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Vita di Richelieu, statista e cardinale ma anche un uomo da scoprire

di Aldo G. Ricci da “Storia In Rete” n. 197 – marzo 2023

Per le tante generazioni che per quasi due secoli si sono appassionate alle avventure dei Tre moschettieri, l’immortale romanzo di Alessandro Dumas uscito nel 1844, che ha ispirato tanti romanzi popolari e innumerevoli versioni cinematografiche, Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu, è semplicemente il Cardinale: un genio della cospirazione, battuto dai moschettieri, ma capace di uscire indenne anche dalla sconfitta. Il personaggio del romanzo ha in qualche modo condizionato molte delle interpretazioni successive, come spiega Stefano Tabacchi nell’introduzione alla sua recente biografia del Cardinale, uno dei pochissimi lavori dedicati a Richelieu da parte della storiografia italiana: Stefano Tabacchi, Richelieu. Il cardinale che trasformò la monarchia francese e la politica internazionale, Salerno editrice, pp. 420, euro 27. 

Ricostruire la sua vicenda biografica, osserva l’Autore, è una impresa possibile, perché la vita di Richelieu, di questo discendente della piccola nobiltà del Poitou, dalla sua nomina a vescovo nel 1607, all’età di 22 anni, fino alla morte nel 1642, in carica ormai da 13 anni quale “ministro principale” di Luigi XIII, è tutta scandita dalle vicende politiche della Francia di quegli anni: dalle guerre alle riforme amministrative, dagli scontri con le famiglie dell’alta nobiltà agli alterni rapporti con i membri della famiglia reale.  

Ma una volta messi in fila i diversi elementi specifici della sua vita si è ancora lontani da una comprensione del personaggio Richelieu. Il dibattito sulla sua figura cominciò già negli anni successivi alla sua morte ruotando intorno a tre interrogativi principali: il Cardinale era devoto alla grandezza dello Stato o alla propria? Il suo ineccepibile sentimento religioso era autentico o piuttosto la maschera di una politica da molti definita machiavellica? E infine, l’obbiettivo della sua politica estera consisteva nel creare un nuovo equilibrio in Europa con al centro una Francia ago della bilancia, o piuttosto nel portare avanti una guerra senza fine, utile anche a conservare il suo controllo del potere?

Il dibattito era destinato a proseguire anche durante Settecento, quando Richelieu era presentato come una sorta di ‘eroe’, interprete spietato e intransigente della ragion di Stato, in qualche modo un ‘male necessario’, secondo Voltaire, che aveva piegato la morale alla grandezza dei fini perseguiti, contribuendo a portare la Francia fuori dalle ultime sopravvivenze medievali e a collocarla come Stato moderno al centro dello scenario politico europeo.

La Rivoluzione francese che travolse l’Ancien Régime non risparmiò neppure la salma del Cardinale, sepolta alla Sorbona, che venne dispersa. Si salvò soltanto il cranio, conservato da un privato e ricollocato nel 1866 con tutti gli onori nello stesso mausoleo, attribuendo definitivamente a Richelieu il ruolo di eroe nazionale e di costruttore della Francia moderna.

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Gli elementi principali che definiscono il suo ruolo nella storia dell’Europa moderna sono sintetizzati da Tabacchi in tre punti. In primo luogo la posizione di “principale ministro” rivestita dal Cardinale per quasi un ventennio, vero alter ego del sovrano, collocato quindi in una dimensione al di sopra della politica corrente. Questo modello aveva preso piede anche in altri Paesi: per esempio in Spagna con il conte-duca di Olivares e in Inghilterra con il duca di Buckingham. Ma in Richelieu questo ruolo aveva caratteristiche specifiche come la visione sacrale del potere regio, tipicamente francese, che contribuiva a distanziare Luigi XIII dall’alta aristocrazia, attribuendo al Cardinale il compito di guida morale del sovrano.

Un secondo elemento del ventennio in cui guidò la Francia consisteva nel “disciplinamento della società francese” da lui intrapreso, un’operazione che riguardava in primo luogo la nobiltà, ma anche le autonomie locali e la politica fiscale per affermare l’assolutezza del potere sovrano, “partecipe della natura divina, che doveva imporsi sulle ‘passioni’, cioè sugli elementi distruttivi dell’agire umano”.

Un terzo e ultimo elemento è costituito dalla politica estera, che assorbì la maggior parte delle forze di Richelieu, rivolta, scrive Tabacchi,  a “realizzare la ‘pace universale’ attraverso un sistema di sicurezza collettivo garantito dalle principali potenze …attribuendo al re di Francia un ruolo di arbitro del sistema”.

E tuttavia, detto tutto questo dello statista, resta l’inafferabilità del personaggio, già rilevata da molti studiosi, che si presenta come “una manifestazione del potere disincarnata o comunque legata da un filo ormai labile alla concreta esistenza di Armand du Plessis de Richelieu”, che per tutta la vita ha applicato a sé stesso la distinzione tra persona privata e persona pubblica, lasciando la prima in un cono d’ombra che i tanti studi non riescono a illuminare completamente.

Del ministro ci restano le Memorie e il Testamento politico, dell’uomo la frase con cui si congedò dalla vita sul letto di morte: “Supplico Dio di buon cuore che mi condanni se ho avuto altra intenzione se non il bene della religione e dello Stato”.   

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