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Vita, amori e intrighi di Atto Melani, abate-spia al servizio del Re Sole

di Rita Monaldi e Francesco Sorti

Condannato all’oblio dall’ignoranza dei moderni, solo oggi giunto al riscatto, Atto Melani (Pistoia 1626 – Parigi 1714) fu ai suoi tempi baciato dalla gloria. Ma per conquistarla fu costretto a essere eccezionale in tutto. Di famiglia poverissima, morì straricco. Nato toscano, finì francese. Innamorato delle donne, non ne ebbe mai alcuna. Amico dei potenti, venne umiliato, calunniato, ripudiato. Venuto al mondo plebeo, fu sepolto con l’onore d’uno stemma nobiliare. Terzo di sette figli del campanaio del duomo di Pistoia, in tenera età venne evirato per farne un cantante castrato. Lo divenne, e tra i più grandi: il suo canto, lodato da La Fontaine, era creduto capace di guarire dal morso della vipera. La Regina di Francia non andava a dormire se non lo sentiva cantare almeno un’aria.

Il cardinal Mazzarino, che sapeva riconoscere gli spiriti sottili, lo iniziò all’arte dello spionaggio. Atto imparò presto e bene. Visitando le corti con la scusa dei concerti, tra un’aria e l’altra passava di nascosto messaggi in cifra, raccoglieva delazioni, diffondeva dossier al veleno. Quando Mazzarino morì, tutto sembrava perduto. Ma morto il vecchio padrino, ne trovò un altro nel Re Sole, più potente che mai. Col tempo divenne consigliere e amico di cardinali, principi, sovrani e pontefici. Per compiacere la Francia, si darà da fare per far eleggere papa un amico cardinale della sua Pistoia, Giulio Rospigliosi, che ben si può adattare agli interessi francesi. Da allora l’ex cantante castrato fu nella ristretta cerchia di coloro che servivano il Re Sole durante le elezioni papali: nessuno conosceva meglio di lui trucchi e astuzie dei conclavi.

Nelle sue manovre Atto giocava di concerto con i fratelli: tutti castrati e diplomatici, musici e spioni (uno di essi, evirato, si fece monaco; ogni tanto usciva in permesso per cantare nei teatri ma poi finì in carcere per spionaggio). A Pistoia fioccarono satire colme d’ironia per la sua erre alla francese, e d’invidia per i ricchi abiti e le ricchezze che andava accumulando. Aveva comprato un podere chiamato Il Batocchio: facile bersaglio per i calembour osceni.

S’innamorò d’una donna, ma invano: anche ad aver i giusti mezzi, era Maria Mancini, nipote di Mazzarino e primo amore del Re Sole. Fuggirono da Parigi, lei esiliata, Atto inseguito da sicari. Si rividero a Roma, quando lei era ormai sposata col principe Colonna. Poi le strade si divisero ancora: lui nuovamente in Francia, lei in fuga dal marito in Spagna. Non si videro più. Per quarant’anni poterono solo scriversi, ma egli la amò fino alla fine. Come ogni buona spia, servì troppi padroni. A volte parlò troppo, e pagò caro. Tradì e fu tradito, salì i gradini del successo e poi precipitò, vinse mille battaglie e altrettante ne perse. Il Re Sole, che da bambino giocava con Atto e tanto di lui si fidava, lo scoperse a copiare le sue lettere e lo esiliò per tre lustri. Anche dalla Santa Sede gli vennero castighi e amarezze. Venne disprezzato, deriso, diffamato. Ma alla fine riuscì a parare i colpi del
destino.

In anzianità risolse una controversia diplomatica tra Venezia e Lucca, e i veneziani per riconoscenza gli concessero un titolo nobiliare. Il povero figlio del campanaio aveva compiuto la sua miracolosa parabola. Lascia la terra alla bella età di quasi 88 anni; precede di un solo anno Luigi XIV e l’amore della sua vita, Maria, e conquista la palma del castrato più longevo. Focoso e inarrestabile fino all’ultimo, a un passo dalla morte ancora progetta di tornare in Toscana, nei suoi possedimenti di Pistoia dei quali molti non vide mai. Il suo lascito è poderoso: depositi bancari, titoli, un intero palazzo a Pistoia, terreni con le relative rendite, quadri, una ricchissima biblioteca, oltre a svariati beni a Parigi.

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