrazione delle corti imperiali e nella creazione di dissidi intestini nelle famiglie regnanti? Dracula non avrebbe fatto affidamento né sui reali magiari né sui propri familiari – anche perché consapevole di essere stato barattato dal padre e di avere un fratello colluso (anche sentimentalmente) con Maometto II –, ma su una rete di controspionaggio personale, sull’Ordine del Drago (Societas Draconistarum) del Sacro romano impero e sullo Stato pontificio.
Impara l’arte e mettila da parte
Come è stato già scritto, il giovane Dracula seppe profittare egregiamente della prigionia, trasformandola in un’occasione unica per entrare nella mente del nemico, carpirne i segreti e imparare a fondo il suo modus belli gerendi sia a livello di teoria, cioè leggendo libri e seguendo lezioni da parte dei precettori di corte, sia a livello di pratica, ossia partecipando a duelli e giochi di strategia.
Arti belliche a parte, Vlad sarebbe tornato a casa vantando il possesso di una conoscenza quasi unica tra i contemporanei europei dell’epoca: la padronanza del turco ottomano. La dote linguistica si sarebbe rivelata determinante negli anni delle guerre contro Maometto II, permettendogli di comprendere le grida ottomane sul campo di battaglia, di tradurre le missive intercettate dalle proprie spie e uccidere i traditori al servizio del sultano (come il greco Thomas Katabolinos) e, non meno importante, di congegnare trappole altrimenti impossibili da attuare.
Uno degli inganni più astuti (e sanguinolenti) orditi da Dracula ebbe luogo nel 1861 presso la fortezza di Giurgiu, catturata dagli ottomani e riportata sotto il controllo del voivoda grazie all’ingegno. Recatosi dinanzi al forte con al seguito un piccolo esercito, l’Impalatore sfoggiò il proprio turco persuadendo le guardie ad aprire i cancelli a dei “fedeli di Maometto II” perdutisi nelle arcane terre rumene. Una volta ottenuto l’ingresso, avrebbe avuto inizio un massacro fino all’ultimo ottomano.
La strategia del camuffamento sarebbe stata nuovamente utilizzata nei mesi successivi, con successo e a più riprese, riportando sotto il controllo del voivodato decine di villaggi danubiani colonizzati negli anni precedenti dagli ottomani. In una lettera inviata all’allora re di Ungheria, Mattia Corvino, Dracula riferisce dell’uccisione di oltre 20mila residenti, sia turchi sia bulgari, e dell’impalamento e/o del rogo di altrettanti.
Paura, sorpresa e genialità
Maometto II, una volta venuto a conoscenza delle campagne danubiane dell’Impalatore, avrebbe iniziato a lavorare all’allestimento dell’esercito più grande dalla presa di Costantinopoli con l’obiettivo di sottomettere definitivamente la Valacchia e instaurare al trono Radu il Bello, proprio amante e fratello di Vlad. La missione si sarebbe rivelata più ardua del previsto: le truppe sarebbero giunte in quella che è l’attuale Romania affamate e assetate – perché l’Impalatore diede ordine di incendiare villaggi e coltivazioni – e, per di più, terrorizzate da una guerra psicologica ante litteram – la strada verso Târgoviște fu trasformata in un chilometrico sentiero di morte costellato di turchi impalati, circa ventimila, e di letali tagliole.
Giunto a Târgoviște nella notte del 17 giugno 1462, dopo una marcia sofferta e spaventevole, l’imponente esercito ottomano – composto dai 150mila ai 300mila soldati – rispettò il copione preventivato da Vlad: accampamento di fortuna e caduta nel sonno profondo. Psicologicamente traumatizzati dalla marcia dell’orrore, colti nel mezzo del riposo e, soprattutto, indirizzati intelligentemente dal voivoda in un territorio a loro sconosciuto, gli ottomani non sarebbero riusciti ad approfittare né della superiorità numerica né dell’artiglieria pesante.
Le cronache riportano, inoltre, come l’Impalatore avrebbe portato con sé un battaglione sui generis, privo di armi bianche ma altamente mortifero: i malati di peste bubbonica e lebbra. Lanciati in massa contro il nemico ottomano, questi malati avrebbero dovuto completare il lavoro dei soldati del voivoda, infettando i sopravvissuti, un vero e proprio caso di guerra batteriologica.
Consapevoli che la forza numerica si sarebbe presto palesata, i soldati di Dracula batterono in ritirata al momento opportuno, focalizzando gli ultimi attimi dello storico “Atacul de noapte de la Târgoviște” (attacco notturno di Târgoviște) sull’uccisione di cavalli e cammelli, sulla razzia delle armi bianche, sulla distruzione dell’artiglieria e sul rogo delle tende.
Cosa ci ha insegnato Vlad l’Impalatore
Molteplici sono gli insegnamenti che Dracula ha trasmesso come legato alla posterità: dall’importanza di conoscere a fondo il rivale (apprendendone usi, costumi, lingua e, soprattutto, la mentalità) alla strumentalizzazione della paura (le operazioni psicologiche sarebbero state popolarizzate soltanto nel corso del Novecento), passando per la centralità rivestita dalla consapevolezza dei propri limiti (funzionale alla formulazione di efficienti ed efficaci strategie basate sulla guerra irregolare e asimmetrica) e dalla conoscenza del terreno di scontro (strumentalizzabile a detrimento dell’invasore e in grado di ridurre al minimo la forza data dal numero e dalla disposizione di fuoco).
L’Impalatore, però, lascia in eredità anche una serie di lezioni in materia di gestione dell’economia (il riorientamento strategico del mirino commerciale delle grandi città dall’esterno verso l’interno per creare ricchezza e la costruzione di nuovi centri urbani e campi per combattere la povertà e la sottoproduttività agricola), lotta alla corruzione (la tolleranza zero nei confronti della classe dirigente e dell’aristocrazia) e arte della sopravvivenza. A quest’ultimo proposito si lega una curiosità sul personaggio che in pochi conoscono, anche perché volutamente celata da una condanna della memoria operata dalla storiografia ortodossa: Vlad III, terrore degli ottomani e alfiere della cristianità, è nato ortodosso ed è morto in comunione con il Papa di Roma, ovverosia da cattolico.
La conversione avvenne per ragioni strumentali, cioè di sopravvivenza, sebbene il condottiero abbia in seguito deciso di non rinnegarla. Uscito sconfitto dalle guerre contro gli ottomani e ricercato dal fratello, Vlad III venne fatto prigioniero in Ungheria da Mattia Corvino. Qui, per fuggire alla condanna, si convertì al cattolicesimo e riuscì incredibilmente a rendere edotto l’allora pontefice della notizia, ottenendo che quest’ultimo intercedesse presso il trono magiaro per la sua liberazione, poi avvenuta.
Ma chi era veramente Dracula?. Sicuramente non è stato un folle torturatore né più né meno impavido e capace dei condottieri a lui contemporanei. E neanche è stato un uomo ossessionato dall’impero ottomano che nulla ci ha lasciato a parte una storia di impalamenti e razzie. Dracula è stato tutto meno che uno sprovveduto, perché eclettico, geniale, poliedrico e stratega, ma più di ogni altra cosa è stato Țepeș, l’Impalatore.