di Marcello Veneziani da La Verità del 13 novembre 2024 via www.marcelloveneziani.com
Ma gli italiani furono davvero fascisti, o lo furono solo in superficie, in modo provvisorio, approssimativo, teatrale e formale? Lo stesso dubbio si può legittimamente avanzare sull’antifascismo alla caduta del fascismo: gli italiani furono davvero antifascisti o lo diventarono solo in superficie, per convenienza e per finzione? Il fascismo fu davvero l’autobiografia della nazione, come poi dissero alcuni antifascisti seri, come Piero Gobetti; o gli italiani restarono in fondo estranei, inadatti al fascismo, come sostennero alcuni metafascisti radicali, come Julius Evola?
Giordano Bruno Guerri nel suo Benito illustrato (ed. Rizzoli) riprende una tesi a lungo rimossa: gli italiani furono mussoliniani, non fascisti; in lui si identificavano come in un superuomo che chiamavano familiarmente Benito. Insomma non l’ideologia, la fede politica, il regime permeò gli italiani ma il mito del duce, che era la gigantografia delle loro aspirazioni.
Non so se davvero gli italiani non siano mai stati fascisti, o meglio se solo una minoranza lo fu sul serio, come sempre accade. La maggioranza degli italiani fu mussoliniana, si identificò in lui, come dice Guerri; o forse lo considerò il Grande Protettore. A volte persino dalle ingiustizie e dalle intemperanze dello stesso regime. Quel legame seduttivo e filiale perdurò almeno fino all’entrata in guerra, e anche oltre; fino a quando le cose cominciarono a mettersi male, e si capì che la guerra non si sarebbe risolta in una passeggiata breve e trionfale, ma trascinava l’Italia in una tragica, dolorosa sventura.
Perché gli italiani furono più mussoliniani che fascisti? Ce lo aveva spiegato alcuni anni prima un grande psicologo delle folle, Gustave Le Bon, che Mussolini leggeva e ammirava, considerando quel suo saggio “un’opera capitale”. Per Le Bon le folle, soprattutto latine, sono femmine, hanno bisogno di un Capo, di un Gallo nel pollaio, insomma di un dittatore che li seduca e sconfigga i nemici di dentro e di fuori. Erano affascinati dalla sua figura, il suo corpo, il suo volto, la sua voce, i suoi comandi. A quest’indole delle folle va aggiunta la mitologia del Monarca, del Principe, del Sovrano decisore, stratificata nei secoli. Ma come voleva ormai l’epoca delle masse, un Re non più per ragioni ereditarie e dinastiche ma selezionato sul campo e in trincea, venuto dal popolo, che conquista con la sua forza e la sua volontà, il dominio e lo esercita da vero Capo. Una specie di monarchia popolare, se non socialista, in cui il capo è un arcitaliano, per dirla con Curzio Malaparte, ovvero è il potenziamento, la versione in grande, dell’italiano comune. Identificazione e proiezione, al tempo stesso, di un popolo nel suo Capo.
Che gli italiani fossero mussoliniani prima che fascisti significa molte cose. Per esempio che si poteva tener vivo il mugugno verso alcune espressioni periferiche del fascismo, verso alcuni gerarchi o ras locali, o verso alcuni aspetti del regime che non piacevano. Ma da queste bassezze veniva esonerato Lui, il Ducione, che pensava e agiva in grande, che amava davvero il suo popolo e ne era ricambiato, in una luna di miele durata almeno quindici anni, se non di più. Del resto, non è un caso che la storia del fascismo scritta da Renzo De Felice sia affidata alla monumentale biografia di Mussolini, in più volumi, quasi a significare che studiare e raccontare il fascismo voglia dire studiare e raccontare il suo fondatore e il suo capo.
Ma sulla propensione mussoliniana del consenso popolare io vorrei portare una conferma pratica, dal basso di una piccola esperienza locale. Quando ero ragazzo e militavo nel Fronte della Gioventù al mio paese, avevamo spesso accanite discussioni con i compagni del Partito Comunista, gente del popolo, allora, altro che radical chic. Gente con cui in fondo ci si rispettava, anche scontrandosi, pur nella convinzione che il giorno della Rivoluzione, nostra o loro, ci saremmo combattuti.
La cosa curiosa è che questi comunisti erano antifascisti solo in terza battuta, perché erano prima di tutto antipadronali, cioè anticapitalisti e antiagrari, ed erano antidemocristiani in seconda battuta, perché consideravano la Dc la prosecuzione morbida, furba e clericale del passato regime. Solo in terza battuta erano antifascisti, perché consideravano i fascisti i servitori dei primi due, ma con una sorprendente novità: quei compagni erano sotto sotto ammiratori di Mussolini. Ammiratori delusi, o traditi, in molti casi, ma ammiratori. La loro versione prevalente era che Mussolini fosse rimasto uno di loro, e fosse un grande, ma si era lasciato corrompere dalla borghesia, dal capitale, dalla monarchia, dalla chiesa, ed era stato tradito dai suoi stessi gerarchi. Insomma del fascismo salvavano Mussolini. Ero al sud, e lì non era scavato il fossato, e la fossa, della guerra civile, della lotta partigiana. Ma quella gente era sincera e non era sprovveduta quando lasciava trasparire quella traccia di mussolinismo. Serviva magari a giustificare il loro fascismo di ieri, o quello dei loro familiari; ma erano realmente ammirati e perfino grati a Mussolini per la giornata lavorativa a otto ore, la carta del lavoro, la tutela sociale e sanitaria, l’opera di maternità e infanzia, le colonie estive per i bambini, le città fondate, la politica sociale, le case popolari, il riscatto dei campi, le bonifiche.
Questo mussolinismo spiega anche il culto di Stalin nel dopoguerra: quelle folle passarono da un capo all’altro, in ogni senso, e videro in Stalin, come diceva la retorica sovietica del tempo, il Padre di tutti i popoli. Non vedevano gli orrori dello stalinismo e probabilmente non li conoscevano, ma riconoscevano in lui quel Dittatore Benigno che avevano perduto in Mussolini.
Se ci liberassimo dagli inquisitori e dagli esorcisti parlando di storia e di fascismo, probabilmente capiremmo qualcosa di più del nostro passato e della transumanza dal fascismo al comunismo di molta gente nel dopoguerra.
L’opera di Guerri procede tra le illustrazioni, ha un carattere divulgativo sulla vita e l’opera di Mussolini e del regime; ma si rivela un’onesta ricostruzione storica, salutare dopo l’ubriacatura di tanti ritratti satanici del Duce, fatti da scrittori, intellettuali e giornalisti che volevano solo raccontare il Male Assoluto, cancellando la realtà storica e decenni di ricerche storiche serie e argomentate. Nella loro demonizzazione sparisce l’uomo che ebbe largo e duraturo consenso tra gli italiani, ammirazione nei popoli e tra i leader stranieri, e sincero consenso tra i più grandi scrittori, scienziati, poeti e pensatori del suo tempo. Al suo posto c’è solo il capo di una banda criminale, poi il fantoccio di Hitler, comunque un demone negativo assoluto, che fa dimenticare perfino i veri, sanguinari del novecento – Stalin, Hitler e Mao, per non parlare di dittatori minori.
Poi non sanno spiegarsi perché tanta gente vide per anni in Mussolini una specie di padre, di guida e per taluni perfino l’anello di congiunzione tra Garibaldi e Stalin. Compagno Benito a noi!