Amo passeggiare per le ville storiche di Roma (a proposito: ieri era il 21 aprile, Natale n. 2777 di una città che resta Eterna nonostante i tentativi dei suoi amministratori di ridurla al livello di una città qualunque). Tra le ville storiche la mia preferita è Villa Sciarra al Gianicolo: una perla con qualche ‘ferita della memoria’, come vedremo. La sua storia risale indietro fino a un insediamento romano, per proseguire con varie trasformazioni attraverso le mani di varie dinastie nobiliari (dagli Sciarra ai Visconti), fino ad approdare nel 1902 a una ricca famiglia americana che ha dato alla villa il volto attuale.
Non ci sono spazi senza limiti. Da Monteverde vecchio si entra attraverso un piccolo ingresso che prosegue con un breve tunnel che ti immette nella luce di uno spazio pianeggiante di viali e piazzole circondati da siepi, dove si alternano fontane (purtroppo oggi sempre asciutte) ornate da statue settecentesche in arenaria provenienti da un palazzo Visconti della provincia di Bergamo. I soggetti sono classici e mitologici. L’atmosfera (nonostante cani e ragazzini che giustamente scorrazzano) conserva comunque qualcosa di magico che mi colpisce ogni volta che ci vado. Questa è la parte più frequentata. Per i più avventurosi vi è poi una parte boscosa digradante verso Trastevere, meno facilmente praticabile e abbandonata dalla inadeguata manutenzione comunale.
Veniamo alle ‘ferite della memoria’. In fondo al viale che si apre a destra dell’ingresso si trova il principale edificio della villa, il cosiddetto Casino Visconti, costruito nel XVII° secolo dai proprietari di allora.
L’edificio è la sede dell’Istituto Italiano di Studi Germanici, la cui istituzione venne promossa nel 1931 da Giovanni Gentile, che ne assunse la presidenza, per favorire lo sviluppo dei rapporti culturali tra Italia e Germania. Si badi alla data: siamo nel 1931, e quindi mancano ancora due anni alla presa del potere del nazionalsocialismo, che non ha pertanto alcun nesso con il progetto.
Il Casino Visconti diventa la sede dell’Istituto nell’aprile del 1932, nell’ambito di una donazione di cui parleremo più avanti. Negli anni ospita iniziative di altissimo livello. Ne cito solo una: nel 1936 vi tiene una conferenza dal titolo Holderlin e l’essenza della poesia Martin Heidegger, che al tema dedicherà poi una delle sue opere principali. L’anno successivo Gentile lascia la presidenza e le sue dimissioni non possono non far pensare a un giudizio critico sul nuovo volto che stava assumendo la cultura tedesca.
Ebbene qual è la prima ferita? La mancanza sull’edificio di un qualsiasi testo che spieghi la storia dell’Istituto. Soltanto una targa con il nome, come si usa per un qualsiasi ufficio. Una dimenticanza? Forse. Ma una dimenticanza che diventa sospetta se, andando sul sito dell’Istituto, non si trova una storia della sua creazione e, mentre figurano i nomi di tutti i suoi direttori a partire dal 1932, mancano quelli dei suoi presidenti, a partire dalla fondazione, ricordati invece solo per il periodo successivo al 2006, quando fu cambiato il suo statuto. Dimenticanza o cancel culture? Una damnatio memoriae a cui non è nuovo il più grande filosofo italiano del 900, assassinato dai Gap comunisti a Firenze proprio ottanta anni fa, nell’aprile del 1944.
Ma c’è dell’altro. Seconda ferita. La villa fu comprata nel 1902 da George Wurts insieme alla moglie Henriette Tower. Ricchissimi e amanti dell’Italia, i coniugi abitavano in centro a Palazzo Antici Mattei, dove davano grandi feste e collezionavano migliaia di oggetti d’arte e d’antiquariato (poi donati al Museo nazionale del Palazzo di Venezia). Consideravano la villa un divertimento culturale, un luogo di svago, abbellendola con le statue di cui si è detto e facendola ristrutturare da un architetto.
Nel 1928 George Wurts muore e la moglie Henriette due anni dopo decide di donare la villa all’Italia. La donazione si concretizza il 3 aprile del 1932 (centenario della morte di Goethe) con una cerimonia ricordata con una grande targa in travertino che figura su una facciata esterna del Casino Visconti e che tutti i visitatori possono vedere.
Cosa ha di particolare questa targa? Il testo, che ricorda la volontà dei proprietari di effettuare questo dono all’Italia, Ma la sua formulazione presenta un problema. Si legge infatti che il proprietario “offerse questa villa” e qui segue un tratto del marmo scalpellato per cancellare un nome; il testo prosegue poi “il quale volle il giardino libero al popolo di Roma”, insomma donare la villa al Comune.
Ma chi era questo “il quale”, che volle donare la villa alla città? La risposta è facile: il capo del governo di allora. Infatti il tratto cancellato recitava “al Duce d’Italia, Benito Mussolini” il quale ecc. ecc. Mistero risolto e cancel culture all’opera ben prima che il fenomeno esplodesse su scala planetaria. Non sono certo un nostalgico della ‘buonanima’, ma i fatti storici non si cancellano scalpellando una lapide. Aggiungo infine che, se si potesse fare una seduta spiritica, sarebbe interessante sapere che cosa ne pensano i munifici mecenati, i coniugi Wurts, sepolti ormai da quasi un secolo nel cimitero acattolico di Testaccio.